lunedì 30 dicembre 2019

Yule, il Natale originale

Le maggiori tradizioni natalizie, le loro origini, il loro significato e la vera magia che racchiudono 

Ogni anno arriviamo a fine novembre e in molti iniziano ad appendere il Calendario dell’Avvento per contare i giorni che li separano da Natale. L’8 dicembre si comincia a rimettere mano agli scatoloni degli addobbi che teniamo in garage, e nell’arco di qualche giorno si costruisce il Presepe, si appende una corona alla porta, si attaccano le luci al balcone, si decora l’albero e si addobba il resto della casa. I mercatini che vendono artigianato di ogni materiale, dimensione e cultura fioccano in negozi e piazze di molte città, qualcuno corre ad acquistare una Stella di Natale che spera di far durare almeno fino all’Epifania, e nell’arco del mese c’è chi visita negozi su negozi per trovare un regalo da fare alle persone a cui tiene di più. 

Da quando è esplosa l’ennesima moda consumistica del Black Friday tutto questo comincia ancora prima, anche dai primi di novembre, ma fermiamoci tutti un secondo: ma perché si fanno tutte queste cose? Perché è Natale, ovviamente, ma appunto: perché è Natale? Quali sono l’origine e il significato di questa festa e di tutte queste tradizioni? Perché ricopriamo un abete di decorazioni, ci scambiamo regali e raccontiamo ai bambini che Babbo Natale farà il giro del mondo per portare loro dei doni?

Non vi affrettate a rispondere che è per festeggiare la nascita di Gesù, perché il Cristianesimo è venuto molto tempo dopo. La verità è che le origini di queste tradizioni scavano di secoli o millenni nel passato “avanti Cristo”, passando fra l’astronomia e le tradizioni di molti popoli. Per arrivare, però, ad un traguardo comune: la vera nascita che festeggia il Natale è in realtà una rinascita, quella del Sole e di ognuno di noi.

Perché si festeggia il Natale proprio il 25 dicembre? Tutta questione di astronomia, religione e politica


Le motivazioni astronomiche: il solstizio d’inverno


La Terra, nell’arco di un anno, compie un giro intorno al Sole seguendo un’orbita a forma di ellissi. Per noi che siamo sul pianeta, sembra piuttosto che sia il Sole a ruotare intorno alla Terra, e ad un’attenta osservazione si può notare che ogni giorno, ad una stessa ora, la sua altezza rispetto all’orizzonte cambiaaumenta da dicembre a giugno e diminuisce da giugno a dicembre (per l’emisfero nord). Il cosiddetto “solstizio” corrisponde allora al momento in cui la sua altezza è massima (intorno al 21 giugno, solstizio d’estate) oppure minima (intorno al 21 dicembre, solstizio d’inverno).

Sempre ad un’attenta osservazione, inoltre, si può notare che, per circa tre giorni, a partire dal solstizio, la sua altezza sembra rimanere la stessa, invariata: è un effetto dovuto al moto di rivoluzione della Terra, che in quei giorni sta arrivando al punto più vicino al Sole (perielio, 3 gennaio) o più lontano (afelio, 2 luglio) e che quindi sta per invertire la sua orbita; non per niente il termine “solstizio” deriva dal latino solstĭtĭum, composto da “sōl” (Sole) e “sistĕre” (fermarsi), perciò “Sole che si ferma”. Nel caso del solstizio d’inverno, il momento in cui si può ricominciare a vedere l’altezza del Sole che aumenta corrisponde al 25 dicembre (nell’emisfero nord).

Tutto questo, già in tempi antichi, era oggetto di culto e festività presso tantissime popolazioni e il motivo è ovviamente legato al Sole: fin dalle sue origini, l’uomo si è sempre reso conto che, se insieme all’acqua, c’è anche luce e calore, e dunque il Sole, la vegetazione è rigogliosa e la terra è fertile; per di più, da sempre, noi umani siamo esseri diurni, capaci di vedere e gestire le nostre attività al meglio solo in presenza di luce. Questo per dire che è stato facile e naturale, per tante civiltà, arrivare a sviluppare un culto nei confronti del Sole come simbolo di vita, rinascita, abbondanza e sicurezza, ed è stato anche spontaneo associare una festività ad un evento come il solstizio d'inverno: segna il momento in cui, dopo la notte più lunga dell’anno, il Sole torna ad alzarsi e le ore di luce ad aumentare.

Le motivazioni religiose: Yule, Saturnalia e Sol Invictus, il Natale prima del Natale


Di festività in questo senso ne esistono molte presso tante culture del mondo, ma quelle di Yule, Saturnalia e Sol Invictus sono le tre che hanno contribuito a creare il Natale che oggi conosciamo.

Yule era la festa del solstizio d’inverno fra le popolazioni germaniche pre-cristiane, festeggiata ancora oggi fra le comunità neopagane intorno al 21 dicembre. Insieme ad Ostara (20 marzo), Litha (21 giugno) e Mabon (22 settembre), era appunto una delle quattro festività associate ai solstizi e agli equinozi, e dunque al ciclo delle stagioni. Non sappiamo di preciso in che cosa consistesse la celebrazione, ma fonti successive come la saga "Heimskringla" (1225) ne parlano di grandi festeggiamenti, sontuosi banchetti, falò e sacrifici di animali. Quello che è certo è che molte delle tradizioni che la caratterizzavano, come vedremo fra poco, erano praticamente identiche a quelle del Natale attuale; fra l'altro, un po' come oggi consideriamo quello del Natale come il periodo "più magico" dell’anno, così il periodo di Yule, fatto di notti fra le più lunghe e le più fredde, era considerato quello in cui l’attività soprannaturale toccava il suo apice.

Ai tempi della Roma antica, invece, il 15 dicembre si festeggiavano i Saturnalia per celebrare la costruzione del Tempio di Saturno nel 497 a.C.. Dopo la riforma del calendario introdotta da Giulio Cesare (46 a.C.), la festività si ritrovò posticipata al 17 dicembre e in seguito venne estesa a tutti i giorni fra il 17 e il 23 dicembre. Questa estensione, probabilmente, fu dettata da due ragioni: uno, per includere nella festività anche il solstizio d'inverno, e due, per includerci anche l'ingresso del Sole nella costellazione del Capricorno, che era considerata casa astrologica di Saturno, dio dell'agricoltura, dell'abbondanza e della dissolutezza. Inoltre, un po' come nel caso dei popoli germanici, i Romani credevano che, nel periodo invernale, con una terra incolta a causa del clima, le divinità infernali fossero più libere di vagare per il "mondo di sopra". Ecco allora che celebrare i Saturnalia voleva essere un modo per placare queste divinità e per festeggiare il ritorno del Sole, dunque il ritorno della terra fertile, e quindi anche Saturno che la rappresentava.

Carro Solare del Sol Invictus
Infine abbiamo il culto del Sol Invictus (cioè “Sole Invitto”), introdotto a Roma dall’imperatore Aureliano nel 274. Un culto nei confronti del Sole, sotto varie forme, era già diffuso a Roma ben prima di Aureliano: la stessa espressione “sol invictus” era un appellativo usato per varie divinità solari come Helios, El-Gabal, o Mitra; divinità romane come Giove e Apollo erano associate o identificate con il Sole; l’imperatore Eliogabalo (218-222) aveva già tentato di introdurre il culto della sua persona, a sua volta identificata con il dio sole El-Gabal di Emesa, la città siriana da cui proveniva. Ma nel 272, proprio grazie all’appoggio della città-stato di EmesaAureliano sconfisse il Regno di Palmira, così, nel 274, decise di importare a Roma il culto del Sole già presente nella città: fece edificare un tempio, istituì un clero apposito e fissò al 25 dicembre la festività del “Dies Natalis Solis Invicti”, cioè “Giorno Natale del Sole Invitto”.

Le motivazioni politiche: l'affermazione del Cristianesimo


Oggi si dà per scontato che la data di nascita di Gesù sia e sia sempre stata senza ombra di dubbio il 25 dicembre, ma la verità è che non conosciamo né il giorno, né il mese, e nemmeno l’anno esattiDai Vangeli di Matteo e Luca sappiamo solo che sarebbe nato durante il regno di Cesare Augusto (63 a.C. – 14 d.C.); un primo riferimento al 25 dicembre compare intorno al 204 in uno scritto del teologo Sant’Ippolito; fra i primi cristiani stessi esistevano varie tradizioni, come il 1° gennaio, il 5 gennaio, il 6 gennaio, il 28 marzo, il 20 maggio o il 18 novembre.

Gesù rappresentato come Sol Invictus, III secolo,
mosaico nella Necropoli Vaticana (da "Wikipedia")
Quello che è certo, però, è che un’associazione simbolica fra Gesù e il Sole è sempre stata presente. Nel Vangelo di Luca (Lc 1, 79-79) si parla di una misericordia di Dio come un Sole che sorge "per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte", e si presenta Gesù come “luce per illuminare le nazioni” (Lc 2, 32). Il Vangelo di Giovanni (Gv 1, 49 e Gv 8, 12) lo utilizza spesso come contrapposizione fra luce e tenebre, mentre Matteo dice che "il suo volto brillò come il Sole e le sue vesti divennero candide come la luce" (Mt 17, 2). I cristiani dei primi tre secoli, anche per non incorrere nel rischio di persecuzione e condanna, usavano spesso simbologie pagane come la corona di raggi del Sol Invictus o il Carro Solare per alludere al Messia; per di più, allora come oggi, consideravano la domenica come il giorno della sua Resurrezione, e si dà il caso che quel giorno fosse già ritenuto dai Romani “dies Solis”, cioè “Giorno del Sole”.

Fino a che, in mezzo a tutta questa confusione, nel 313 l’imperatore Costantino emana l’Editto di Milano, con il quale viene concessa libertà di pratica a tutte le religioni dell’Impero, Cristianesimo compreso. Nel 321, è ancora Costantino a stabilire che il “dies Solis” debba diventare giorno di riposo e festività - cosa che ha il secondo fine di consentire anche ai cristiani di osservare i propri riti. Mentre nel 380, con l’Editto di Tessalonica, Teodosio I dichiara addirittura il Cristianesimo come nuova  religione di Stato. Insomma, il Cristianesimo e la Chiesa in particolare acquisiscono un potere e un'influenza sempre maggiori, la nuova religione si mescola, si sovrappone e si sostituisce progressivamente a quella vecchia; come conseguenza inevitabile, i conflitti fra cultura pagana e cristiana che già esistevano si acuiscono ancora di più, e adesso sembra che la bilancia cominci a pendere dalla parte della seconda.

E che cosa succede, fin dalla notte dei tempi, quando due culture si scontrano? O cercano di convivere, o una si impone sull’altra. E se una si impone, come fa ad evitare che la sua autorità venga minacciata dall’altra? Una prima opzione è sopprimere l’altra cultura, e infatti ci sono state le persecuzioni contro i pagani. Ma un metodo ancora più efficace è quello di assimilarla: il Sole, il solstizio d'inverno e il 25 dicembre erano già festeggiati da secoli da parte di molte culture e credenze pagane; l’associazione simbolica fra il Messia e il Sole era diffusa e accettata da un tempo altrettanto lungo; già allora nessuno riusciva a concordare su quale fosse la vera data di nascita di Gesù; e adesso il Cristianesimo stava cominciando a prendere piede sull'antica religione. Ed ecco allora che, in modo del tutto arbitrario, ma anche attentamente calcolato, si decise di fissare la sua nascita proprio al 25 dicembre. C’è chi dice che fu per opera di papa Giulio I (? – 352), chi di Leone Magno (390 – 461), ma ciò che conta è l’intento con cui è stato fatto: presentare Gesù ai pagani come l’unico “vero Sole” da venerare, quello che, inconsapevolmente, avevano venerato sotto "falsi nomi" fino a quel momento; e, allo stesso tempo, lasciare inalterata la loro vecchia tradizione di festeggiarlo intorno al solstizio d’inverno. Insomma, i due piccioni con una fava più azzeccati di tutta la storia, che in breve tempo avrebbero garantito una diffusa conversione dei pagani e quindi un potere sempre maggiore per le autorità ecclesiastiche. 

Dall’albero a Babbo Natale: le vere origini delle maggiori tradizioni


Le tradizioni principali che conosciamo del Natale hanno subito una sorte identica a quella della data, nel senso che erano tradizioni preesistenti, tutte riconducibili a Yule o ai Saturnalia, che sono state assimilate e reinterpretate a favore del Cristianesimo.

L’abete è un eterno Albero della Vita


L’usanza di decorare alberi è diffusa fra varie culture del mondo sin da tempi antichi, e nasce dal culto nei confronti di questi alberi in quanto simbolo dell'Albero della Vita: vedi Yggdrasill fra i Norreni, l'Albero della Conoscenza fra gli Ebrei, il Fusang della Cina, il Wacah Chandi fra i Maya, o il Nookomis Giizhig fra gli Ojibway; tutti alberi mitologici che custodiscono la fonte della conoscenza, connettono il Cielo con l'Oltretomba, o che formano l'impalcatura stessa dell'universo. L’usanza di decorare in particolare degli alberi sempreverdi come abeti o pini, invece, risale alle popolazioni celtiche o a quelle del Nord Europa: vista la loro capacità di mantenere i loro aghi saldi e verdi anche durante gli inverni più rigidi, questi alberi erano considerati come simboli di immortalità, della vita che persiste, che resiste anche di fronte alle più dure avversità per poi rinascere quando sono passate.

Si capisce bene, allora, quanto sia stato facile associare questi alberi al culto del Sole e ad una festività come Yule: così come con la festa in sé si celebrava il ritorno del Sole, allo stesso modo si decorava un albero sempreverde, simbolo di immortalità, con dolci, frutta, candele o statuette di animali, perché volevano rappresentare la fertilità della natura che si sperava facesse ritorno

Con la diffusione del Cristianesimo, anche questa usanza venne assorbita e tutta reinterpretata, così l’albero divenne simbolo dell’Albero dell’Eden o del legno della Croce; le candele e le luci in generale diventarono metafora di Gesù come “luce del mondo”; una stella o un angelo si iniziarono a mettere sulla punta per rappresentare la Stella di Betlemme o l’arcangelo Gabriele.

Il vischio e l’agrifoglio, reminiscenze di uno Yin-Yang occidentale

Insieme all’abete, il vischio e l’agrifoglio sono fra le piante protagoniste delle decorazioni di Natale. Il primo si appende spesso al soffitto o all’architrave delle porte, per via dell’usanza di baciarsi se qualcuno ci capita sotto; il secondo viene usato per creare ghirlande e festoni, composizioni e centro tavola. Ma da dove, da quando e da chi derivano questi simboli e queste tradizioni?

Il vischio è una pianta parassita sempreverde, che cresce direttamente sugli alberi senza piantare radici al suolo. Preferisce piante latifoglie e caducifoglie, soprattutto la quercia, e matura le sue bacche proprio in pieno inverno. Pare che anche studi scientifici moderni abbiano evidenziato che, in effetti, le querce siano fra le piante che attirano di più i fulmini; i Celti non avevano la scienza, ma l’osservazione aveva condotto anche loro alla stessa conclusione, e per questo la quercia era considerata pianta sacra: il fulmine era manifestazione divina, quindi la quercia, così spesso “baciata” dal “potere divino”, era vista come pianta magica, come confine fra mondo materiale e mondo spirituale. Perciò il vischio era un sempreverde, in pieno inverno dava i suoi frutti e sopravviveva su alberi che perdevano le foglie, poteva fare a meno delle radici e cresceva su una pianta come la quercia: tutto questo la rendeva allora una pianta magica, “figlia del fulmine”, simbolo di resistenza e dotata di grandi poteri curativi. Per di più, dato che il colore delle sue bacche e del loro succo ricordava lo sperma, era anche associato al Principio Maschile della natura e alla fertilità; e infatti si pensa che derivi proprio da qui, da questa associazione con la fecondità, l’usanza di baciarsi sotto un ramoscello di vischio.

Detto così, può sembrare che il suo simbolismo non abbia niente a che fare con il Cristianesimo, e infatti è vero. Ma, così come tante altre, era una tradizione talmente radicata che la Chiesa non trovò altro modo per disfarsene se non quello di assorbirla. Come? Giocando appunto sui simboli: nella mitologia dei popoli germanici, Baldur è un dio associato alla luce, che un giorno viene ucciso da una freccia in legno di vischio e che, in futuro, al termine del Ragnarök, tornerà in vita e costruirà un nuovo mondo dalle ceneri di quello appena finito; allo stesso modo, Gesù è una divinità solare, che è stata uccisa su di una croce fatta di legno e che, alla fine dei tempi, tornerà di nuovo per portare l’umanità alla salvezza. L'insinuazione è molto chiara, anche se molto sottile: i "poveri" pagani, nella loro "innocente ignoranza", nel venerare un dio della luce ucciso con il legno di una pianta e destinato a risorgere, non hanno fatto altro che venerare inconsapevolmente proprio Gesù. Ecco quindi pronta la scusa per mantenere l'usanza del vischio, assimilarla nella nuova religione, e allo stesso tempo abbindolare i pagani e farli avvicinare alla nuova fede.

E che dire dell’agrifoglio? Anche questa è una pianta sempreverde, le sue caratteristiche bacche rosse crescono solo intorno a ottobre/novembre ma, siccome in questa fase hanno un sapore piuttosto amaro, diventano mangiabili soltanto in pieno inverno. E allora il simbolismo era già pronto: l’essere sempreverde rappresentava immortalità, il rosso delle bacche che ricordava il sangue mestruale e il fatto che maturassero nel periodo più buio dell’anno erano simbolo di Principio Femminilefertilità, e il fatto che solo nel periodo più freddo fossero mangiabili lo ha reso anche simbolo dell’inverno.

Con l’arrivo del Cristianesimo, ovviamente, tutta questa poesia ha fatto la fine di polvere al vento, e così le sue foglie spinose sono diventate simbolo della Corona di Spine di Gesù, mentre le bacche quello del sangue che ha rigato la sua fronte. Tutti e due simboli che ricordano molto di più la sua morte e la sua Resurrezione, e quindi il periodo della Pasqua piuttosto che quello del Natale e della sua nascita; ma è stato proprio questo a renderlo ideale per il periodo natalizio anche agli occhi della Chiesa, perché porta con sé il simbolo della “rinascita”, così come la luce del Sole/Gesù “rinasce” dal 25 dicembre dopo i giorni più bui. 

Una corona per l'eterno ritorno


Oggi la chiamano “Corona dell’Avvento”, ma anche questa usanza affonda le sue origini nella celebrazione di Yule, nel ciclo delle stagioni. Veniva realizzata con rami di abete o di pino, o con foglie di agrifoglio, perché portavano con sé le stesse simbologie di immortalitàfertilità e inverno che abbiamo visto prima. Erano assemblate in forma circolare perché il cerchio, figura senza inizio né fine, è il simbolo dell’eterno ritorno, della ciclicità della natura, della “ruota” delle stagioni. Stava quindi a rappresentare la vita che si rinnova e la speranza che, ancora una volta, il ciclo del tempo sarebbe finito e ricominciato.

Anche nel mondo Greco-Romano erano realizzate queste ghirlande, a volte come simbolo di onorificenza o vittoria, ma anche come simbolo dei raccolti. Addobbare la casa con queste ghirlande nel periodo dei Saturnalia, a maggior ragione se fatte di sempreverdi, era quindi un modo per propiziare il ritorno della terra fertile. Perfino la tradizione di accendere candele, spesso associate a queste corone, era già intesa come un’offerta al dio Saturno per favorire il ritorno della luce e della fertilità.

Con il Cristianesimo è stato storpiato anche tutto questo, e così la corona è stata assimilata con la scusa di rappresentare la vita eterna dell’al di là, o l’infinito amore di Dio. Quanto all’uso delle candele, pare che sia stato il pastore protestante Johan Hinrich Wichern (1808 – 1881) il primo a proporre di associarle alla corona per scandire le settimane che mancano alla Natività; proposta che, col tempo, fu assecondata da tutto il mondo cristiano, è bastato rigirare la frittata stabilendo che simboleggiano la luce di speranza portata da Cristo.

Il ceppo, un fuoco per accendere luce e speranze

Quanti di voi, di quelli che hanno un bel caminetto in casa, accendono un focolare quando si ritrovano con amici e parenti per pranzo o per cena? E quanti ancora lo attizzano il giorno della Vigilia e cercano di farlo ardere per dodici giorni fino all’Epifania? Scommetto in molti. E scommetto anche che vi sarete sempre detti che, più che altro, si fa per riscaldarsi, e per farlo con un modo “alternativo”, speciale quanto l’occasione del Natale, perché con quel suo sapore di “antico” crea un po' di atmosfera. Se è così, sul fatto che ci sia qualcosa di antico il vostro intuito ci ha azzeccato, ma forse non avete idea di quanto sia antico.

Il rito dell’accensione di un fuoco è forse fra i più antichi praticati dall’uomo, presente in tantissime culture e in occasione di molte festività. Può avere tanti significati, ma quello più ricorrente lo ricollega al culto del Sole, e quindi proprio a particolari momenti dell’anno come il solstizio d’inverno. Si accendeva con il legno di piante come quercia, frassino, olivo, pino o betulla, a cui si potevano anche aggiungere vischio, edera o agrifoglio. Nella notte del solstizio si accendevano piccoli fuochi domestici o grandi falò all’aperto, attorno ai quali ci si radunava con familiari e conoscenti. La cenere che ne rimaneva, poi, o era conservata fino all’anno dopo, oppure veniva sparsa nei campi.

In tutto questo consisteva la tradizione del “ceppo. Accendere un fuoco, intorno al quale radunarsi con nella notte più lunga dell’anno, era un modo per propiziare il ritorno della luce e del calore del Sole; il tipo di legno bruciato poteva rappresentare la fertilità (nel caso di un sempreverde), l’anno vecchio che passava (l'agrifoglio), o l’anno nuovo che si preparava (la quercia); poteri magici erano attribuiti alle ceneri, che quindi erano sparse o conservate per favorire la fertilità di campianimali o membri della famiglia, come segno di buon augurio per l’anno avvenire, o perfino come protezione contro i fulmini e le sventure.

Dall’avvento del Cristianesimo in poi, il ceppo in sé richiama un modo simbolico di riscaldare Gesù bambino appena nato, il fuoco rappresenta la sua opera di redenzione dell’umanità, e il fatto di lasciarlo acceso fino all’Epifania è per celebrare la venuta dei Re Magi.

I regali, una volta, si facevano perfino agli alberi

C’è chi festeggia in famiglia, chi fra amici e chi fra tutti e due. Chi si ritrova per il 25 e il 26 dicembre e chi ci include anche il 24. In ogni caso, festeggiare il Natale è da sempre fatto di rimpatriate, banchetti, giochi, scambi di auguri e di regali, e magari anche di canti e di balli. E da dove deriva tutto questo?

Già in occasione di Yule era usanza scambiarsi dei regali, perché era un augurio di abbondanza e fortuna per l'anno nuovo: come io ti porto questi doni, ti auguro che l'anno nuovo te ne porti altrettanti. Dei "regali" sotto forma di cibo e bevande si facevano perfino agli alberi da frutto, in un gesto che aveva lo stesso significato simbolico delle decorazioni, cioè favorire la ricomparsa dei frutti con l'inizio del nuovo ciclo. E infatti, forse, è proprio da qui che deriva la consuetudine moderna dei regali sotto l'albero, messi da noi o da Babbo Natale. 

Durante i Saturnalia romani si imbastivano festeggiamenti sia privati che pubblici, in cui si mangiava, si beveva, si organizzavano balli e intonavano canti. La gente si scambiava una particolare formula di saluto in segno di augurio, “io Saturnalia”, un po' come oggi ci diciamo “Auguri!”, “Buon Natale!” o “Buone Feste!”. E, proprio come oggi, anche in questa occasione si facevano e si ricevevano regali, chiamati “strenae” (da cui la “strenna” moderna), che di solito consistevano in cibo, vasellame, candele, figurine di cera (sigillaria), o anche regali-scherzo. A volte ci si includevano anche delle piccole pergamene con su scritti dei versi poetici, proprio come facciamo ai giorni nostri con biglietti e cartoline.

Anche tutte queste erano tradizioni troppo belle, troppo naturali, spontanee ed emotive perché una semplice imposizione potesse farle sparire, e così il Cristianesimo si è trovato costretto a mantenerle, tirando fuori una nuova scusa dal suo gigantesco cilindro: anche a Natale va bene scambiarsi regali, proprio come i Re Magi hanno fatto con Gesù, e come lui ha fatto con l’umanità donandole la salvezza.

Odino, San Nicola e Father Christmas: i "babbi" di Babbo Natale

Il Nisse dei Paesi scandinavi, il Ded Moroz del folklore slavo, l’Olentzero della tradizione basca. Ogni cultura del mondo ha da sempre il suo portatore di doni, ma Babbo Natale è quello più diffuso e conosciuto. Alla base di tutto, probabilmente, c’è lo scambio augurale di regali che abbiamo appena visto, ma come si è arrivati da qui a quell’omone anziano, barbuto e corpulento che tutti conosciamo? Quali sono le sue origini? Chi è veramente Babbo Natale?

Il fatto che sia da sempre associato con renne, neve, inverno e Polo Nord non è solo il frutto dell’invenzione di qualcuno, e non è nemmeno perché è stato presto inglobato nelle tradizioni del solstizio d’inverno prima e del Natale poi. Il vero motivo, probabilmente, sta nel fatto che la principale figura a cui si ispira proviene dalle mitologie pre-cristiane delle popolazioni germaniche: è il dio Odino, il Re del pantheon della mitologia norrena. Tipicamente era rappresentato come un uomo anzianotarchiato, con una lunga barba bianca, che portava un cappuccio, un lungo mantello e una lancia che usava come bastone. Secondo la tradizione, poi, una volta all’anno, nel periodo di Yule, Odino si poneva alla testa della Caccia Selvaggia, un’epica battuta di caccia condotta per cielo e per terra da dèi, guerrieri caduti in battaglia o figure mitologiche ai danni di vari esseri mostruosi. Il Re degli dèi cavalcava in sella a un cavallo grigio di nome Sleipnir, un cavallo ad otto zampe considerato il più veloce del mondo, capace di galoppare su terra, su acqua, su aria e perfino attraverso altri mondi. E così ecco che i bambini, in questa occasione, lasciavano davanti al focolare o fuori dalla porta i propri stivali riempiti di paglia, zucchero o carote, così che Sleipnir potesse sostare e rifocillarsi presso tutte le case; in cambio, in segno di riconoscenza, Odino lasciava nei loro stivali giocattolidolciumi o altri regali.

Se Odino è chiaramente la figura principale, un’altra altrettanto determinante è quella di San Nicola (220 – 343): vescovo cristiano della città di Myra (oggi Demre, in Turchia), fu particolarmente apprezzato per l’attenzione e il sostegno che dimostrò nei confronti dei più poveri e bisognosi, specie se bambini; si tramanda una storia in particolare secondo cui fornì una dote a tre ragazze, figlie di un devoto ma povero cristiano, in modo che non fossero più costrette a darsi alla prostituzione. 

Le sue gesta lo resero così famoso da far nascere un culto nei suoi confronti, culto che si diffuse ancora di più qualche secolo dopo: nel 1054 la Chiesa Greca Ortodossa dichiarò lo scisma dalla Chiesa Cattolica, mentre nel 1087 la città di Myra fu invasa dai Turchi; così, in quello stesso anno, alcuni mercanti italiani originari di Bari trafugarono alcune reliquie del vescovo dal suo sarcofago e le portarono nella loro città, dove oggi c’è la Basilica di San Nicola; inoltre, durante la Prima Crociata, dei mercanti di Venezia presero con sé il resto delle reliquie e lo conservarono nell’attuale San Nicolò al Lido. Da allora, San Nicola diventò il patrono di mercanti, marinai, bambini, prostitute, arcieri, farmacisti, avvocati, prestanti di pegni e detenuti, nonché patrono di Bari e perfino di altre città europee come Mosca e Amsterdam.

In Olanda in particolare, il suo nome fu presto tradotto in Sinterklaas, e allora come oggi veniva rappresentato tipicamente come un uomo anziano, dalla lunga barba bianca, che portava in mano un pastorale, vestiva abiti vescovili di colore rosso e si spostava in sella a un cavallo bianco. Portava anche con sé un grosso libro con su scritti i nomi dei bambini “buoni” e “cattivi”, ed era accompagnato da aiutanti che scendevano lungo i comignoli delle case per lasciare dei doni a quelli “buoni” (da notare, in tutto questo, le somiglianze con Odino). Nel XVII secolo, la tradizione venne ovviamente importata anche nelle Americhe nella colonia olandese di New Amsterdam, la futura New York, dove dopo la conquista inglese (1664) il suo nome originale cominciò a essere tradotto in Santa Claus.

La terza e ultima figura da cui discende Babbo Natale pare che sia Father Christmas. È una figura popolare inglese, che iniziò ad apparire in alcune illustrazioni del XVI secolo, e che rappresentava lo spirito natalizio, portatore di pace, gioia, buon cibo e atmosfera di festa. Già allora rappresentato come un uomo corpulentobarbuto, vestito con un lungo mantello verde ornato di pelliccia, questa iconografia venne resa celebre dall’illustrazione di John Leech dello “Spirito del Natale Presente”, tratto da “A Christmas Carol” di Charles Dickens (1843).

Il Babbo Natale che conosciamo oggi, quindi, è una figura complessa che è il frutto della mescolanza di almeno questi tre personaggi, e anche di molte aggiunte successive create dalla letteratura. La slitta e una singola renna compaiono per la prima volta nel 1821, nella poesia anonima “Old Santerclaus with Much Delight” pubblicata a New York nel libro “A New-year’s present, to the little ones from five to twelve”. L’aspetto fisico di Babbo Natale, il suo vestito rosso, il sacco pieno di regali e le otto renne con i loro nomi (guarda caso come le otto zampe di Sleipnir), compaiono nella poesia “A visit from Saint Nicholas” di Clement Clarke Moore del 1823, resi molto più celebri nel 1863 dall’illustrazione che Thomas Nast pubblica sulla rivista americana “Harper’s Weekly”. Il primo riferimento al Polo Nord come sua residenza pare che risalga di nuovo a Thomas Nast, in un’illustrazione del 1866, mentre i suoi aiutanti elfi appaiono in letteratura nel 1856, nel libro “Christmas Elves” di Louisa May Alcott. Infine, la nona renna Rudolph, che viene ideata da Robert L. May nel libro “Rudolph the Red-Nosed Reindeer” che pubblica nel 1939

La vera "magia del Natale" sta in ognuno di noi


Epifania e Carnevale, Pasqua e San Lorenzo, Ferragosto e Ognissanti. E anche tante altre. Il Natale è forse quella principale, ma è solo una delle tante tradizioni con delle origini che sfidano i millenni, e che però sono state assimilate e reinterpretate dal Cristianesimo. Intendiamoci subito: nel corso della storia, non è stata di certo l’unica religione che, una volta affermata, ha assorbito quelle precedenti per sostituirle, e per vedere un esempio basta guardare proprio ai Saturnalia: i Romani li hanno innestati sui Kronia, una festa di origine greca ancora più antica e dedicata a Crono, Titano del tempo che corrispondeva per l’appunto al Saturno romano. Però, resta il fatto che, mentre molti festeggiano il Natale convinti di celebrare una festa cristiana, in realtà si circondano di simboli e rituali legati al ciclo del Sole, delle stagioni e della vita. Dei simboli che, se oggi sono arrivati fino a noi come “cristiani”, è per via del movente più vecchio del mondo: una pura questione di controllo delle masse, che la Chiesa ha cercato di ottenere mettendo la sua firma anche su ciò che suo non era.

C’è chi potrebbe ribattere che, in fondo, la cosa veramente importante è il significato personale che uno attribuisce anche ad un’occasione come il Natale, al di là di quello originale o travisato. O che poco importa, agli occhi di un fedele, che il 25 dicembre sia la vera Natività o meno, basta che ci sia un giorno in cui festeggiarla. Il che è tutto giusto, ma credo anche che le vere origini di tradizioni come il Natale nascondano un messaggio di un’attualità straordinaria, e che riscoprirlo possa contribuire al grande cambio di prospettiva di cui oggi abbiamo tanto bisogno: in un’epoca in cui il profitto di pochi, una produzione di massa e una vita a tutta velocità ci isolano dal mondo, e allo stesso tempo ce lo fanno distruggere, queste tradizioni ci parlano di un tempo in cui l’uomo aveva già intuito ciò che oggi stiamo reimparando. Che la realtà è olistica, che tutto è collegato; che non esiste “uomo e natura”, ma “natura” e basta, perché l’uomo è parte di essa, e continuare a pensare ed agire come se fossimo straordinari non può che portare a dei danni.

E infatti, qual è il profondo significato della festa di Yule? I cambiamenti stagionali che avvengono nell’esterno della natura si riflettono nell’interno di noi stessi, anche se in modo inconsapevole, perciò queste feste legate al ciclo delle stagioni non celebravano soltanto questo ciclo, ma anche quello della nostra crescita interiore. Yule segna quindi l’inizio dell’inverno, la stagione in cui la natura si riposa, si raccoglie, e allo stesso tempo accumula le energie per far germinare i semi caduti in autunno, per prepararsi ad un nuovo risveglio. Allo stesso modo, per noi è il momento più ideale in cui rallentare, riflettere sui risultati ottenuti e meditare sui nuovi obbiettivi che vogliamo raggiungere. È il momento a metà strada fra il riposo e il risveglio in cui, attraverso un dialogo sincero con noi stessi, possiamo piantare i semi del cambiamento e prepararci ad una nuova vita.

Questo è il vero significato che racchiudono tutte quelle tradizioni. Questo è il vero messaggio di Yule. Questa è la vera "magia del Natale". Nessun “peccato” di cui pentirsi, perché ciò che è natura è giusto, non un errore. Nessuna autorità a cui rimettersi, perché anche noi siamo natura, e la natura non ha padroni, nasce già con tutto quello che le serve per gestirsi da sola. E nessuna preghiera passiva a sedicenti divinità, perché di questa nuova vita gli architetti siamo proprio noi.



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Fonti:

giovedì 5 dicembre 2019

I terremoti imprevedibili (cioè tutti)

Certezze, teorie, miti da sfatare: le soluzioni esistono e siamo noi i primi a renderle possibili

Faglia di San Andreas, California, USA

Tutte le volte la solita storia: si scatena un forte terremoto, ci sono danni e vittime, ed ecco che si riaccendono i soliti dibattiti: c’è chi chiede se si sapesse che quell’area era rischiosa e chi domanda per l’ennesima volta se i terremoti si possono prevedere o no; si conferma che il rischio si conosce dalla notte dei tempi, ma che i fondi per la valutazione e la messa in sicurezza delle strutture sono misteriosamente irreperibili; e dulcis in fundo, iniziano a circolare le voci secondo cui si possono prevedere eccome ma non si finanzia la ricerca per speculare sulle ricostruzioni, oppure non si possono prevedere, ma infatti sono tutti indotti dall’uomo, e chissà perché ci finisce sempre di mezzo il CERN con i suoi “esperimenti incontrollati”.

La verità? Vi sorprenderà scoprire che è molto più semplice di quel che credete, e fatta appena appena di due punti: i terremoti sono fenomeni complessi, su cui molto c’è ancora da scoprire; mentre speriamo che la ricerca giunga sul serio a un metodo di “previsione” efficiente, la prevenzione è l’unica difesa che abbiamo, solo che i fondi per attuarla non vanno sempre a finire dove dovrebbero.

Ma andiamo per ordine.

Che cosa sono i terremoti?


Per capire il nocciolo della questione, prima di tutto c’è da capirne un altro di nocciolo, cioè quello della Terra.

Il nostro pianeta ha una profondità di circa 6370km, con una struttura “a cipolla”, cioè una che si potrebbe definire “a strati”: alcuni più spessi, altri più sottili, alcuni più rigidi, altri più plastici. Gran parte di questo spessore (ca. 2900km) viene chiamata “mantello”, che non è un immenso oceano di lava come certi film e documentari ci hanno abituato a pensare, ma è fatto di dura e solida roccia; nonostante questo, è roccia sottoposta a temperature e pressioni tali che, nei fatti, si comporta come una sostanza viscosa, cioè, tanto per capirci, come una gigantesca polenta: si muove molto piano, ma si muove, creando correnti più o meno circolari chiamate “correnti convettive”.

Lo spessore sui cui poggiano i nostri piedi (e le fondamenta dei nostri edifici) è chiamato “crosta”, e ha spessori che vanno da 5 a 80km: praticamente è la buccia della cipolla. E qui sta il punto fondamentale: proprio a causa di queste lente, ma colossali e potenti correnti che esistono nel mantello, fin dalla sua formazione la crosta non è mai stata un blocco unico, è sempre stata fratturata, perforata, reinghiottita, accavallata, col risultato di essere frammentata in tanti pezzi, quelli che vengono chiamati “placche tettoniche”. Sempre a causa di queste correnti, queste placche si spostano come gigantesche zattere, e così si scontrano, sfregano l’una contro l’altra, si accavallano, e in certi punti si stirano fino a spaccarsi.

Mi rendo conto che è controintuitivo, perché tutti noi, se pensiamo a una roccia, la vediamo come la cosa più statica e rigida che ci sia; ma dobbiamo pensare che qui si parla di forze in gioco che coinvolgono un pianeta intero, miliardi di tonnellate di roccia, pressioni che agiscono per centinaia o migliaia di anni. Ed è qui che sta l’origine dei terremoti: sottoposta a forze simili, anche una cosa solida come una roccia può arrivare a deformarsi come un cubetto di "DAS": ovviamente i moti sono estremamente lenti, e prima che una porzione di crosta si possa rompere ci vuole molto tempo; quando questo accade, però, la roccia si frattura, si formano le cosiddette “faglie”, le forze accumulate nell’arco di anni, secoli o millenni si liberano in un colpo solo sotto forma di onde, e allora ecco il fenomeno del sisma.

Quindi, in sostanza, un terremoto è semplicemente questo: uno scuotimento del terreno dovuto a una sua frattura. Paradossalmente, il fenomeno in sé per sé non ha proprio nulla di pericoloso, l’uomo preistorico che viveva quasi costantemente all’aperto correva meno rischi di quello moderno. Il problema sta “solo” nel fatto che, se gli edifici non sono costruiti in modo da resistere alla sismicità del posto, crollano per via delle scosse.

Una volta per tutte: che cosa sappiamo misurare dei terremoti? Si possono prevedere?


Sopra: posizione delle placche tettoniche
Sotto: distribuzione dei terremoti
Tanto per cominciare, sappiamo che i terremoti non avvengono a casaccio, nel senso che sappiamo quali fenomeni li causano e sappiamo anche dove avvengono. Basta vedere la figura a lato: se si va a guardare dove si verificano i terremoti nel mondo, guarda caso la loro distribuzione ricalca perfettamente i limiti delle placche tettoniche. Questo per dire, appunto, che è lì che si verificano, in corrispondenza dei margini delle placche, cioè dove queste si scontrano, sfregano o si stirano.

La matematica che li descrive, inoltre, vi garantisco che si conosce a menadito, e consente di descriverne tantissimi parametri.

Per esempio, nel giro di poco tempo, confrontando i dati di appena cinque stazioni sismiche, è possibile determinare ipocentro e epicentro: il primo è il punto, in profondità, in cui è avvenuta la frattura che ha causato il sisma; il secondo è la sua proiezione sulla superficie ed è anche il punto in cui i suoi effetti si sentono maggiormente.

È possibile stabilire il tipo di faglia che ha generato il terremoto, cioè se inversa, diretta o trascorrente: nel primo caso, significa che è stato generato da un movimento compressivo, nel secondo caso distensivo, nel terzo “di sfregamento”.

Si può misurare l’entità dello spostamento prodotto dalla faglia e l’accelerazione subita dal terreno in seguito alle scosse. Soprattutto, si può misurare la magnitudo, che corrisponde all’energia rilasciata dal terremoto.

Ma il risultato più potente a cui la sismologia è riuscita ad arrivare fino ad oggi è di sicuro quella che viene chiamata “relazione Gutenberg-Richter”: un’equazione semplice, fatta di 4 parametri, 2 dei quali sono da adattare alla zona di riferimento. Il bello della G-R, infatti, è che, potenzialmente, se ne può costruire una per ogni zona del pianeta, che sia piccola come un paese o grande come uno Stato, e il risultato a cui porta è stupefacente: conoscendo la magnitudo del sisma principale, permette di stabilire quante scosse ci possiamo aspettare prossimamente con una certa magnitudo inferiore; e soprattutto, conoscendo il numero di eventi sismici di una certa zona nell’arco di un anno e la loro magnitudo, può fornire una stima dei famosi “tempi di ritorno”, cioè i tempi entro i quali, in quella zona, ci si può aspettare sismi di una certa magnitudo.

E a questo punto qualcuno esclamerà: “Cazzo! Ma allora è vero che si possono prevedere i terremoti!”. Ma purtroppo non è così semplice. È vero che ci può dire quante scosse aspettarci di una certa magnitudo conoscendo quella del sisma principale, ma appunto, quella del principale si deve conoscere, cioè deve già essere avvenuto; e comunque, se anche stima quante saranno, non è in grado di dire quando saranno. Quanto ai tempi di ritorno, la G-R è potente, ma ha un grosso limite: è capace di stimare entro quanto tempo ci si può aspettare un certo sisma, ma non ci può dire il momento esatto. Per capirci meglio: ci può dire che in una certa zona, nell’arco di 200 anni, ci si può aspettare un sisma di magnitudo=6, ma se questo sisma avviene oggi, nessuno può sapere se il prossimo sarà sul serio fra 200 anni esatti, o fra 197, o fra 203, e soprattutto nessuno può dire il giorno e l’ora precisi nell’arco di quei 200 anni.

E allora, che vogliamo fare? Andiamo dalle persone che vivono lì e diciamo “Ehi, mi raccomando: da qui ai prossimi 200 anni, occhi aperti tutti i giorni perché non si sa mai”?

Teorie e falsi miti


Come abbiamo visto, quindi, di cose sui terremoti se ne possono dire molte. Nonostante questo, però, di teorie su possibili metodi di previsione e su altri fenomeni scatenanti ne girano di più che mosche intorno a una cacca. Come mai? Di motivazioni ce ne sono varie, ma di sicuro una è questa: i terremoti sono fenomeni complessi e la sismologia esiste appena dalla seconda metà dell’Ottocento, per cui ci sono aspetti non ancora ben chiari nemmeno per gli esperti.

FORESHOCKS. Sono le scosse "premonitrici", cioè i sismi di piccola magnitudo che (a volte) precedono un grande evento. È vero che in certi casi preannunciano un forte terremoto, ma è anche vero che in molti casi il forte terremoto non si verifica. Oppure, accade che si verifica, ma senza che ci sia stato alcun foreshock, come nel caso di Amatrice nel 2016.

DEFORMAZIONI DEL SUOLO. Esistono studi, condotti anche da INGV e CNR, a proposito di queste deformazioni: si parla di movimenti di pochi mm, rilevati tramite satellite, che precederebbero di mesi un grande sisma. Ad oggi, però, non si è ancora arrivati a stabilire per certo se esiste un legame fra i fenomeni e come funziona.

PRESSIONE DEI FLUIDI. Una ricerca condotta qualche hanno fa da INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), Università dell’Aquila e INGV ha dimostrato che, prima del sisma di Amatrice del 2016, si è osservato un aumento nella pressione dei fluidi all’interno del Gran Sasso. È questo un fenomeno che si verifica sempre, in qualsiasi luogo, quando avviene un forte terremoto? La questione è ancora aperta.

RADON. Diverse osservazioni hanno rilevato, prima di un forte sisma, un aumento nella concentrazione di gas radon emesso dalle rocce del sottosuolo. Il problema è che ci sono parametri che variano notevolmente, come la distanza fra il luogo in cui si misura la concentrazione e l’epicentro (fino a 1000km), gli intervalli di tempo (da ore a mesi) e la magnitudo misurata.

CAMPO MAGNETICO. Pare che in alcuni casi, effettivamente, una variazione locale del campo magnetico abbia agito da precursore per un sisma, ma pare anche che in molti altri casi sia accaduto qualcosa di simile a ciò che accade con i foreshocks: anomalie magnetiche, ma poi nessun sisma.

LUCI TELLURICHE. Si tratta di insoliti effetti luminosi che vengono osservati prima di alcuni terremoti fin dall’antichità. In effetti, esistono proprietà di alcuni minerali come la piezoelettricità, la triboelettricità e la piroelettricità, cioè la capacità di generare corrente elettrica se sottoposti a pressione, attrito o calore. Tra l’altro, questa formazione di campi elettrici può avere l’effetto di ionizzare particelle dell’aria (cioè di “strappare” loro elettroni), cosa che, come nel caso delle aurore polari, genera emissione di luce. Anche qui, però, non c’è ancora nulla di certo e di chiaro, e ci sono fattori molto variabili: a volte osservate molto tempo prima di un grande sisma, a volte poco prima; a volte vicino all’epicentro, altre volte molto lontano.

COMPORTAMENTI STRANI IN ALTRI ANIMALI. In Giappone, pesci gatto più agitati, nel 30% dei casi, a fronte di terremoti di magnitudo=3 o superiore. Serpenti che escono dalle loro tane, nonostante il freddo invernale, prima del sisma del 1975 a Haicheng (Cina). Animali di fattoria particolarmente nervosi alcune ore prima del sisma in Abruzzo del 2009. Per non parlare di cani che abbaiano, formiche che non rientrano nei formicai e mucche che fuggono. Di fenomeni simili ne vengono osservati diversi ormai da secoli, ma i problemi sono sempre i soliti: primo, questi comportamenti potrebbero essere a loro volta indotti da altri fenomeni di cui si è detto prima, come foreshocks e anomalie magnetiche; secondo, gli studi condotti fino ad ora non hanno ancora portato a comprendere se e soprattutto come siano connessi terremoti e comportamenti animali.

Per quel che riguarda altri fenomeni capaci di innescare o incidere sulla frequenza di sismi, anche qui di teorie ce ne sono da vendere.

NOTTE, CALDO E UMIDO. Secondo certe dicerie, i terremoti si verificano il più delle volte di notte, e sono più frequenti se fa caldo o il clima è umido. Ebbene, due soli passi, e proprio voi potete essere i primi a smentire la teoria: primo, basta una rapida ricerca su internet sui più grandi terremoti mai avvenuti, in Italia o nel mondo, e ci si può facilmente rendere conto che non seguono alcuna logica in fatto di orario o di clima; secondo, anche se non si è esperti del settore, basta un attimo di ragionamento: ora che sapere come funzionano i terremoti, secondo voi è plausibile che la semplice alternanza luce-buio, le temperature estive o l’umidità dell’aria siano capaci di smuovere miliardi di tonnellate di roccia a più di 5km di profondità? Non sto neanche a dirvi la mia.

Budapest, Ungheria, 20 marzo 2019 (da "Il Post")
SUPERLUNA. La Luna compie un giro intorno alla Terra ogni circa 27 giorni, ma la sua orbita è ellittica, per cui esiste un punto in cui la sua distanza dalla Terra è massima (apogeo) e una in cui è minima (perigeo); una “superluna” si ha quando avviene una coincidenza fra una luna piena e una luna al perigeo, il che fa apparire il satellite fino al 14% più grande del solito.

Secondo una teoria, una superluna comporterebbe una maggiore attrazione gravitazionale, da cui la possibilità di innescare faglie il cui equilibrio sia già piuttosto delicato: due esempi sarebbero le coincidenze fra questi fenomeni e i terremoti delle Filippine del 1948 e della Nuova Zelanda del 2016. Studi molto recenti condotti dall’Università di Tokyo hanno osservato una connessione fra le fasi lunari e i sismi con magnitudo>2.5 avvenuti nel mondo negli ultimi 20 anni: una luna al perigeo, tramite gli stress di marea, potrebbe far variare sensibilmente la pressione dell’acqua sulle faglie sottomarine attive; se poi si parla di una superluna, allora a maggior ragione. L’IGN (Institut Géographique National, Francia), arrivato a conclusioni simili, ha precisato che si parla di pressioni di migliaia di volte più piccole di quelle tettoniche, e che un effetto significativo si potrebbe avere solo su faglie già prossime al punto critico, ma comunque non è da sottovalutare.

In conclusione, che la gravità lunare possa avere effetti anche sulla crosta oltre che sugli oceani è possibile, ma siamo ancora lontani dal capire il se, il come e il quanto. Senza considerare la più grande incognita: ammesso anche che sia così, come prevedere quale faglia nel mondo sarà attivata?

STORMQUAKE. Effetti simili a quelli di una superluna potrebbero generarli potenti tempeste come gli uragani. Questo è quanto emerge da uno studio recente della Florida State University, che ha analizzato dati sismici e oceanografici raccolti fra 2006 e 2019: in caso di fondali bassi vicini al bordo della piattaforma continentale, forti tempeste generano onde oceaniche capaci di trasferire molta energia al fondale, tale da innescare sismi anche di magnitudo=3.5. Il fenomeno ha già un nome, appunto “stormquake”, ma come precisato dagli stessi autori dello studio, si tratta di un fenomeno appena scoperto, su cui non si può dire ancora nulla di definitivo.

TERREMOTI IN AUMENTO. Alla luce degli eventi degli ultimi 20 anni, è opinione diffusa il fatto che i terremoti siano in aumento. In realtà, solo in Italia, l’INGV registra fra i 1700 e i 2500 sismi con magnitudo>2.5 ogni anno. Tra l’altro, a volerla dire proprio tutta, alla Terra sta accadendo quel che accade a qualsiasi pianeta dotato di geologia attiva: il calore interno, responsabile delle famose “correnti convettive”, si disperde sempre di più, il che vuol dire che l’attività tettonica di oggi è di molto inferiore a quella di appena 1 milione di anni fa, e che più in là andiamo, più diminuisce (per lo meno a livello globale). 

Se quindi oggi è diffusa questa percezione di terremoti in aumento, è solo un effetto dato dalla copertura mediatica: cosa è accaduto negli ultimi 20 anni? Tante cose, fra cui internet, i social network e apparecchi come gli smartphone. Tre fattori che hanno significato tre cose: da parte dei media, poter bombardare la gente di informazioni 24 ore su 24; da parte di chiunque di noi, poter rendere pubblica qualsiasi notizia, vera o falsa che sia, anche col solo scopo di fare soldi tramite clickbaiting; da parte di tutti gli altri, essere continuamente aggiornati in tempo reale su notizie da tutte le parti del mondo. Se 30 anni fa era grassa se si sentiva parlare di un solo terremoto nel nostro paese, oggi è grassa se non se ne sente parlare per un solo giorno, ecco perché pare che siano aumentati.

Schema fracking
FRACKING. Il fracking, o fratturazione idraulica, è una tecnica utilizzata nell’industria estrattiva nel caso di particolari giacimenti di petrolio e gas: in sostanza, viene pompata acqua ad alta pressione in profondità, la roccia che contiene gli idrocarburi viene frantumata, parte dell’acqua viene ripompata in superficie insieme al gas o petrolio estratti e così, trattando in maniera opportuna, si separano le risorse da quell’acqua.

In Italia non è una tecnica utilizzata, visto che non esistono giacimenti da renderla necessaria, ma in altri paesi come Cina, USA e Canada sì e per anni si è discusso sul fatto che possa innescare terremoti o meno. Studi condotti negli USA dalla USGS (United States Geological Survey) nel 2015 e in Cina dalla GRE (Geo-Resources and Environment) nel 2019, sembrano dimostrare che una connessione c’è: in 17 aree di 8 stati USA dove viene praticata questa tecnica, è stato rilevato un incremento nell’attività sismica a partire dal 2009; per l’Oklaoma, si parla di una frequenza di microsismi 600 volte superiore alla media storica; in Cina, i terremoti di dicembre 2018 (magnitudo=5) e gennaio 2019 (magnitudo=5.3) nel Sichuan, si sono verificati a basse profondità (2-10km, quelle a cui operano i pozzi) e proprio mentre erano in corso iniezioni di acqua in pozzi non distanti dalla faglia che si è attivata.

La fratturazione in sé per sé si pensa che sia capace di generare solo piccoli sismi, nemmeno avvertibili dall’uomo, ma le acque reflue del processo, reiniettate sottoterra, si crede che possano influire sulle dinamiche di pressione delle faglie.

La situazione sismica in Italia


Fronte dell'Appennino (da "Chevuoldireingeologia")
Detto tutto questo, per l’Italia in particolare cosa si può dire? A cosa è dovuta la sua sismicità?

Beh, in Italia, così come nel resto del Mediterraneo, sta proseguendo un processo innescato più di 30 milioni di anni fa, cioè lo scontro fra la placca europea e quella africana. Alle fasi attuali, nelle Alpi l’attività è limitata alla zona del Friuli, mentre nell’Appenino è più estesa.

La catena sta ancora migrando verso Est/Nord-Est, col risultato di una forte attività sismica fra Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Basilicata, meno intensa nella fascia fra Toscana e Lazio. La differenza è dovuta a questo: sul versante Est/Nord-Est la catena è in compressione, cioè come se si stesse "accartocciando", "accavallando" su sé stessa, mentre sul versante Sud-Ovest è come se quella già formata stesse cedendo, distendendosi sempre più via via che il fronte avanza. Le zone fra Toscana e Lazio sono tutte sul versante Sud-Ovest, quindi interessate solo da terremoti distensivi, mentre quelle delle altre cinque regioni si trovano un po' a cavallo fra i due versanti, quindi interessate da terremoti anche compressivi; per di più, nel caso di Abruzzo, Molise e Basilicata, il fronte vero e proprio della catena passa proprio da queste regioni

Calabria, Piana di Sibari e Stretto di Messina, invece, rappresentano le zone più attive del territorio, perché qui non c’è solo il fronte dell’Appennino, ma anche la subduzione nella zona dello Ionio: “subduzione” significa che, mentre il fronte Appenino avanza (placca europea), la crosta oceanica di fronte (placca africana) “scivola” sotto di essa, da cui i frequenti e intensi terremoti e la formazione di archi vulcanici come le Eolie.

E la situazione antisismica?


In Giappone, l’85% delle strutture pubbliche e il 95% delle scuole sono antisismiche.  Esistono rigidi criteri antisismici e pene severe per chi non li applica. Esercitazioni anche nelle scuole sono condotte periodicamente, tanto che il 1° settembre, anniversario del grande terremoto del Kanto del 1923, si svolgono esercitazioni di massa organizzate dalla Protezione Civile. Nelle strade esiste un’apposita segnaletica per indicare i luoghi di concentrazione dove recarsi in caso di pericolo, mentre messaggi automatici via tv, social network o applicazioni raggiungono i cittadini dopo le prime rilevazioni dei sismometri.

E in Italia? Più o meno uguale.

Circa 15 milioni di abitazioni residenziali (più del 50% del totale) sono state costruite prima del 1974, quando sono entrate in vigore le norme antisismiche. E quando dico “prima del 1974” intendo che ben 4 milioni sono quelle costruite prima del 1920; solo il 5% del totale è stato costruito dopo il 2001.

Nel 2004 è stata realizzata la prima mappa della pericolosità sismica, mentre nel 2005 è stata realizzata la classifica dei Comuni italiani sulla base di questa pericolosità: il 40% del territorio è in area a elevato rischio sismico, area che corrisponde al 35% dei Comuni e a circa 22 milioni di persone.

Dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 è stato avviato il “Piano nazionale di prevenzione del rischio sismico”: interventi su edifici pubblici e privati, studi di microzonazione sismica, un fondo di 965 milioni; niente male, se non fosse che, secondo la Protezione Civile, il costo complessivo sarebbe di 93 miliardi. Nel 2014, invece, 1 milione è stato gentilmente fornito all’INGV per portare avanti un grande e potente progetto: una mappatura in 3D delle principali faglie presenti sul territorio nazionale; anche qui niente male, solo che per portarlo a termine di milioni ne servirebbero 100.

Nel frattempo, la cosa ironica è che, negli ultimi 40 anni, i danni riportati da eventi sismici ammontano a circa 160 miliardi, cioè quasi il doppio di quel che costerebbe mettere tutte le strutture a norma.

Comunque, non ci imbrogliamo: il problema non sta solo nel fatto “l’Italia è vecchia”. I danni che un sisma può produrre sugli edifici dipendono da varie cose: in seguito al terremoto in Abruzzo, paesi come Onna, che poggiano su depositi alluvionali, sono stati distrutti, mentre altri come Monticchio, a neanche 1km di distanza, non hanno subito seri danni, perché costruiti sul substrato roccioso; il terremoto di magnitudo=7.4 che colpì l’area di Izmit, Turchia, nel 1999, ha buttato giù edifici in cemento armato, ma ha lasciato in piedi costruzioni in mattoni e telaio di legno. Per dire che a fare la differenza concorrono anche altri fattori: terreni poco compatti, a parità di costruzione, amplificano gli effetti delle onde sismiche; la costruzione può anche essere in cemento armato, ma se i materiali sono scadenti e le norme antisismiche non ci sono, un edificio in mattoni, ben più leggero, è facile che regga meglio.

Conosci il tuo nemico!


E allora dove sta la soluzione? Cercare un modo per prevedere i terremoti? Assolutamente no. Tutti quei fenomeni “premonitori” di cui vi ho parlato richiederanno ancora molto tempo prima di essere compresi, un po' perché sono molto complessi, e un po', probabilmente, per mancanza di fondi, una mancanza “onesta”, data da scetticismo o perfino voluta. Ma questa è un’altra storia.

E poi, punto più importante di tutti, che non ho mai sentito sottolineare a nessuno: ma se anche un giorno si riuscisse a prevedere i terremoti, con gli edifici come la mettiamo? Li lasciamo cadere a pezzi? Sicuramente, meglio perdere un milione di edifici che una singola vita, ma io la mia casa la vorrei antisismica lo stesso, non so voi.

(da "ordinearchitettiudine.it")
La miglior soluzione sta quindi nella prevenzione e, ancora una volta, nella sensibilizzazione, cioè nella consapevolezza, che non è solo quella di conoscere la sismicità della propria zona, la sicurezza della propria abitazione e cosa fare in caso di sisma. È quella di sapere qual è il problema, in cosa consiste il fenomeno; capire che si tratta di un evento complesso, di cui molte cose si sanno e molte altre ancora no; conoscere quali sono le soluzioni e comprendere come mai rallentano nell’essere applicate.

Dite che è poco? Io non direi. A Roma, l’11 maggio 2011, il credere che i terremoti si potessero prevedere ha portato molta gente a prendersi un giorno di ferie, chiudere la propria attività e radunarsi in parchi e spiagge per sfuggire a un sisma predetto da una profezia (che poi si è rivelata falsa). 

E quando anche non c'è di mezzo la disinformazione, ci pensa un altro dei "grandi limiti e poteri dell'uomo": in fondo, qual è la scelta più comoda? Qual è la credenza più accomodante e rassicurante? Da un lato, quella secondo cui i terremoti si possono prevedere con scienza, religione o magia, che c’è qualcuno che ha da guadagnare dalle ricostruzioni e che la soluzione sta nello scovare questo qualcuno (o limitarsi al complottismo puro). Da un altro lato, quella secondo cui i terremoti sono fenomeni in buona parte sconosciuti, con cui per ora c’è da cercare di convivere; che c’è da capire in cosa consistono e darci da fare per difenderci; che il vero nemico consiste in istituzioni, mafie e grandi compagnie che si rigirano fra loro il grosso del denaro pubblico. Direi che la prima opzione è la più facile con cui convivere: di fronte all’ignoto, all’incertezza e alla complessità rappresentati dal fenomeno, dal “nemico” e dalle soluzioni, qualsiasi fake news che dia un “volto” a tutto questo prende campo come muffa con l’umido

Tutto questo per dire che la sola consapevolezza fa parecchio la differenza: la differenza fra il non avere idea di con chi e con cosa abbiamo a che fare e limitarsi a subire e basta, o il sapere su quale chiodo andare a battere per impedire che la gente continui a morire.

E dire che la verità, forse, è perfino più complottista del complottismo: secondo il dossier "Stop sussidi alle fonti fossili" realizzato da Legambiente, in Italia, in media, ogni anno ci sono 18.8 miliardi che vanno a fare da sussidi al settore Oil&Gas, proprio uno di quelli responsabili della variazione del clima. Ovviamente questo è solo uno dei tanti “pozzi” in cui vanno a finire i soldi dei contribuenti, ma tant’è: capito, adesso, come mai ricerca e prevenzione vanno così piano?


Fonti: