mercoledì 12 agosto 2020

Quelli più scontati, ma i meno conosciuti: i giorni della settimana

Le ore sono 24, i giorni sono 7 e i nomi più che famosi: scienza, storia e mito ci spiegano il loro passato, il loro presente e il loro futuro (e forse anche il nostro)



Suona la sveglia del lunedì mattina, ed ecco che inizia un nuovo giorno e una nuova settimana. Arrivati al venerdì sera già si respira aria di festa, perché nei prossimi due giorni niente lavoro: cene fra amici, bevute nei pub, giri di ballo nelle discoteche, e magari anche due giorni interi di relax fra le cime dei monti, le colline delle campagne e le spiagge del mare. E se ci casca pure una festa? Se cade di sabato o domenica una bella sfiga, ma di giovedì o venerdì alla grande, almeno scatta pure il ponte.

D’accordo, tutto molto bello, molto chiaro e anche preciso e strutturato (forse anche troppo). Ma chi l’ha detto che dev’essere per forza così? Perché una settimana comincia proprio di lunedì? Come mai è fatta proprio di sette giorni, piuttosto che di sei o di otto? E poi anche tutti questi nomi: lunedì, martedì, mercoledì; ma da dove vengono? E perché tanta gente si spacca la schiena per cinque giorni di fila e si riposa solo gli ultimi due giorni che si chiamano sabato e domenica?

Sembrerà incredibile, ma la risposta a queste domande giace nelle profondità del tempo fino a 5000 anni fa. Ci sono di mezzo stelle e pianeti, divinità risapute e dimenticate, e perfino giochi di potere talmente subdoli da fare a gara con quelli moderni. L’usanza della vigilia, l’eterna confusione fra “ferie” e “feriali”, l’origine del Ferragosto e del “fine settimana”. Tutto questo è connesso a delle cose che consideriamo fra le più ovvie e scontate di tutte, e che di ovvio e scontato non hanno proprio un bel nulla: i giorni della settimana.

Prima di tutto: perché un giorno è fatto di 24 ore? E perché inizia proprio a mezzanotte?


La durata del giorno: una questione astronomica


Oggi siamo abituati a segnare l’inizio di un nuovo giorno allo scoccare della mezzanotte, a dividere la sua durata in 24 ore e a tenere il tempo su orologi che, a parte nel caso dei digitali, indicano 12 numeri sul quadrante. Ci sembra ovvio e scontato, addirittura una “legge naturale”, ma in realtà non è sempre stato così. Comunemente si pensa anche che sia tutto dovuto alla rotazione e alla rivoluzione della Terra, e questo in parte è vero, ma in parte no.

Tutto comincia nell’antica Mesopotamia, dove i Babilonesi utilizzavano una matematica a base duodecimale (12) anziché decimale (10) come quella che usiamo oggi. Probabilmente lo facevano per due motivi: uno “naturale”, dato dal fatto che, su ognuna delle nostre mani, con il pollice possiamo contare 12 falangi sulle altre dita; e uno “matematico”, dato dal fatto che il 12 possiede molti divisori (6, 4, 3, 2), e questo lo rende molto comodo per fare i calcoli. I Babilonesi decisero quindi di dividere tutto l’arco del giorno non in 24, ma in 12 ore, e questo anche sulla base di un terzo fattore, cioè la Luna: nell’arco di un anno, infatti, il nostro satellite compie 12 lunazioni, cioè 12 giri completi intorno alla Terra.

In tempi successivi, furono gli Egizi a concepire la prima divisione in 24 ore. Suddividevano le ore del giorno in 10, le ore della notte in 12 e in più aggiungevano 2 ore per l’alba e il tramonto. Si ispirarono forse al modello babilonese e semplicemente decisero di introdurre due cicli da 12 ore invece di uno? In realtà no, fu tutto stabilito sulla base di osservazioni astronomiche: per scandire le ore notturne, gli Egizi si affidavano ai Decani, cioè delle stelle o dei gruppi di stelle che, quando superavano l’orizzonte, segnavano per loro l’inizio di una nuova ora; siccome dal tramonto all’alba di questi Decani se ne potevano contare 12, che appunto permettevano di divere la notte in 12 parti all’incirca uguali, ecco da qui la divisione della notte in 12 ore e del resto del giorno in altrettante. Quali fossero le stelle a cui si riferivano non lo sappiamo, ma una era sicuramente Sirio.

Rotazione apparente delle stelle, deserto di Atacama,
Cile (da "Wikipedia")
Dagli Egizi questa usanza si trasferì prima ai Greci e poi ai Romani, e furono i primi, con l’astronomo Ipparco di Nicea (200 – 120 a.C.), a proporre una modifica che risolveva un piccolo problema: per come le avevano impostate gli Egizi, le ore non erano della stessa durata nell’arco dell’anno. Se infatti si conta il tempo sulla base della rotazione delle stelle, quello che si ottiene è il giorno siderale, che dura 23h 56m 4s; sulla base della rotazione del Sole, invece, si ottiene il giorno solare vero, un po' più lungo di quello siderale e che non è sempre di 24 ore esatte: la Terra non ruota intorno al Sole sempre alla stessa velocità, la rivoluzione è più veloce quando si trova al perielio (verso gennaio) e più lenta all’afelio (verso luglio), col risultato che in inverno il Sole sembra impiegare più tempo (24h 30s) a fare un giro completo rispetto all’estate (23h 59m 39s). Ecco perché, col sistema degli Egizi, in inverno le ore del giorno risultavano più corte di quelle della notte (viceversa in estate), ed ecco perché Ipparco propose di introdurre l’ora equinoziale: equivale a 1/12 del giorno o della notte al momento degli equinozi, unici giorni dell’anno in cui giorno e notte hanno la stessa durata.

Questa idea, però, venne messa in pratica solo nel XIV secolo, quando cominciarono ad apparire i primi orologi meccanici montati sulle torri delle città. Da allora venne introdotto così il giorno solare medio, e sui quadranti degli orologi si fissarono 12 numeri per un motivo molto pratico: da distanza, sarebbe stato molto più facile distinguerne 12 piuttosto che 24. La loro precisione non permetteva ancora di scandire i minuti e i secondi, ma nel XVII secolo sì, e la convenzione di usarne proprio 60 deriva ancora una volta dai Babilonesi: come il 12, anche il 60 è un numero molto comodo perché possiede molti divisori.

L’inizio del giorno: una questione politica


Orologio astronomico di Praga
Gli Egizi, i Greci e i Romani usavano l’alba come inizio del nuovo giorno, mentre Ebrei e Celti usavano il tramonto. L’usanza ebraica è stata quella che, in Europa, a partire dall’affermazione del Cristianesimo, si è mantenuta per tutto il Medioevo, fino ad arrivare al XVIII secolo, quando cominciò a diffondersi la tradizione francese di segnare l’inizio con la mezzanotte. In Italia il passaggio fu graduale, ma diventò definitivo dopo l’occupazione francese fra il 1796 e il 1797.

E qui fa capolino una piccola grande curiosità. Avete presente l’usanza della vigilia in occasione di alcune festività? Comunemente si pensa che indichi soltanto il giorno prima di una festa, ma in realtà indica soprattutto la sera che precede quel giorno, fatta di una veglia notturna e di alcuni primi riti di festeggiamento. Anche questa non è una tradizione che è sempre stata osservata, la sua istituzione risale proprio a questo periodo, e deriva dal fatto che la Chiesa, in seguito all’introduzione della “mezzanotte francese”, decise di mantenere viva in qualche modo l’antica usanza del tramonto di origine ebraica.

Corpi celesti, divinità e conflitti religiosi dietro ai 7 giorni, ai loro nomi e ai loro numeri


Le fasi lunari all'origine dei 7 giorni


Il fatto che i giorni siano proprio sette non è il risultato di un lancio coi dadi, e non è nemmeno legato a cose come la semplicità di calcolo. Ancora una volta lo dobbiamo tutto ai Babilonesi, e probabilmente anche ai Caldei (altra popolazione dell’antica Mesopotamia), che scelsero la suddivisione in sette giorni ispirandosi alla Luna. Si accorsero, cioè, che mentre la Luna completava tutte le sue fasi, il Sole sorgeva e tramontava circa 28 volte. Perciò, volendo dividere questo sacro periodo in periodi più piccoli e pratici, si resero conto di poterlo dividere in 4 parti uguali (altro numero simbolico), ottenendo 4 periodi da 7 giorni ciascuno: e fu così che nacque l’usanza della settimana.

Da Caldei e Babilonesi la tradizione si trasferì agli Ebrei, che già ne facevano uso nel VI secolo a.C., ai Greci arrivò nel IV secolo a.C. e da loro arrivò ai Romani fra il II e il I secolo a.C.. Si diffuse perfino nell’Oriente e nell’Estremo Oriente, come in Cina, dove se ne trova una prima testimonianza nel IV secolo d.C., e dove, certamente, fu importata dai Manichei nell’VII secolo. In India è sicuramente presente dal VI secolo, mentre in Giappone, tramite la Cina, a partire dal IX secolo.

Prima di tutto ciò, e prima dei successivi contatti che ci saranno fra popolazioni, sappiamo che Romani e Celti si affidavano a settimane di 8 giorni, in Cina e Egitto si usavano di 10 giorni, e fra Maya e Aztechi perfino di 13 giorni.

7 astri nel cielo, 7 dèi associati e 7 nomi per i giorni

Anche i nomi dei giorni affondano le loro radici nelle idee di Caldei e Babilonesi. Come si sarà ormai capito, nonostante i tempi antichi erano degli astronomi molto esperti, e per questo avevano già notato che, oltre a Sole e Luna, c’erano altri cinque astri che si spostavano nel cielo rispetto alle stelle: oggi sappiamo che, in realtà, sono sette, cioè i pianeti del Sistema Solare, ma allora, senza telescopio, erano in grado di vederne ad occhio nudo soltanto cinque, cioè Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

Secondo la loro astrologia, ognuno di questi astri esercitava una precisa influenza in una precisa ora del giorno; inoltre, l’astro che presiedeva la prima ora di un certo giorno era quello che influenzava di più tutta la giornata. Il nome del giorno della settimana, quindi, venne attribuito proprio sulla base di questo: era il nome dell’astro che dominava la sua prima ora. E probabilmente fu attribuito anche in base alle divinità che erano associate a questi astri, cioè Shamash (Sole), Sin (Luna), Nabu (Mercurio), Inanna (Venere), Nergal (Marte), Marduk (Giove) e Ninurta (Saturno).

In tempi successivi, quando l’astronomia caldea e babilonese venne assimilata dai Greci, il concetto venne leggermente cambiato. Si adattò al modello astronomico tolemaico, che vedeva la Terra al centro dell’universo, questi sette astri che le ruotavano intorno all’interno di sfere concentriche, e le “stelle fisse” che facevano da “sfondo”; secondo questo modello, inoltre, l’astro più lontano era Saturno, seguito in ordine da Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. Perciò, se la prima di un giorno era presieduta da Saturno, quel giorno prendeva il suo nome, mentre quelli successivi erano calcolati così: visto che ci sono 24 ore in un giorno (già derivate dagli Egizi) e che i giorni sono 7, e visto che 24/7 è circa uguale a 3, allora la prima ora del giorno dopo sarà assegnata al terzo astro più vicino dopo Saturno, cioè il Sole. E così via per tutti gli altri giorni, fino ad ottenere questa sequenza: Saturno, Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove e Venere.

Marte/Ares

Come i Babilonesi, anche i Greci associarono questi astri ad altrettante divinità e quando la tradizione passò ai Romani anche loro fecero lo stesso, con la differenza di cambiare i nomi con quelli dei loro dèi. I popoli anglo-sassoni fecero la stessa cosa quando assimilarono la tradizione romana, e quelli germanici e norreni fecero altrettanto quando assorbirono quella anglo-sassone. Perciò, vediamo un giorno alla volta per capire come e perché si chiamano come li conosciamo oggi.

LUNEDÌ. I Romani lo chiamavano “dies Lunae”, cioè “giorno della Luna”. Fra gli Anglo-Sassoni diventò Mōnandæg, mentre in norreno era Mánadagr, per cui ecco spiegato come mai oggi viene chiamato “Monday”.

MARTEDÌ. Dal latino “dies Martis”, cioè il “giorno di Marte”, dio della guerra equivalente del greco Ares. Lo stesso dio fra gli Anglo-Sassoni era Tiw, fra i Norreni era Tyr, per cui è diventato Tīwesdæg, oppure Týsdagr, e successivamente “Tuesday”.

Odino/Wodan

MERCOLEDÌ. Questo era il “dies Mercurii”, cioè il “giorno di Mercurio”, messaggero degli dèi e dio del commercio e dell’eloquenza, equivalente del greco Hermes. Fra Anglo-Sassoni e Norreni c’erano Wodan e Odino, per cui i nomi diventarono Wōdnesdæg e Wodenstag, e poi “Wednesday”. In teoria, Odino e Wodan erano i re degli dèi fra i popoli nordici, quelli che per Romani e Greci sarebbero stati Giove e Zeus, non Mercurio e Hermes; ma il fatto è che, in quanto a caratteristiche, erano quelli che assomigliavano di più a Mercurio, ecco perché il giorno fu intitolato comunque a loro.

GIOVEDÌ. Il “dies Iovis”, il “giorno di Giove”, dio del tuono e del fulmine e re degli dèi, equivalente di Zeus fra i Greci. Divinità associate al fulmine c’erano anche fra Anglo-Sassoni e Norreni, cioè Thunar e Thor, perciò i nomi sono diventati Thunresdæg e Thorsdagr e poi “Thursday”.

VENERDÌ. Secondo giorno associato a una divinità femminile, e infatti chiamato “dies Veneris”, “giorno di Venere”, dea dell’eros e della bellezza che era il corrispettivo della greca Afrodite. Fra gli Anglo-Sassoni c’era la dea Frigg, fra i Norreni c’era Freya, e così è diventato Frigedæg e Frjádagr, e infine “Friday”.

Freya/Frigg

SABATO. Per i Romani era il “dies Saturni”, cioè “giorno di Saturno”, che era padre di Giove, dio di agricoltura, abbondanza e dissolutezza, e probabilmente l’equivalente del greco Crono, Titano del tempo, della fertilità e dell’agricoltura. Siccome fra Anglo-Sassoni e Norreni non esisteva una divinità simile, il nome fu assorbito tale e quale e venne un po' alterato con i secoli, ecco perché oggi si chiama “Saturday”. In Italia, invece, si chiama “sabato” perché deriva dal latino sabbătum, che a sua volta viene dall’ebraico “shabbat”, cioè “giorno di riposo”: secondo quanto riportato dalla Torah, infatti, questo fu il giorno di pausa che Dio si concesse al termine della Creazione, quello che comandò anche agli uomini di osservare nello stesso modo; perciò, dato che i primi cristiani seguivano la stessa tradizione, e che lo shabbat corrispondeva già al giorno che Babilonesi, Greci e Romani associavano al pianeta/dio Saturno, quando il Cristianesimo cominciò a sostituirsi al Paganesimo, ecco che il nome fu ribattezzato da "dies Saturni" a "sabbătum".

DOMENICA. Il nome romano era “dies Solis”, cioè “giorno del Sole”, che, come nel caso del lunedì, venne assimilato e tradotto da Anglo-Sassoni e Norreni diventando Sunnandæg e Sunnundagr, fino ad arrivare al moderno “Sunday”. E allora perché in Italia si chiama “domenica”? Questa volta non c’entra nessuna parola di origine ebraica, ma dipende tutto dall’affermazione del Cristianesimo intorno al IV secolo: nel 321, per opera dell’imperatore Costantino, il “dies Solis” fu dichiarato giorno di riposo per tutto l’Impero, cosa che aveva il secondo fine di consentire anche ai cristiani di osservare i propri riti; nel 363, in seguito al Concilio di Laodicea, si proibì di usare il sabato come giorno di festa e si sostituì con il “dies Solis”, visto che, secondo i Vangeli, Gesù sarebbe risorto il giorno successivo al sabato; infine, nel 383, per mano di Teodosio I il “dies Solis” divenne “dies Dominicus”, cioè “giorno del Signore”. Da qui diventò domĭnĭca, e infine è passato alla moderna “domenica”.

Il primo giorno non è sempre stato lo stesso, e non lo è tutt'oggi

Sicuri che sia davvero il lunedì il primo giorno della settimana? E che lo sia proprio dappertutto? Ve lo chiedo perché, se oggi è vero, in passato non era così scontato. E anche nel presente non tutti i Paesi del mondo fanno iniziare la settimana con il lunedì.

Anticamente, fra Greci e Romani era il sabato ad aprire la settimana, e questo perché, come abbiamo visto, era il “dies Saturni”, il giorno dedicato a Saturno, l’astro considerato il più lontano di tutti e (per i Romani) associato a quel dio che era niente di meno che il padre del re degli dèi, cioè Giove. Nell’ebraismo, invece, siccome lo shabbat era ritenuto il 7° e ultimo giorno della Creazione e, come si è detto, equivaleva già al "dies Saturni", era il "dies Solis" ad essere considerato primo giorno, e dunque la futura "domĭnĭca" e "domenica". 

E quindi da quand’è che il lunedì è considerato primo giorno? Forse a partire dal IV secolo, quando, in seguito a quelle riforme che abbiamo visto, è stato il dies Dominicus (l’ex dies Solis) a essere considerato di festa e riposo, perciò pare ragionevole che questo sia diventato il settimo giorno e che il successivo, cioè il dies Lunae, sia diventato il primo. Certo è che oggi molti Stati nel mondo adottano l’ISO8601, uno standard internazionale pubblicato nel 1988 che stabilisce proprio il lunedì come primo della settimana. Che comunque non è osservato da tutti quanti: in molti Paesi del Medio Oriente, per esempio, il primo giorno è considerato il sabato, mentre la domenica è il primo in Israele, Egitto, Sud Africa, gran parte del Sud America, Canada, USA, Giappone, Taiwan, Thailandia, Macau e Filippine.

Giorni feriali, giorni di ferie e Ferragosto


Fate confusione fra "ferie" e "feriali"? Ringraziate la Chiesa Cattolica

Siamo abituati a pensare alle ferie come giorni di pausa e relax, eppure quelli che vanno dal lunedì al venerdì, che spesso sono lavorativi, vengono chiamati “giorni feriali”. E il paradosso è che sabato e domenica, che spesso non sono lavorativi, non vengono chiamati allo stesso modo. Insomma, una gran confusione, e il motivo deriva proprio da tutto questo “dietro le quinte” fatto di mitologia, religione e politica.

Il fatto è che la parola “ferie” deriva dal latino “feriae”, che nel mondo romano indicava quei giorni da dedicare al culto pubblico e privato, in cui era proibito esercitare il potere e convocare comizi. Dei giorni non lavorativi, insomma, in cui le persone erano invitate a prendere parte a cerimonie pubbliche, oppure celebravano riti nell’intimità delle proprie famiglie. Quando, però, a partire dal IV secolo, il Cristianesimo cominciò a prevalere sul Paganesimo, la Chiesa iniziò una lenta, subdola ma inesorabile battaglia che aveva un unico scopo: prendere una ad una le tradizioni pagane e sostituirle con altre cristiane, in modo da cancellare dal vissuto e dalla memoria collettiva qualsiasi connessione con le vecchie credenze. È quello che è stato fatto con le maggiori festività come Natale e Epifania, Pasqua e Ognissanti, ma anche con tradizioni minori tipo Carnevale, San Lorenzo e Ferragosto (come vedremo fra poco).

La stessa logica cercò di applicarla perfino ai giorni della settimana, che con tutti quei nomi di dèi e corpi celesti avevano fin troppi rimandi alla cultura pagana. Perciò il significato di “feriae” venne reinterpretato, diventando quello di giorni da dedicare alla celebrazione di un Santo, e così i giorni dal lunedì al venerdì vennero ribattezzati in feria secunda, feria tertia, feria quarta e così via; sabato e domenica, invece, mantennero i nomi di sabbătum e domĭnĭca.

Ma questa trovata ebbe ben poco successo, visto che – è proprio il caso di dirlo – la gente era abituata da secoli a chiamare ogni sacrosanto giorno con nomi di divinità o di pianeti. Così gli antichi nomi sono sopravvissuti fino ad oggi, e questa confusione fra “ferie” e “feriali” non è altro che lo strascico di un ennesimo tentativo di imposizione (fallito) da parte della Chiesa Cattolica.

Augusto, Diana e Chiesa: un imperatore, una dea e un'istituzione alla radice del Ferragosto

Picnic, scampagnate e tuffi nel mare. Pranzi e cene con carne alla griglia che durano ore, rimpatriate fra amici e parenti e battaglie di gavettoni. Oggi Ferragosto significa tutto questo e molto altro, ormai da generazioni e generazioni. Ma da quante di queste generazioni, di preciso? Da parecchie, perché si tratta di una ricorrenza vecchia di secoli, in cui si mescolano ancora una volta astronomia, divinità greche e romane, Imperatori e religione cristiana.

Il nome “Ferragosto” deriva di nuovo da quello latino di “feriae”, e in particolare da “feriae Augusti”, cioè “riposo di Augusto”, una festività che venne istituita proprio dall’Imperatore Augusto nel 18 a.C.. Cadeva proprio il 1° giorno di agosto e andava a sommarsi ad altre tre festività più antiche che ricorrevano nello stesso mese, cioè i Nemoralia fra il 13 e il 15 agosto in onore della dea Diana, i Vinalia Rustica del 19 agosto in onore di Giove e Venere, e i Consualia del 21 agosto in onore di Conso (dio protettore del grano e dei granai). Già queste tre erano festività agricole, con cui si voleva celebrare il raccolto e la fine dei lavori nei campi, perciò quella introdotta da Augusto, che era perfino intitolata a lui, probabilmente aveva un puro scopo di propaganda politica. Fatto sta che si tenevano dei grandi festeggiamenti, gli animali da tiro erano portati in processione agghindati con ghirlande di fiori, e venivano organizzate corse di cavalli. Avete presente il famoso Palio di Siena del 16 agosto? Risale al 1200, ma si ispira proprio a questa antica tradizione, tant’è che il nome “palio” deriva da “pallium”, un drappo di stoffa pregiata che già ai tempi di Augusto veniva dato in premio ai vincitori delle corse.

Qualcuno, adesso, ricorderà che il Palio è detto anche “Palio dell’Assunta”, e il perché di questo nome ci porta infatti verso l’aspetto religioso della festa. Nelle credenze cristiane il 15 agosto si celebra l’Assunzione di Maria, cioè il fatto che la madre di Gesù, al termine della sua vita, è ascesa al paradiso sia con l’anima che col corpo - cosa per cui tutti gli altri mortali dovrebbero attendere fino al giorno del Giudizio Universale. Molti esperti nutrono forti dubbi in proposito, visto che nel Nuovo Testamento non ci sarebbe alcuna traccia di riferimenti espliciti a questo fatto; ma la Chiesa di dubbi non ne ha oggi e non ne aveva nemmeno allora: questa esclusiva fu concessa a Maria perché, grazie al fatto di aver partorito il figlio di Dio con un concepimento verginale, è stata preservata dal Peccato Originale. Detto questo, il dogma è stato ufficializzato dalla Chiesa solo il 1° novembre 1950 da parte di Papa Pio XII, ma la ricorrenza esiste almeno a partire dal VI secolo.

Ma allora perché si celebra proprio il 15 agosto? E che cosa c’entra col Ferragosto se questo si teneva nel primo giorno del mese? Il motivo è tanto semplice quanto sottile. Come ho accennato poco sopra, fra il 13 e il 15 agosto esisteva già la festa dei Nemoralia, dedicata alla dea Diana: era l’equivalente della dea greca Artemide, il suo culto esisteva a Roma almeno dal III secolo a.C., ed era una divinità associata ai boschi e alla caccia, custode degli animali selvatici e protettrice delle donne incinte e delle nascite. Ma soprattutto – e guarda un po' la coincidenza! – era anche associata alla verginità, perché secondo il mito era appunto una dea che aveva fatto voto di castità.

E non è tutto. Con l’andare del tempo la simbologia di Diana si arricchì sempre di più, fino al punto di essere associata perfino alla Luna e all’Oltretomba, e di conseguenza ad altre due dee, cioè Selene ed Ecate. Questo fece sì che, almeno a partire dal I secolo a.C., Diana fosse venerata anche come una Dea Triplice: una dea unica, ma che allo stesso tempo rappresentava tre aspetti, cioè il terreno (i boschi), il celestiale (la Luna) e l’ultraterreno (l’Oltretomba); oltre a tutta un’altra serie di “triplette simboliche” come “figlia-madre-moglie”, oppure “nascita-crescita-morte”, o ancora “fanciulla-donna-anziana”. La Maria del Cristianesimo non è certo una Dea Triplice, ma il dio cristiano sì, visto che, come stabilisce il dogma della Trinità, è Padre, Figlio e Spirito Santo al tempo stesso: c’è quindi un legame indiscutibile fra Maria e il concetto di “divinità triplice”, dato che è figlia del Padre, madre del Figlio e moglie dello Spirito Santo.

Per tirare le somme, quindi, c’erano ben quattro feste pagane in un unico mese; ce n’era una fra il 13 e il 15 agosto dedicata a una dea già associata da secoli a concetti come verginità e triplicità; e c’era una nuova religione (il Cristianesimo) che stava prendendo piede su quella vecchia. E così, come accaduto con tante altre tradizioni, ecco che l’Assunzione è stata collocata proprio al 15 agosto: con tutte queste somiglianze fra vecchia e nuova divinità, la conversione dei pagani sarebbe stata molto più facile. Quanto a tutte le altre feste, sono state eliminate e fatte confluire tutte quante in quella dell’Assunzione, e così a noi è arrivato solo il nome dell’ultima istituita, “feriae Augusti”.

Il "fine settimana" è un'invenzione tanto recente quanto controversa

Come avrete già capito, l’usanza di un riposo settimanale esiste da quando esiste il concetto stesso di settimana, però non era intesa come la intendiamo oggi. Di giorni di riposo ne erano previsti solo uno, e se anche era dettato dalla giusta necessità di concedersi una pausa, spesso erano dei precetti religiosi e giustificarlo, tant’è che in quel giorno era d’obbligo celebrare dei riti. Tra l’altro, non bisogna immaginare che i ritmi di vita di secoli o millenni fa fossero quelli di adesso, anzi, erano molto più elastici, perciò una certa dose di riposo ci si poteva concedere nell’arco di tutta la settimana, non solo e soltanto in un giorno. Vi sembra paradossale? E fate bene, perché lo è davvero. Ma ne parleremo meglio fra qualche riga.

Il vero e proprio concetto di “fine settimana” per come lo conosciamo oggi è davvero molto recente, e infatti risale al XIX secolo, in piena Rivoluzione Industriale. Era ancora diffusa l’usanza di un unico giorno di riposo, ma la follia della produzione di massa costringeva gli operai a turni di lavoro disumani, per cui era facile che, in quell’unico giorno di pausa, molti scegliessero di concedersi una “pazza gioia” fatta di alcool e ore piccole; il risultato è che, il giorno dopo, questi operai tornavano nelle fabbriche con gli occhi abbottonati o con una sbronza ancora da smaltire, perciò le attività ne risentivano. Senza contare i conflitti religiosi: per gruppi come gli Ebrei era il sabato a essere dedicato al riposo, non la domenica, e per di più l’osservanza dello Shabbat cominciava già nella sera del venerdì.

Fu così che, verso la fine dell’Ottocento, si decise di far partire il riposo settimanale già dalle ore 14:00 del sabato. Nel 1908, negli USA, un cotonificio del New England fu il primo a prevedere solo i giorni dal lunedì al venerdì come lavorativi, in modo da venire incontro alla comunità ebraica. Sempre negli USA, nel 1926 Henry Ford cominciò a fare lo stesso nelle sue fabbriche per rispondere alle richieste di sindacati e gruppi religiosi, mentre, a partire dal 1940, si diffuse in tutta la Nazione lo standard dei 5 giorni lavorativi di 40 ore più 2 giorni di fine settimana.

Come si può facilmente immaginare, questo modello si è diffuso nel resto del mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma non illudiamoci che sia uguale dappertutto ancora oggi: in Israele, per esempio, il fine settimana è fatto di venerdì e sabato, mentre in molti Paesi islamici è fatto di giovedì e venerdì o di venerdì e sabato; in alcuni Stati, invece, osservano ancora un unico giorno, come il venerdì in Djibouti, Iran, Palestina e Somalia, o il sabato in Nepal.

La vera lezione delle "regole" non è quella di rispettarle, ma di sapere quando le puoi infrangere

Siamo ormai nel XXI secolo, arrivati fin qui dopo 300.000 anni di evoluzione, eppure c’è ancora qualcuno che si ostina a credere che tutta la natura che c’è fuori dal nostro pianeta sia nulla, senza alcuna influenza su di noi. C’è chi pensa che anche la natura che abbiamo qui valga quanto il due di picche, perché le uniche cose che contano davvero sono i soldi, i beni di consumo, le distrazioni senza regole e le vacanze. Tutto il resto, specialmente se è passato, è come un orologio rotto: se proprio si vuole si può tenere per ricordo, se no si può anche buttare. Eppure, perfino quando si tratta di fare una cosa semplice, spontanea e quotidiana come scandire il tempo, ecco che l’uomo si rivolge alla natura, anche a quella più lontana e insospettabile. Si deride e si sminuisce tutto ciò che è lontano da noi nel tempo e nello spazio, e poi sono i ritmi delle nostre vite di ogni giorno a dipendere da popoli antichi, credenze mitologiche e corpi celesti. Insomma, ci crediamo tanto “coi piedi per terra”, quando in realtà siamo letteralmente “immersi fra le stelle”.

Molte persone, oggi, conducono delle vite “fatte con lo stampino”, in cui tutto è uguale, scontato e “normale” per tutti: è normale lavorare cinque giorni di fila, è normale che sia dal lunedì al venerdì, ed è normale riposarsi e “far bisboccia” solo fra sabato e domenica. È talmente tanto normale che se qualcuno fa diversamente come minimo pare strano, se no perfino trasgressivo o scansafatiche. Scandire il tempo è utile e va bene, ma siccome sono in tanti a lamentarsi della vita frenetica che fanno, è segno che questo sistema fa acqua da qualche parte: è fatto così perché è figlio della produzione di massa, del mondo globalizzato, e di un potere che si concentra nelle mani di sempre meno persone. È un modello che più che altro fa comodo a chi ne tiene le redini, e se anche ha dei fondamenti su fenomeni naturali, è pur sempre una convenzione: se 5000 anni fa i Babilonesi avessero potuto vedere anche Urano, Nettuno e Plutone, forse oggi avremmo delle settimane fatte di 10 giorni. I modelli sono ammalianti, perché sono come le rotaie di un treno, dritte e precise senza dubbi e ripensamenti; invece dovrebbero soltanto essere utili, delle linee guida, come i viottoli di montagna: se vuoi, segui pure la via già tracciata da qualcuno, ma niente ti vieta di andare “fuori strada” e fare come ti pare.

Probabilmente, agli occhi di molti, sapere queste cose è tanto utile quanto un citofono in cantina, ma si sbagliano di grosso: il nozionismo si fa dentro le scuole, non su internet, e certamente non su questo sito. Scoprire oggi che quello che ieri credevamo scontato, normale o addirittura naturale in realtà non lo è per tutti, e non lo è nemmeno in generale, fa una differenza colossale: se non lo sai, quelle cose le fai in maniera meccanica, le accetti come verità inviolabili e, se anche ti fanno soffrire, pieghi il capo e vai avanti coi paraocchi; se invece ne sei consapevole, quei paraocchi li butti nel cesso, e dopo aver scoperto che intorno a te si aprono delle vie a 360°, scegli quella che più ti piace e ti incammini verso una vita che è davvero la tua.


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