Il risveglio della natura esteriore e interiore è la vera origine della sua data, del suo significato e delle sue tradizioni
Come recita un vecchio proverbio,
“Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi!”, forse perché,
con la scusa della primavera, molti festeggiano anche all’aperto
oltre che in casa. La carne di agnello e la colomba-panettone
sono uguali un po' dappertutto, ma le uova c’è chi le compra al
cioccolato o per farle sode, e c’è chi gioca a una caccia al tesoro per
scovarle nel bosco. E il coniglio? Per molti è solo quello di
cioccolato, ma per molti altri è un Babbo Natale della Pasqua che
porta dolci e giocattoli.
D’accordo, per i cristiani è la Resurrezione
di Gesù. Ma tutti questi simboli e tradizioni che cosa c’entrano
col Cristianesimo? In che modo un agnello, una colomba, un coniglio e un uovo
sono legati a questo evento? E poi perché la data della
Pasqua non è sempre la stessa, ma cambia di anno in anno?
Per rispondere a queste domande
bisogna tuffarci in tanti periodi storici, curiosare fra le
culture di altrettante popolazioni, e cercare il pelo nell’uovo fra
quelle che sono considerate “Sacre Scritture”. Unendo tutti
questi puntini tutti quei simboli trovano un senso ma, allo
stesso tempo, ne danno uno alla Pasqua che è ben diverso da
quello che si crede: l’unica, vera e genuina rinascita che rappresenta è quella
della natura e di tutti quanti noi.
A primavera e con la data mobile perché a rinascere è la natura, e a variare sono i moti della Luna
Culture di ogni luogo e di ogni
tempo, intorno all’equinozio di primavera, festeggiano la
rinascita della natura, e con essa la rinascita di divinità che
rappresentano la vegetazione selvatica o i raccolti
dell’uomo. Però sono soprattutto tre le tradizioni che stanno
all’origine della Pasqua cristiana: Navigium Isidis, Antesterie e
Dionisie, e Sanguem.
NAVIGIUM ISIDIS. Secondo la mitologia egizia, Osiride, Iside, Seth e Nefti sono quattro dèi fratelli, figli di Nut e Geb, gli dèi del cielo e della terra. Nefti, per Seth, diventa anche la moglie, e poiché un giorno Osiride le reca offesa, Seth lo uccide, smembra il suo corpo e lo sparpaglia per tutto l’Egitto. Ma Iside e Nefti riescono a ricomporlo e, con l’aiuto di altri due dèi, Toth e Anubi, riescono a riportarlo in vita. Così Osiride, nato come dio dell’agricoltura, dei cicli stagionali e della civiltà, diventa anche dio della Duat, l’Oltretomba, Iside diventa la sua sposta e il dio Horus sarà il frutto del loro matrimonio.
Tra il 4° e il 2° secolo a.C., il culto di Iside si diffuse in tutto il Mediterraneo, Italia compresa, e con esso si diffuse anche la sua festa: il Navigium Isidis (La nave di Iside), una festa che a Roma si celebrava almeno dal 1° secolo d.C., che ricorreva nel giorno della prima Luna piena dopo l’equinozio di primavera e che ripercorreva proprio questo mito di Osiride. C’erano persone in maschera, lunghe processioni, e soprattutto una barca di legno, ornata di fiori e piena di offerte, che veniva portata in parata dal locale tempio di Iside fino al fiume o al mare più vicino, dove veniva lasciata alla corrente. In tutto questo, la barca simboleggiava la barca sacra con cui ogni defunto attraversa l’al di là sotto la protezione di Iside, e anche il viaggio condotto dalla dea per mare e per terra per ritrovare le parti di Osiride; e festeggiare la sua resurrezione, dato che era dio dei raccolti e delle stagioni, voleva dire festeggiare e favorire la rinascita della natura con la primavera.
ANTESTERIE e DIONISIE. Erano feste di origine greca che giunsero a Roma dal 2° secolo a.C., e che venivano celebrate in onore di Dioniso, dio della vegetazione, dell’ebrezza e dell’estasi. Le prime si tenevano fra l’11 e il 13 del mese Antesterione (febbraio – marzo), le altre fra il 10 e il 14 di Elafebolione (marzo – aprile), ed erano fatte di tanti rituali, come mascherate e cortei di carri, orge e gare di bevute, processioni di statue divine di Dioniso e riti sacrificali. Anche qui, il senso era quello di celebrare la rinascita della vegetazione, così come il suo dio rinasce nel mito.
Di questo mito esistono molte versioni, ma è una quella più diffusa. Zeus ha un figlio da Persefone, di nome Zagreo, di cui vuol fare il suo successore come re degli dèi. Ma sua moglie Era, risentita da questo suo tradimento, si accorda con i Titani, che uccidono Zagreo. Dopo la sepoltura, Atena riporta a Zeus il suo cuore, che allora viene mangiato o da lui o da Semele, una donna mortale, figlia del re di Tebe e ennesima amante di Zeus. In ogni caso, il re degli dèi, in seguito, ha un figlio anche da lei, cioè Dioniso: grazie a questo “passaggio del cuore”, il nuovo dio porta in sé il sangue di Zagreo, che quindi è come rinato.
SANGUEM. Si trattava di una festa romana che si celebrava fra il 15 e il 28 di marzo, a partire dal 204 a.C.. Era fatta di canti e danze, cortei religiosi, e processioni di piante sacre, effigi o statue che rappresentavano Cibele e Attis, cioè la dea della terra e il suo amante, il dio della vegetazione.
E anche il suo è un mito
simile a quello di Osiride e Dioniso. Zeus tenta di possedere Cibele,
ma lei gli resiste, e il seme di lui, finito su una roccia, dà vita ad Agdistis,
un essere ermafrodita, potente, selvaggio e violento. Gli altri dèi
temono il peggio, così inviano Dioniso ad occuparsene, che lo ubriaca e lo
priva del sesso maschile. Ma accade l’imprevedibile: dal sangue che sgorga nasce
un mandorlo (o un melograno), e quando un suo frutto viene mangiato da Nana,
figlia del fiume Sangario, lei rimane incinta e partorisce Attis.
Da adulto diventa tanto bello da far innamorare sia Cibele che Agdistis (ora
femmina), ma siccome lui sposa un’altra donna, Agdistis irrompe al
matrimonio e fa uscire di senno tutti quanti, Attis compreso, che
finisce con l’uccidersi. Alla fine, mosso a pietà dalla tristezza di Cibele,
Zeus fa sì che dal sangue di lui nascano (e rinascano ogni anno) le viole
mammole, oppure che Attis torni in vita come cocchiere
del carro di Cibele.
Pesach, la festa ebraica dell'Esodo
Secondo il racconto dell’Antico Testamento, in un periodo storico imprecisato, alcuni secoli “avanti Cristo”, il popolo ebraico era sottoposto ad una dura schiavitù da parte di quello egizio. Finché Yahweh apparve a Mosè sul Monte Oreb, dove, sottoforma di un rovo ardente, gli intimò di liberare il suo popolo dall’oppressione. Mosè fece di tutto per ottenere la libertà, ma il faraone non cedette mai, perciò Yahweh decise di occuparsene personalmente e scatenò contro l’Egitto le famose “dieci piaghe”.
Prima di scatenare la decima, cioè l’uccisione dei primogeniti, Yahweh apparve di nuovo a Mosè e gli diede istruzioni (Esodo 12): nella notte fra il 14 e il 15 del mese Nisan (marzo – aprile), le famiglie ebree dovevano offrire in sacrificio un agnello, consumarlo e col suo sangue segnare le porte delle case in cui abitavano; la notte stessa, Yahweh avrebbe fatto il giro di ogni casa in cerca dei primogeniti, e in questo modo sarebbe andato a colpo sicuro solo su quelli egiziani, risparmiando gli ebrei. Il popolo eseguì, il dio mantenne la promessa, e allora il faraone si arrese e concesse la libertà al popolo ebraico. Da allora in poi, fu lo stesso Yahweh a disporre che gli Ebrei celebrassero una festa ogni anno, a partire da quel giorno (15 Nisan) e per 7 giorni, per ricordare quell’episodio, cioè la loro liberazione dalla schiavitù.
La festa prese il nome di “Pesach”, che deriverebbe dal verbo “pāsah”, cioè “passare oltre”, quello usato nel testo biblico per descrivere Yahweh che “passa oltre” le porte delle famiglie ebree. Quanto alla data, dire “15 Nisan” equivaleva già allora a dire “nel giorno della prima Luna piena dopo l’equinozio di primavera”, e questo per due motivi: primo, perché il mese Nisan anticamente era detto Abib, un nome che indica uno stato di maturazione dell’orzo che avviene proprio in primavera; secondo, perché il calendario ebraico, allora come oggi, è uno lunisolare, dove il 1° giorno di ogni mese è quello della Luna nuova e il 15° è quello della Luna piena.
Secondo la tradizione, Gesù venne ucciso per crocifissione in un venerdì, che quell’anno corrispondeva al giorno della Pesach (15 Nisan). Il suo corpo venne trasportato in un sepolcro, dove alcuni dei suoi seguaci si recarono tre giorni dopo, una domenica. Ma qui ebbero una sorpresa, perché il sepolcro lo trovarono vuoto, e un angelo annunciò loro che Gesù era risorto. Nei giorni successivi, infatti, prima di ascendere al cielo, Gesù riapparve più volte agli Apostoli per lasciargli un ultimo messaggio: diffondere la sua parola, perché, alla fine dei tempi, tutti coloro che l’avessero abbracciata sarebbero risorti come lui, godendo della vita eterna nell’al di là.
La Pasqua cristiana
celebra proprio questi eventi, e li celebra più o meno a partire dal
Concilio di Nicea del 325. Sui modi e sui tempi in cui farlo ci furono discussioni
che durarono per decenni, specialmente per quanto riguarda la data:
in teoria, doveva essere la prima domenica dopo la Pasqua ebraica,
ma molti suggerivano proprio il giorno della Pesach, e altri
ancora che dovesse cadere sempre e soltanto di domenica. Fino a
che, per non dipendere dal calcolo ebraico della Pesach, si stabilì di
festeggiare la Pasqua nella prima domenica dopo la prima
Luna piena dopo l’equinozio di primavera, che venne
fissato per convenzione sempre al 21 marzo (in realtà oscilla fra
19 e 21). Siccome tutto dipende dalle fasi lunari, e dunque dai
moti della Luna, che non si ripetono identici ogni anno, ecco perché la Pasqua
risulta una festa con la data mobile.
Si può forse dire, allora, che, a differenza di Epifania, Ferragosto, Ognissanti, Natale e tante altre, la festa della Pasqua è una genuina festa cristiana, che non ha mai mirato a sovrapporsi a tradizioni preesistenti? Per la festa sì, lo possiamo dire. Ma per gli eventi che celebra aspetterei di contare almeno fino a un milione prima di affermarlo.
Gli episodi della Resurrezione vengono raccontati nelle Lettere di Paolo e nei quattro Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Le Lettere di Paolo sono datate fra il 50 e il 64, ma solo quelle fra 50 e 57 sono attribuibili a un contemporaneo di Gesù. In alcune di queste (1Co 15:1-8, Romani 8:34, Filippesi 2:8-9) si dice che Gesù tornò in vita “secondo le Scritture”, che apparve ad alcuni seguaci e che ascese al cielo alla destra di Dio, però non si accenna ad alcun dialogo fra i seguaci e Gesù, e non si parla esplicitamente né del sepolcro vuoto, né dell’angelo. I Vangeli, invece, risalgono al 70 – 110, e sicuramente non sono stati scritti da contemporanei di Gesù, ma da autori successivi, del tutto anonimi, che hanno attinto a molte tradizioni sia scritte che orali. Il primo Vangelo in ordine cronologico è considerato quello di Marco (70 d.C.), ed è quello a cui hanno attinto gli altri tre, solo che, alle origini, non finiva come quello che conosciamo oggi col versetto 16:20: terminava col 16:8, perciò parlava del sepolcro vuoto e dell’angelo (assenti in Paolo), ma non delle apparizioni di Gesù, dell’invito a diffondere la sua fede e della promessa di salvezza o dannazione eterna; sono quindi delle aggiunte successive, che infatti si ritrovano anche in Matteo (Mt 28), Luca (Lc 24) e Giovanni (Gv 19-21). Infine, per quanto riguarda la data della morte, Marco (Mc 15:42), Matteo (Mt 27:62) e Luca (Lc 23:54) parlano di un venerdì che era il 15 Nisan (Pesach), ma Giovanni (Gv 18:28) parla di un venerdì che era il 14 Nisan (giorno prima), e infatti molti esperti oggi concordano su questo come il più credibile.
Sembrerebbe, quindi, che gli eventi principali festeggiati dalla Pasqua non siano originali nemmeno dei Vangeli. Ma a quale scopo, allora, sarebbero stati artefatti? Probabilmente con lo stesso con cui sono state artefatte le tradizioni di tante altre festività: sovrapporre il Cristianesimo a credenze spirituali preesistenti.
Nel mondo pagano, abbiamo già visto tre grandi predecessori in Osiride, Dioniso e Attis, tre dèi che rinascono intorno all’equinozio di primavera, con il primo che è perfino connesso al motivo della Luna piena. Ma ci sono anche eroi culturali come Romolo, Ercole/Eralce o Diomede; regnanti come i faraoni egizi, imperatori romani tipo Cesare, Claudio o Vespasiano, o re come Filippo II il Macedone e Alessandro Magno; oppure, personaggi di spicco tipo l’architetto egizio Imhotep, o il poeta greco Aristea. Tutte figure a cui, secondo il mito, è stata concessa l’apoteosi, cioè la divinizzazione e l’immortalità, spesso dopo la loro scomparsa. E che dire dell’Ebraismo? Nell’Antico Testamento (Salmi 16 e 110), cioè nelle “Scritture” citate da Paolo, si parla già di un Messia che salirà al cielo e siederà alla destra di Dio. E si parla anche, per bocca di un angelo (Daniele 10), di una promessa di rinascita e di vita eterna (Daniele 12) – così come, in Matteo (Mt 28), sarà un angelo ad annunciare la rinascita di Gesù, uno con delle fattezze simili a quello che appare a Daniele.
In conclusione, aggiungiamoci che
la domenica è il primo giorno della settimana fra gli Ebrei,
perché considerato il primo della Creazione, e possiamo tirare le
somme: fra stesure originali, aggiunte successive e istituzioni della Chiesa,
la Resurrezione di Gesù, con tanto di data ed elementi della
vicenda, è stata creata ad arte per sovrapporsi a credenze
ebraiche e pagane preesistenti, per giustificare la cristianizzazione
di ogni popolo, e per fare proseliti con la promessa ammaliante
di una rinascita e di una vita eterna dopo la morte (che sarà per tutti, non solo per i potenti e gli eroi).
Colomba, agnello, uova e coniglio: antichi simboli di rinascita fra religione e cucina
La colomba porta pace e speranza, ma da migliaia di anni
C’è quella bianca come la neve che porta nel becco un ramoscello di olivo, e c’è quella cotta in forno guarnita di cioccolato, granella di zucchero e canditi. La colomba è uno dei più tipici simboli della Pasqua ma, se il dolce che tutti conosciamo oggi risale forse ad appena il secolo scorso, la pace e la speranza le rappresenta da molto di più di 2000 anni.
Il colombo è riconosciuto come ottimo animale messaggero almeno fin dall’antico Egitto. Con quel carattere timido e mite, e becco e artigli di piccole dimensioni, dà proprio l’idea di un animale pacifico e indifeso. Se poi ci aggiungiamo il suo tipico e pacato “tubare” quando è in amore, e il colore bianco immacolato di alcuni esemplari, si capisce bene come mai fosse considerato un animale sacro già a Inanna/Ishtar, la dea sumera/babilonese dell’amore e dell’eros, oltre che della guerra e della giustizia. Per gli stessi motivi era associato anche ad Asherah, la dea della maternità e della fertilità dell’antica religione semitica, così come anche alla greca Afrodite e alla romana Venere.
Che poi faccia coppia con
l’olivo non è affatto un caso, perché già in antichità questa pianta
era simbolo di pace, gloria o abbondanza. Nell’antica Grecia, corone di
olivo venivano indossate dalle spose e dai vincitori
dei Giochi Olimpici, e il ramo di olivo era un attributo di Eirene,
la dea della pace. Dei significati simili c’erano anche nel mondo romano, visto
che la pianta era attribuita alla dea Pax, l’equivalente di
Eirene, e anche al dio della guerra Marte nella sua versione di “Pacifer”,
cioè “portatore di pace”.
Gli autori dei Vangeli, quindi, attingono a tutta questa tradizione quando, fra il 1° e 2° secolo, usano la colomba come simbolo dello Spirito Santo che discende su Gesù quando viene battezzato (Mt 3:16-17, Mc 1:10-11, Lc 3:22, Gv 1:32). Il resto lo fanno i primi cristiani che, nelle catacombe, iniziano ad usare la colomba e il ramo di olivo come simbolo di pace e speranza.
Ma allora il dolce da dove
deriva? Su questo circolano diverse leggende, tre delle
quali ne fanno risalire la prima comparsa nel 6°, 7° o 12° secolo. Ma quella
che va per la maggiore la fa datare agli anni 30 del Novecento in Italia:
l’azienda “Motta” aveva da poco fatto successo con il suo nuovo
panettone, finché Dino Villani, artista e pubblicitario, ebbe
l’idea di usare gli stessi innovativi macchinari dell’azienda per
creare un nuovo dolce, questa volta che diventasse tipico
della Pasqua; e fu così che nacque la colomba pasquale.
In Toscana lo mangiano in umido o come spezzatino alla cacciatora, in Puglia lo fanno al forno, nel Lazio fanno l’abbacchio a scottadito e in Campania lo servono con uova e piselli. Così come la colomba, anche l’agnello è allo stesso tempo un simbolo religioso e una tradizione culinaria della Pasqua. Ma perché proprio l’agnello? Anche questo, forse, ha delle origini che sfidano i millenni?
Sappiamo che le pecore
sono stati fra i primi animali ad essere addomesticati
dall’uomo, intorno al 11.000 – 8.000 a.C.. Sono mansueti, di
dimensioni medie, raggiungono velocemente la maturità sessuale e hanno alti
tassi di riproduzione: considerando anche che sono una fonte di carne,
latte e lana, c’è poco da stupisti che siano diventati animali
essenziali, e dunque anche delle divinità e delle tipiche
offerte sacrificali. Proprio come accadeva fra gli antenati
del popolo ebraico, in un tempo in cui erano ancora nomadi e
pastori che non si erano insediati nella Cananea (attuali Libano,
Israele, Palestina, Siria, Giordania).
La stessa festa della Pesach, infatti, prima di essere istituita per come la conosciamo nella Tanakh (la Bibbia ebraica), era un’antica festa pastorale e agricola. Con l’arrivo della primavera i pascoli diventavano ricchi, nascevano i primi agnelli, perciò alcuni di questi si offrivano in sacrificio alle divinità perché proteggessero quel gregge tanto prezioso. Già allora, secondo alcune teorie, il rito poteva essere praticato dopo il tramonto per connessione con le fasi lunari, e il sangue della vittima essere applicato su soglie e stipiti delle porte per proteggere il gregge da pestilenze o infertilità. In seguito, quando il popolo diventò più agricolo e stanziale, si aggiunsero anche altri rituali, come l’offerta di primizie agricole tipo le spighe di orzo, o il consumo di pane azzimo, fatto appunto con questi primissimi semi e senza fermento.
Fu solo dopo, con la diffusione del monoteismo e delle tradizioni bibliche, che questi rituali vennero condensati nella Pesach e usati per festeggiare l’episodio dell’esodo dall’Egitto (che, fra l’altro, è ritenuto non storico). E sempre allora, l’immagine dell’agnello iniziò a essere usata come metafora per il Messia, perché visto come un umile e devoto ambasciatore di Yahweh pronto a subire di tutto pur di condurre l’umanità alla salvezza (Isaia 53:7-12, Salmi 23). A questo punto, ancora qualche secolo, e gli autori dei Vangeli trovarono la strada spianata: oltre che firmarsi col nome degli Apostoli, recuperarono questa metafora e la usarono più volte per indicare proprio Gesù, così da farlo sembrare in modo indiscutibile proprio quell' agnello Salvatore predetto dall’Antico Testamento (1Pietro 1:19; Gv 1:29; Apocalisse 5, 6, 7, 13, 14, 15, 17, 19, 21, 22; Atti 8).
Meglio quello sodo o quello di cioccolata? Forse il secondo è quello più diffuso, ma molte tradizioni, proprio a Pasqua, prevedono anche il primo, perciò ci sta che molti non si facciano tanti problemi e se li mangiano tutti e due. Per cui, casomai, la vera domanda è un’altra: se l’uovo non compare da nessuna parte nella Bibbia, come ha fatto a diventare un simbolo e un piatto tipico della Pasqua?
Il fatto è che c’è un archetipo, un motivo ricorrente in molte mitologie del mondo, e che ha a che fare proprio con un uovo: è quello dell’Uovo Cosmico, cioè l’idea che tutto l’universo, alle sue origini, sia scaturito da un uovo primordiale avvolto nel nulla. Nell’Orfismo, per esempio, all’inizio di tutto ci sono Chronos e Etere, dèi del tempo e del cielo superiore; il primo crea dal caos l’Uovo Cosmico, e da questo nasce Phanes, dio della creazione che poi si unisce alla dea Notte, da lui generata, per creare Urano e Gaia, cioè cielo e terra. Nella mitologia egizia di Ermopili, dall’Uovo nasce il dio solare Ra, che a quel punto crea il mondo e le prime divinità. Fra i Māori delle Isole Cook, all’interno dell’uovo primordiale c’è la Dea Madre Varima-Te-Takere, che in tempi diversi genera sei figli, che saranno le sei divinità principali. Nel Vedismo, l’Uovo Cosmico si rompe da solo e genera per primi Dyaus e Prithvi, dèi del cielo e della terra. Nella mitologia cinese, invece, viene rotto da Pangu, un gigante primordiale nato al suo interno che, nel crescere, separa fra loro le due parti dell’uovo, cioè il cielo e la terra.
In altre parole, l’uovo simboleggia da millenni la nascita di una singola vita così come quella del cosmo intero, e dunque anche la rinascita ciclica che la natura sperimenta ogni anno. Per questo motivo uova di vari animali intagliate venivano sepolte in Mesopotamia, a Creta o in Egitto insieme ai defunti, oppure uova colorate si regalavano in occasione di eventi tipo il Nowruz, un’antica festa persiana dell’anno nuovo che si celebrava con l’equinozio di primavera. Perciò, probabilmente, i primi cristiani di queste aree assorbirono la tradizione, e iniziarono a usare l’uovo come simbolo della Resurrezione.
Ma da quand’è che l’uovo è anche
di cioccolato e con una sorpresa all’interno? Pare che i primi
tentativi siano stati realizzati in Francia alla corte di Luigi XIV
(1643 – 1715), ma il metodo definitivo venne brevettato nell’Italia degli anni
20, a Torino, da parte della casa dolciaria “Sartorio”.
A volte è quello di cioccolato della “Lindt”, altre volte è quello azzurro sulle uova della “Kinder”, oppure è una decorazione generica che compare insieme ad un bel cesto piano di dolci, giocattoli o uova colorate. È più laico che religioso, però anche il coniglio è ormai uno dei maggiori simboli della Pasqua. Ma come mai? Che cosa c’entra il coniglio con le uova (visto che è un mammifero), con i regali e con la Resurrezione? Sarà, forse, perché ha un legame con la rinascita della natura, piuttosto che con quella di un dio?
Se pensiamo a un coniglio, probabilmente ci verrà in mente la velocità, l’agilità e la resistenza, ripensando a quanto corre veloce. Oppure l’innocenza, la tenerezza e l’infanzia, visto che è peloso, soffice, dai lineamenti morbidi e anche un animale da preda del tutto privo di difese (velocità a parte). E forse anche la sessualità, perché è risaputo che è una bestiolina molto prolifica e che, a primavera, si esibisce in delle danze amorose scatenate. Tutto questo, già agli occhi dell’uomo antico, lo ha reso un simbolo della fertilità, della rinascita e della primavera stessa; e anche a quelli dell’uomo moderno, perché non è un caso che sia diventato la mascotte della rivista “Playboy” o delle batterie “Duracell”.
Un esempio, anche se ancora discusso, lo si trova nel paganesimo germanico e anglo-sassone. Alcune teorie lo vedono come un animale legato a Ēostre/Ostara, la dea della primavera e del rinnovamento della vita, simile alla greca Estia, alla romana Vesta e alla slava Živa; tant’è che proprio dal suo nome derivano quelli di “Easter” e “Ostern”, cioè “Pasqua” in inglese e tedesco. In tempi successivi, in Oriente, si diffonde il simbolo delle Tre Lepri, fatto appunto da tre lepri che si rincorrono formando un cerchio o un triangolo. Rappresenta il ciclo nascita-morte-rinascita (per via del numero 3), e anche quello della vita (per via della lepre), perciò, quando si diffonde in Occidente, viene facilmente assimilato da germani e anglo-sassoni, visto che fra loro esistono già dei simboli con forme e significati simili (Triskelion, Triquetra, Valknut…). E viene assimilato anche dal Cristianesimo: primo, perché il triangolo rappresenta la Trinità; secondo, perché in passato si pensava che la lepre fosse ermafrodita, perciò capace di riprodursi senza perdere la verginità, e questo la rendeva associabile a Maria. Ecco perché, a partire dal Medioevo, troviamo le Tre Lepri in sculture, dipinti, manoscritti miniati, gioielleria, e perfino in soffitti e vetrate di chiese, specialmente in alcune inglesi.
Finché arriviamo nella Germania del 16° secolo. Attingendo a tutta questa tradizione, e anche a quella delle uova che abbiamo già visto, inizia a circolare l’usanza del coniglietto pasquale, cioè un coniglio che, nella notte prima di Pasqua, porta ai bambini dei regali fatti di giocattoli, dolci e uova colorate. Giusto il tempo di arrivare al secolo dopo, e molti immigrati tedeschi portano questa tradizione negli Stati Uniti, in Pennsylvania, e da lì al 19° secolo iniziano a comparire i primi coniglietti di cioccolata.
La vera rinascita avviene ogni anno, all'infinito, fuori e dentro di noi
La Pasqua viene considerata la principale festa cristiana, una fatta di gioia, allegria e serenità, perché la Resurrezione che festeggia è la promessa che lo stesso felice destino attende tutti i fedeli. Tant’è vero che proprio da questa associazione, secondo alcuni, deriva il detto “Felice come una Pasqua!”. Eppure, abbiamo visto che le sue più tipiche tradizioni, perfino il calcolo della data, hanno origini antichissime e significati non solo diversi, ma a tratti anche in disaccordo con la morale cristiana. Origini e significati che non hanno nulla da spartire con la rinascita del Messia, ma che tutto hanno in comune con il puro e semplice risveglio della natura, e con le paure e le speranze dell’uomo che questo evento porta con sé. Insomma, anche con la Pasqua si è ripetuto il solito copione di tante altre ricorrenze come Epifania, Ferragosto, Ognissanti e Natale: le vecchie tradizioni e i vecchi simboli sono stati assorbiti e reinterpretati dalla nuova religione per poterli rimpiazzare.
Con una profonda e sottile differenza, però. Mentre nel caso delle altre la sovrapposizione è avvenuta dopo, con l’istituzione di feste, date e tradizioni che ricalcavano palesemente quelle più antiche, questa volta è avvenuta direttamente al livello delle Scritture. Perché? Probabilmente perché l’episodio della Pasqua è quello centrale di tutta la religione cristiana. È quello con cui, spacciandolo come autentico resoconto di testimoni oculari, si è voluto dimostrare e assicurare che veramente, alla fine dei tempi, una rinascita e una vita eterna e beata attenderanno letteralmente chiunque, non solo gli eroi greco-romani. Ed è anche quello che, grazie a delle “aggiustatine” successive, lancia un forte e chiaro messaggio di propaganda: questo sarà il destino di tutti, ma solo di quelli che si convertiranno.
E dire che il vero messaggio delle stesse tradizioni rimpiazzate è ancora più semplice ed ugualitario. La primavera è la stagione in cui la vita si risveglia, si riattiva; è quello in cui sbocciano nuove piante, fiori e frutti, e in cui gli animali approfittano dell’energia e dell’abbondanza per crescere e riprodursi. Ma il ciclo delle stagioni non rimane solo all’esterno, si manifesta anche dentro di noi, anche se in modo inconsapevole. Perciò, se il riposo e la riflessione autunnali e invernali ci hanno portato consiglio per nuovi progetti, questo è il momento ideale per farli sbocciare, per rimettersi in moto, e per aprire i nuovi noi stessi agli altri e al mondo. È questa la vera Resurrezione della Pasqua: non quella che sarà, come la promessa di un biscotto al cagnolino ammaestrato, ma quella della vita fuori di noi e dentro di noi, da ora e per sempre.
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Fonti:
- "Ancient Origins" - The Ancient Pagan Origins of Easter
- "Ancient Origins" - The Very Strange History of the Easter Bunny
- "Ancient Origins" - The great Flood through the Sumerian Tablets
- "Ancient Origins" - The Three Hares Motif: A Cross-Cultural Symbol with Numerous Interpretations
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- "World History Encyclopedia" - Easter
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- "History" - Easter Symbols and Traditions
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- "Enciclopedia Treccani" - Cibele (2)
- "Enciclopedia Treccani" - Attis (1)
- "Enciclopedia Treccani" - Attis (2)
- "Enciclopedia Treccani" - Inanna/Ishtar
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- "Enciclopedia Treccani" - Colombo
- "Enciclopedia Treccani" - Olivo
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- "La cucina italiana" - La colomba di Pasqua: milanese o veronese?
- "La cucina italiana" - Perché a Pasqua si mangia l'agnello?
- "La cucina italiana" - L'uovo di Pasqua? Nacque a Torino
- "Archeologica Toscana" - Grandi Dionisie
- "Storia romana e bizantina" - Le Grandi Dionisie
- "Nehemia's Wall" - Aviv Barley in the Biblical Calendar
- "Chabad" - How Does the Spring Equinox Relate to the Timing of Passover?
- "Books Google" - Reading the New Testament, an introduction (Pheme Perkins)
- "Books Google" - An introduction to the Gospels (Mitchell G. Reddish)
- "Books Google" - Theological Dictionary of the Old Testament: Volume VI (G. Johannes Botterweck, Helmer Ringgren, Heinz-Josef Fabry)
- "Books Google" - Aphrodite (Monica S. Cyrino)
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