Le antiche radici della festa, il significato delle sue tradizioni e il loro messaggio per l'uomo di oggi (e di domani)
Si indossano maschere
classiche, di personaggi del cinema o di nostra invenzione, e ci si mescola
nella folla chiassosa delle parate, dove sfilano grandi carri
di cartapesta. Si lanciano coriandoli, stelle filanti e
spruzzi di schiuma, e si combinano scherzi e dispetti che anche
gli altri non aspetteranno a restituirci. E, nel frattempo, fra uno scherzo di
qua e una parata di là, “Pancia mia fatti capanna!”, perché cucine e
bancarelle sfornano cenci, ciambelle e bomboloni.
Si dice tutto questo, oggi,
quando si dice “Carnevale”. Ma siamo sicuri che si dica soltanto
oggi? C’è chi sostiene che le sue tradizioni siano tutte italiane
e molto recenti, o che sia merito della religione cristiana
se sono state concepite così. Eppure, ci sono evidenze che rintracciano le sue
origini fino a popoli lontani da noi migliaia di chilometri e
soprattutto migliaia di anni.
“Una volta all’anno è
lecito impazzire!”, dicevano i latini, e vi garantisco che per
capire le radici e il significato del Carnevale un po' di sana follia vi ci
vorrà. Però scoprirete che maschere, cortei, scherzi e dolciumi hanno delle origini
molto più antiche, genuine e profonde
di quello che si crede. E che il Carnevale, in fondo, ci insegna che la vita è
tutta un gran gioco: ci sono quelli che impongono le regole,
quelli che le seguono e quelli che le rompono, ma soprattutto ci sono quelli
che le cambiano.
Italiano, cristiano e recete? Nient'affatto, il Carnevale è multietnico, multiculturale e plurisecolare
Se pensate al Carnevale, quali
sono gli aspetti principali che vi vengono in mente? Io direi le mascherate,
le sfilate a ritmo di canti e di musica e le parate di carri. Ma
anche un’atmosfera caotica e frizzante in cui tutti possono
essere chiunque e vestono i panni di strani personaggi e bizzarre
creature. E un mondo temporaneamente alla rovescia
in cui tutto ci è concesso, in cui “Ogni scherzo vale!”,
perché convenzioni e morale comune in quei giorni non sono più validi.
Verrebbe da pensare che sia tutto
molto moderno, perché le maschere di Venezia e i carri di Viareggio non
c’erano di certo un migliaio di anni fa. Eppure le origini di tutto questo sono
antiche di secoli o millenni, derivano da tante tradizioni di tante
culture, e perfino il periodo in cui si festeggia ha più
di una ragione alle spalle.
Akītu, Saturnalia e Lupercalia: il risveglio del Sole e della natura alle porte del nuovo anno e della primavera
Nell’antica Babilonia, il primo giorno dell’anno corrispondeva all’equinozio di primavera (intorno al 21 marzo), perché, come da quel momento comincia un nuovo ciclo per la natura, così ne inizia uno nuovo anche per la vita dell’uomo. Perciò, nel 1° giorno di Luna piena dopo l’equinozio, si celebrava l’Akītu, una festa di 12 giorni fatta di tanti rituali sia pubblici che privati, ma di cui erano tre quelli fondamentali. Primo, si ripercorrevano le tappe dell’Enūma Eliš, il mito babilonese che descrive la creazione del mondo. Secondo, attraverso la creazione e la processione di statue, si riproponeva il mito di Marduk, il dio che, dopo aver sconfitto Tiamat, una dea dragone primordiale, crea il mondo e gli uomini a partire dalle acque originali. E terzo, in uno di questi giorni il Re di Babilonia veniva temporaneamente deposto, era umiliato pubblicamente dal šešgallu, il grande sacerdote, e costretto a rinnovare la sua promessa di servire gli dèi e provvedere alla comunità. Fu una festa che si mantenne per millenni, che si diffuse anche in altri Paesi, e che, infatti, nel 3° secolo venne introdotta anche in Italia dall’Imperatore romano Eliogabalo (218 – 222).
Nell’antica Roma, fra il 17 e il 23 dicembre, si celebravano i Saturnalia per festeggiare il solstizio d’inverno e la “rinascita” del Sole, e quindi il ritorno della terra fertile e il dio Saturno che la rappresentava. Anche qui c’erano cerimonie pubbliche e private, con banchetti e scambi di regali, ma anche con mascherate, orge e gioco d’azzardo, che nel resto dell’anno era proibito. Le attività lavorative erano sospese, non era permesso amministrare la giustizia o emanare dichiarazioni di guerra, e si credeva che, con la terra incolta a causa del clima, le divinità infernali fossero libere di vagare fra i vivi. Ma l’aspetto più particolare era l’inversione dei ruoli sociali: in questi giorni, i servi erano uomini liberi, potevano mancare di rispetto ai loro padroni, e questi non solo non potevano punirli, ma dovevano anche servigli i pasti a tavola; e soprattutto, veniva incoronato il princeps Saturnalicius, un Re fantoccio che aveva il “potere assoluto” sulla festa, emanava ordini ridicoli e capricciosi e che, alla fine dei festeggiamenti, veniva detronizzato.
Infine, sempre nel mondo romano, fra il 13 e il 15 febbraio si festeggiavano i Lupercalia. Era il culmine dell’inverno, e questo, in epoche arcaiche, rappresentava un pericolo per persone e bestiame, un po' a causa del clima, ma anche a causa dei lupi, resi affamati e deperiti dalla stagione, e quindi più aggressivi. Perciò la festa era celebrata in onore del dio Fauno, protettore delle greggi; si offrivano in sacrificio delle capre per placare la fame dei lupi; e il tutto era officiato da dei sacerdoti chiamati Luperci, che vestivano con pelli di capra, si cospargevano il corpo di grasso e si coprivano la faccia con maschere di fango. Compivano anche dei riti di purificazione, ma li vedremo meglio fra poco.
Depurarsi prima di rinascere: da Roma con Lupercalia e Mamuralia, dalla Grecia con Antesterie e Dionisie
Prima di tutto, bisogna tener presente che, fra i Romani, il primo mese dell’anno è stato considerato marzo per lungo tempo, e questo per dei motivi identici a quelli dei Babilonesi (e tanti altri popoli), cioè perché era il mese della primavera, e quindi della rinascita della natura. L’ultimo mese era quindi febbraio, che per questo era dedicato a numerosi riti e feste di purificazione: perché, prima di accogliere il “nuovo”, è necessario depurarsi dal “vecchio”. Tant’è che proprio per questo si chiama “febbraio”, nome che deriverebbe da “februus” , cioè "purificante".
Questo aspetto era presente anche nei Lupercalia che abbiamo appena visto, e per almeno due motivi. Primo, perché dalle pelli delle capre sacrificate i Luperci ricavavano delle “fruste” chiamate “februa”, e con queste colpivano terreni e persone per favorirne la fertilità e il prossimo “risveglio”. E poi perché, secondo alcune teorie, la festa delle origini doveva anche essere l’occasione in cui rinnovare o riconfermare simbolicamente il Re, cosa che avveniva per mano del magister dei Luperci.
Le Antesterie e le Dionisie erano sempre feste di rinnovamento e purificazione, però di origine greca. Le prime si tenevano fra l’11 e il 13 del mese Antesterione (febbraio – marzo), le altre fra il 10 e il 14 di Elafebolione (marzo – aprile), ma tutte e due erano feste di rinascita alle porte della primavera e dedicate al dio Dioniso. Erano fatte di molti rituali, però tutti simili a quelli che abbiamo già visto, cioè mascherate e cortei di carri, orge e gare di bevute, processioni di statue divine come quella di Dioniso e riti sacrificali. In più, si facevano offerte ai Keres, spiriti di persone scomparse per morte violenta che in quei giorni si credeva che vagassero fra i viventi; la stessa cosa che si faceva a Roma con i Mani, gli spiriti degli antenati che erano festeggiati con i Parentalia fra 13 e 21 febbraio.
Infine, in una data imprecisata fra
il 14 e il 15 marzo, si festeggiavano i Mamuralia,
durante i quali un fantoccio chiamato Mamurio Veturio veniva
vestito di pelle e di stracci, portano in processione e scacciato
dalla città a suon di scherni e bastonate. Tutto ciò perché il 15 marzo
fu una delle tante date usate dai Romani come Capodanno, e il
fantoccio rappresentava simbolicamente l’anno vecchio da cui
“depurarsi” per far spazio a quello nuovo.
“Colei dai molti nomi”. Era così che veniva chiamata Iside, la maggiore divinità femminile della mitologia egizia. Perché nacque come una divinità celeste, ma nel corso dei secoli le sue competenze diventarono sconfinate. Era la dea della maternità e della fertilità, quella che inventò l’agricoltura e istituì il matrimonio. Era considerata una potente maga, che veniva invocata negli incantesimi di guarigione, e che guidava e proteggeva i suoi seguaci nel viaggio verso l’al di là. Ma era anche l’inventrice delle leggi e la patrona protettrice dei porti, delle navi e dei navigatori. Tra il 4° e il 2° secolo a. C. il suo culto si diffuse in tutto il Mediterraneo, anche in Italia, a partire dalla Magna Grecia, e certamente era presente a Roma già dal 1° secolo a. C..
Il mito più famoso
che la riguarda è quello che la lega a Osiride, suo fratello e
dio dell’agricoltura, dei cicli stagionali e della civilizzazione. Per
vendicare un’offesa o il tradimento con sua moglie Nefti, il dio Seth,
suo fratello, lo uccise, smembrò il suo corpo e lo sparpagliò per
tutto l’Egitto. Ma Iside e Nefti riuscirono a ricomporlo e, con
l’aiuto di Toth e Anubi, riuscirono a riportalo in vita; da
allora, Osiride diventò il dio della Duat, l’oltretomba, Iside fu
la sua sposa e il dio Horus fu il frutto del loro
matrimonio.
La festa del Navigium
Isidis (La nave di Iside), nata in Egitto e presente a Roma
almeno dal 1° secolo d. C., era una festa che ripercorreva
proprio questo mito, e che si celebrava nel giorno della prima Luna piena
dopo l’equinozio di primavera. C’erano persone in maschera,
e lunghe processioni in cui si spargevano fiori, balsami e
profumi. E c’era una barca di legno, ornata di fiori e piena di
offerte, che veniva portata in parata dal locale tempio di Iside
fino al fiume o al mare più vicino, e qui veniva lasciata alla corrente.
Il senso della festa era quello di favorire la rinascita
imminente della natura, così come Osiride rinasceva nel mito, e
la barca simboleggiava la barca sacra con cui ogni defunto
attraversa l’al di là sotto la protezione di Iside.
Babilonesi di qua e Romani di là, Greci a destra ed Egizi a sinistra. Sembra tutto un gran casino, ma forse non poteva essere altrimenti: la festa più pazza del mondo ha delle origini tanto matte e caotiche quanto sé stessa. Però c’è una logica dietro ogni follia, e ancora prima ci sono dei sentimenti, e quelli che stanno dietro al Carnevale sono forse lo specchio dei concetti più ancestrali e radicati nell’uomo: il tutto e il nulla, l’ordine e il caos, la vita e la morte.
Queste feste erano tutte collocate alle porte dell’anno nuovo, alle porte della primavera, o al momento della “rinascita” del Sole dopo il solstizio d’inverno, perché segnavano la fine e il nuovo inizio del ciclo del Sole, delle stagioni, della vegetazione, e quindi della vita e dell’universo stesso. Perciò, per festeggiare questo passaggio fra vecchio e nuovo, fra passato e futuro, o perfino per favorirlo, ecco che si metteva in scena una rappresentazione simbolica di tutti e due, prima una del nulla e poi una della creazione, prima una del caos e poi una dell’ordine. In altre parole, una rappresentazione della nascita stessa del cosmo.
All’inizio tutto è caos, e infatti Tiamat e Seth sono due divinità che lo rappresentano. In questo stato non c’è nessuna distinzione fra vita e morte, o fra uomo e altri animali, perciò ecco che gli inferi, i Keres, i Mani o i lupi si mescolano al mondo dell’uomo e a quello dei vivi; e non c’è nemmeno distinzione fra una persona e l’altra, per cui ecco che si indossa una maschera, che rende tutti anonimi e fa vestire i panni di queste creature. Ma non c’è nemmeno differenza fra nascita e concepimento, o fra uomo e donna, perciò le orge rappresentano il caotico momento dell’unione degli opposti prima della nuova vita. E se non c’è separazione fra tutto questo, figuriamoci se ce n’è una fra regole e anarchia, o fra popolo e autorità, per cui ci si ubriaca e ci si spassa con attività illecite, veri Re vengono deposti e falsi Re vengono eletti, e fra servi e uomini liberi si annullano diritti e doveri.
Ma, per permettere la vita, questo stato di disordine non può durare, in qualche modo si deve innescare la creazione. E allora ecco Marduk che sconfigge Tiamat e crea il mondo dalle acque, il dio della civiltà Osiride viene resuscitato da Iside, e Fauno e Dioniso portano protezione agli animali e nuova linfa nelle piante. Si fanno offerte ai defunti per invitarli a tornare nel loro mondo, si cerca di infondere la fertilità nella terra e nelle persone, e si scaccia il fantoccio dell’anno vecchio perché faccia posto a quello nuovo. Infine, il falso Re viene deposto, e quello vecchio o uno del tutto nuovo viene riconfermato o incoronato.
I giorni "grassi" e il nome del Carnevale: origini cristiane? I primi sì, il secondo no
Ci sono quei giorni in cui la festa raggiunge il suo apice che si chiamano “Giovedì Grasso” e “Martedì Grasso”. C’è la data di inizio e di fine che non è mai la stessa, perché cambia tutti gli anni. E poi c’è quel nome, “Carnevale”, che come tutti i nomi fa chiedere da dove derivi che cosa significhi. C’è chi sostiene che tutta la tradizione del Carnevale non abbia nulla di antico e che i suoi rituali e il periodo in cui si svolgono siano tutti successivi al Cristianesimo; anzi, addirittura che siano in conseguenza del Cristianesimo, cioè come una sorta di “rito preparatorio” che anticipa il periodo della Quaresima e della Pasqua. Ma, come abbiamo visto fino ad ora, le radici del Carnevale affondano fra le sabbie del tempo fino a migliaia di anni fa. Perciò come stanno davvero le cose?
Che l’istituzione della Pasqua c’entri qualcosa è vero, ma non nel modo in cui si pensa comunemente. Adesso non entrerò nei dettagli perché richiederebbe un intero argomento a sé stante, però, intanto, possiamo dire questo: la regola generale per il calcolo della Pasqua venne definita col Concilio di Nicea del 325, e stabilisce che deve cadere nella 1^ domenica dopo la 1^ Luna piena dopo l’equinozio di primavera. Se ci vedete delle somiglianze strabilianti con le ricorrenze di Akītu e Navigium Isidis è perché non si tratta affatto di una coincidenza, ma piuttosto perché lo scopo era esattamente quello di sovrapporre la Pasqua a queste feste. Comunque, dato che il calcolo è questo, ne deriva che le date limite in cui può cadere sono 22 marzo o 25 aprile. La Quaresima, invece, è quel periodo di 46 giorni che precede la Pasqua (40 se si escludono le 6 domeniche), fatto di opere di penitenza come la carità, la preghiera, il digiuno ecclesiastico e l’astinenza dalla carne il venerdì. Il giorno in cui inizia è il Mercoledì delle Ceneri, viene osservata da dopo il Concilio di Nicea, e il suo senso è quello di rappresentare simbolicamente i 40 giorni di digiuno che Gesù passò nel deserto dopo il battesimo, e prima di iniziare il suo ministero.
Stando così le cose, capite bene che la Quaresima poteva iniziare nelle date limite di 4 febbraio o 10 marzo, perciò andava ad intaccare proprio il periodo in cui ricorrevano tutte le feste che abbiamo visto. E queste feste, anche se iniziarono ad essere proibite dopo l’affermazione del Cristianesimo nel 4° secolo, non ne volevano proprio sapere di mollare la corda, perciò toccò a Papa Gregorio I (590 – 604) prendere dei provvedimenti: si stabilì che, da allora in poi, tutti i festeggiamenti carnevaleschi dovevano tenersi entro e non oltre l’inizio della Quaresima, perché tutti quegli aspetti libertini non si addicevano per niente al periodo pio e penitenziale che seguiva. In pratica, si decise di concedere una “pazza gioia” prima di una “pazza astinenza”.
Sulle date di inizio del Carnevale esistono tutt’oggi tante tradizioni, tipo 26 dicembre, 7 gennaio, 17 gennaio, gli ultimi tre giorni, oppure quei sei giorni fra Giovedì e Martedì Grasso. In ogni caso, il termine ultimo è proprio il Martedì Grasso, il giorno prima del Mercoledì delle Ceneri. E come mai questi giorni sono chiamati “grassi”? Perché secoli fa, a causa della Quaresima, le scorte di cibi calorici fatte durante l’inverno sarebbero andate a male se non si fossero consumate per altri 46 giorni; e se anche non c’erano scorte a rischio, c’era comunque un periodo di 6 settimane di astinenza da carne, latticini, o zuccheri, o di digiuno fino al tramonto, che aspettava ogni devoto cristiano. Perciò, ecco che nei giorni precedenti ci si abbuffava a più non posso.
A questo proposito, c’è chi dice che la parola “Carnevale” derivi da “carnem levare”, cioè “eliminare la carne”, che quindi si riferisce a questa tradizione di scorpacciata prima e di digiuno poi. Ma, secondo altri, deriva da “carrus navalis”, cioè “carro navale”, che è proprio il nome del carro che trasportava la nave di Iside durante la sua festa. Si potrebbe star qui all’infinito a discutere su quale nome gli assomigli di più, però teniamo a mente tre cose: le usanze del Navigium Isidis sono palesemente identiche a quelle del Carnevale di oggi; la Pasqua è stata pensata con quel criterio per sostituire la festa di Iside e la resurrezione di Osiride con quella di Gesù; molti titoli che oggi sono attribuiti a Maria erano un tempo assegnati a Iside (Regina dei Cieli, Madre di Dio, Grande Vergine, Stella Maris, Stella del mattino, ecc…). Perciò, non è tanto improbabile che anche il nome del Carnevale abbia le stesse origini delle sue tradizioni.
Le tradizioni più tipiche sono sia antiche che recenti
Le maschere più famose e i carri allegorici
Le maschere di Carnevale più gettonate di oggi fra adulti e bambini sono chiaramente molto recenti, perché si parla di personaggi tratti da film, serie tv, videogiochi e, nei casi un po' più “vecchi”, da romanzi, racconti e fiabe. Anche le maschere più classiche, comunque, non sono così antiche come si può pensare. Vedi Pulcinella, Pantalone o Colombina; Arlecchino, Brighella e Balanzone; o anche Stenterello, Pierrot e Capitan Spaventa. Sono tutti personaggi che derivano dalla Commedia dell’Arte, l’antenata del teatro che nacque in Italia nel 16° secolo, fatta di spettacoli all’aperto, canovacci al posto dei copioni, e personaggi ricorrenti come quelli che ho citato ora: le loro maschere erano una caricatura dei ruoli sociali più diffusi del loro tempo, tipo il mercante avaro (Pantalone), il professore saccente e presuntuoso (Balanzone), oppure il servo astuto e malizioso (Brighella).
Ma, come abbiamo visto, l’usanza di indossare delle maschere in “occasioni carnevalesche” è antica di almeno un paio di millenni, e infatti alcune di quelle usate ancora oggi hanno delle origini davvero arcaiche. Molte delle maschere tradizionali del Molise, della Basilicata o della Sardegna, per esempio, rappresentano animali domestici come capre, pecore e buoi, animali selvatici come cervi, orsi e cinghiali, e uomini tipo contadini, allevatori e cacciatori; tutte insieme a mettere in scena rappresentazioni di sacrifici, battute di caccia o addomesticazione. Perché? Perché sono l’eredità di antichi rituali che, ancora una volta, si praticavano a cavallo fra inverno e primavera, fra riposo e risveglio della natura, e che quindi avevano lo scopo di favorire la fertilità, l’abbondanza e la salute del bestiame, dei raccolti e delle persone.
Oppure, vedi il caso del famosissimo Arlecchino. È vero, lo abbiamo appena detto, il suo personaggio deriva dalla Commedia dell’Arte e rappresenta il servo ignorante, sempre affamato, ma anche astuto, burlone e spiritoso. Però le origini di quel personaggio sono talmente antiche che, di nuovo, si legano al solstizio d’inverno, ai demoni e al culto del Sole. Parte tutto con la Caccia Selvaggia, un motivo ricorrente nelle mitologie dell’Europa del centro e del nord: è un’epica battuta di caccia che si tiene nel periodo del solstizio d’inverno, condotta per cielo e per terra ai danni di vari esseri mostruosi, e guidata da personaggi mitici, eroi caduti in battaglia, o divinità come Odino; e proprio Odino, in questa sua veste di capocaccia, era chiamato Herla o Erlkönig in germanico, che diventò Herla Cyning in anglo-sassone e Herlequin in francese antico. Col passare dei secoli e dopo la cristianizzazione, la Caccia Selvaggia si trasformò in una schiera di demoni che inseguivano le anime dei dannati e i peccatori per condurli all’inferno e, nella versione francese, Herlequin era proprio il leader dei demoni, un emissario del diavolo che indossava una maschera nera. Infine, arrivati al 13° secolo, questa Caccia era ormai diventata nell’immaginario una schiera di diavoli comici e sghignazzanti, ed Herlequin un demone chiassoso, scurrile e dispettoso: ancora qualche secolo e, quando la Commedia dell’Arte arrivò in Francia, il “secondo Zanni”, cioè il servo sciocco e spassoso, venne ribattezzato proprio Herlequin. Insomma, il nostro Arlecchino nasce come un dio, si trasforma in un demone, attraversa il palcoscenico come un servo burlone, e infine diventa una maschera di Carnevale.
E che cosa dire delle spettacolari parate di carri? Si è visto che anche queste hanno origini antichissime, perché i "carri di ieri" erano le statue divine di Marduk o Dioniso, il carro navale di Iside e Osiride, o il fantoccio di Mamurio Veturio. I "carri di oggi", quelli che vediamo sfilare a Viareggio o a Rio de Janeiro, sono quindi una loro eredità, anche se si chiamano "carri allegorici" e hanno tutto un altro significato: sono una rappresentazione ironica e satirica di personaggi famosi o di temi di attualità. I carri intesi in questo modo nacquero per l'appunto a Viareggio nel 1873 da un’idea degli operai portuali, che all’inizio li costruirono in legno, juta o scagliola, poi passarono alla cartapesta a partire dal 1925.
Coriandoli, stelle filanti e dolci fritti
Qualcuno dirà che coriandoli e stelle filanti, quando va bene, sono biodegradabili, altrimenti sono in PVC, perciò è impossibile che siano antichi. Eppure, se è vero che il come sono fatti è un’invenzione moderna, l’usanza di spargere e lanciare oggetti in “occasioni carnevalesche” è antica quanto il tempo. Basta guardare al Navigium Isidis: già il filosofo e scrittore Lucio Apuleio (125 – 170), nelle sue “Metamorfosi”, descrive donne che spargono fiori, balsami e profumi lungo tutta la processione del carro. In tempi più recenti, nell’Italia del Rinascimento, si lanciavano semi della pianta del coriandolo ricoperti di zucchero (da cui il nome), che più tardi lasciarono il posto a palline di gesso. I coriandoli e le stelle filanti per come li intendiamo oggi, invece, all’inizio erano di carta, e qualcuno dice che li abbia inventati l’ingegnere Enrico Mangili nel 1875, altri l’ingegnere Ettore Fenderl nel 1876.
Freschi del secolo scorso, o al massimo di quello prima, sono anche le stelle filanti spray, la schiuma e la Lingua di Menelicche. Le prime bombolette furono brevettate e realizzate fra gli anni ’20 e ’40 del Novecento, e le prime stelle spray nacquero per puro caso nel 1972 per mano di un inventore e di un chimico americani, Leonard A. Fish e Robert P. Cox. La Lingua di Menelicche, invece, fu inventata nel periodo fra il 1881 e il 1896, cioè fra l’inizio del colonialismo italiano e la fine della Guerra di Abissinia. Il suo nome lo prese infatti da Menelik II, imperatore di Etiopia, che pare fosse un tipo dalla lingua molto tagliente, e che non esitò a ribellarsi quando l’Italia cercò di ingannarlo con il Trattato di Uccialli del 1889.
E se c’è un’altra cosa tipica del
Carnevale, di sicuro la troviamo in cucina, cioè i dolci fritti
come i cenci. Così è come vengono chiamati in Toscana,
in altre Regioni sono conosciuti come chiacchiere, bugie, sfrappole,
crostoli o manzole, ma l’origine è per tutti la stessa: derivano
dai frictilia, dei dolci fritti nel grasso e guarniti di
miele che, ai tempi dei Romani, si distribuivano alla folla in
gran quantità, proprio in occasione di alcune feste come i Saturnalia.
Quando si parla di tradizioni spirituali antiche, di solito, si ripete sempre il solito copione: durano per secoli e poi arriva una tradizione monoteista che fa di tutta l’erba un fascio e le cancella o le assimila, specialmente quando si parla di Cristianesimo. Ma forse, con il Carnevale, lo spettacolo non si è svolto come da programma. Il potere crescente della Chiesa, la censura e la persecuzione di credenze pagane, e il ripetere per secoli e secoli la tradizione della Quaresima, hanno portato a credere che perfino il nome della festa fosse “merito” del Cristianesimo, ma la verità è che il Carnevale, forse, è il “nemico” che più di ogni altro la Chiesa non è mai riuscita a sconfiggere. Perché la morale del Carnevale è l’antitesi di quella Cattolica, è l’audacia e la libertà che si oppongono alla preghiera e al pentimento, è il caos che contrasta l’ordine. E infatti, se ha resistito così tanto, credo che sia un motivo ben preciso e molto profondo.
Credo che, in quanto umani, in quanto esseri senzienti, materia autocosciente, non ci sia cosa al mondo che sentiamo più impellente di cercare un equilibrio fra ciò che è caos e ciò che è ordine. Tant’è vero che lo facciamo ogni giorno della nostra vita: il primo estremo è fatto di scelte “distruttive” perché anarchiche, imprevedibili, irrazionali, ma sono “distruttive” anche quelle all’estremo opposto, perché sono rigide, repressive e accomodanti. Che cosa scegliere fra rischio e sicurezza? Fra altruismo ed egoismo? Fra verità e bugia? Fra perdono e vendetta? Oppure fra libertà e regole? O fra originalità e tendenza? O ancora fra intuito e logica? Sono piccole o grandi scelte che ci ritroviamo a fare tutti i giorni dalla notte dei tempi, perché il gioco fra opposti è insito nella natura delle cose, e anche in quella umana. E il caso più eclatante di scelta fra ordine e caos è la nostra stessa società, perché è un tentativo di vivere tutti quanti, tutti insieme, senza affrontare tutti i giorni una vita che, altrimenti, sarebbe una “legge della giungla”.
Fino a qui, nulla di male. Ma il problema è che la vita sopravvive solo nella via di mezzo, mai negli estremi, e scivolare negli estremi è facile ed ammaliante, perché non richiede lo sforzo di mantenere l’equilibrio fra i due. E così, spesso, è stata costruita una società che non punta alla convivenza fra di noi, o fra noi e il mondo, ma una “super-ordinata” che mira al controllo di pochi su molti e dell’uomo sulla natura. La società di oggi è il caso più esemplare, perché è quella industriale: partita con la standardizzazione dei metodi di produzione, è arrivata a standardizzare tutto quanto, dal modo di vestire a quello di mangiare, da quello di lavorare a quello di divertirsi, da quello di imparare a quello di curarsi. Nel tentativo di sfuggire al caos, siamo finiti nell’estremo dell’ordine, dove c’è un modello per fare qualsiasi cosa, anche per vivere. Peccato, però, che la realtà non è fatta di bianco e di nero, ma di miliardi di sfumature di grigio, miliardi di variabili, e miliardi di individui unici e irripetibili. Pretendere di incasellare tutta questa diversità in schemi fissi reprimendo ciò che sta scomodo è pura follia, e infatti è per questo che il Carnevale non ha mai perso il suo fascino, è sopravvissuto nei secoli e ha vinto tutto: è la natura di ognuno di noi, quella dell’uomo e quella del mondo che spezza le catene e si rivela per ciò che è davvero.
C’è qualcuno che, ancora oggi,
critica il Carnevale per via degli “eccessi” nello scherzo e nel
cibo, per via della “oscenità” di alcuni costumi, o per via dei “pericoli”
che corrono i bambini fra il freddo e le spade di Zorro. Ecco, questo è proprio
un esempio di quello che si intende con eccesso di sicurezza, mania
per le regole e repressione di emozioni. Tutto l’opposto
di quello che dovrebbe essere la vita di ogni giorno, e di quello che è il messaggio
e la lezione del Carnevale, 5.000 anni fa come oggi: un po'
di ordine fa bene, ma tante cose nella vita non seguono
regole fisse e prevedibili, perciò, per affrontarle, c’è da abbracciare un
po' di caos.
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Fonti:
- "Ancient Origins" - The Ancient Akitu Festival and the Humbling of the King
- "Ancient History Encyclopedia" - Saturnalia
- "Romanoimpero" - Le origini del Carnevale
- "Romanoimpero" - Culto di Iside
- "Romanoimpero" - Lupercale
- "Storieromane" - Il Navigium Isidis e il Carnevale
- "Books Google" - Vite Parallele, Plutarco (Lupercalia)
- "Aton-Ra" - Barche solari, funerarie, lunari degli antichi Egizi
- "Sapere.it" - Carnevale
- "Sapere.it" - Mamurio Veturio
- "Sapere.it" - Cos'è la Commedia dell'Arte?
- "Sapere.it" - Perché a Carnevale si mangiano le chiacchiere?
- "Carnevale di Viareggio" - Storia e tradizione
- "Carnevale di Venezia" - Coriandoli e stelle filanti: 5 versioni storiche fra ingegno e fantasia
- "Sardinia Magic Experience" - Carnevale in Sardegna: il significato delle maschere sarde
- "Archeologica toscana" - Grandi Dionisie
- "Storia romana e bizantina" - Le Grandi Dionisie
- "History Collection" - Carnival
- "Theoi" - Keres
- "Online Etymology Dictionary" - Harlequin
- "Encyclopedia Britannica" - Ker
- "Encyclopedia Britannica" - Ash Wednesday
- "ANSA" - Compie 80 anni il brevetto della bomboletta spray
- "Enciclopedia Treccani" - Carnevale
- "Enciclopedia Treccani" - Iside (1)
- "Enciclopedia Treccani" - Iside (2)
- "Enciclopedia Treccani" - Iside e Osiride
- "Enciclopedia Treccani" - Saturnalia
- "Enciclopedia Treccani" - Capodanno
- "Enciclopedia Treccani" - Lupercalia
- "Enciclopedia Treccani" - Febbraio
- "Enciclopedia Treccani" - Parentalia
- "Enciclopedia Treccani" - Antesterie
- "Enciclopedia Treccani" - Dionisie
- "Enciclopedia Treccani" - Ker
- "Enciclopedia Treccani" - Mercoledì delle Ceneri
- "Enciclopedia Treccani" - Quaresima
- "Enciclopedia Treccani" - Pasqua
- "Enciclopedia Treccani" - Arlecchino
- "Enciclopedia Treccani" - Lingua (di Menelicche)















