Le maggiori tradizioni natalizie, le loro origini, il loro significato e la vera magia che racchiudono
Ogni anno arriviamo a fine novembre e in molti iniziano ad appendere il Calendario dell’Avvento per contare i giorni che li separano da Natale. L’8 dicembre si comincia a rimettere mano agli scatoloni degli addobbi che teniamo in garage, e nell’arco di qualche giorno si costruisce il Presepe, si appende una corona alla porta, si attaccano le luci al balcone, si decora l’albero e si addobba il resto della casa. I mercatini che vendono artigianato di ogni materiale, dimensione e cultura fioccano in negozi e piazze di molte città, qualcuno corre ad acquistare una Stella di Natale che spera di far durare almeno fino all’Epifania, e nell’arco del mese c’è chi visita negozi su negozi per trovare un regalo da fare alle persone a cui tiene di più.
Da quando è esplosa l’ennesima moda consumistica del Black Friday tutto questo comincia ancora prima, anche dai primi di novembre, ma fermiamoci tutti un secondo: ma perché si fanno tutte queste cose? Perché è Natale, ovviamente, ma appunto: perché è Natale? Quali sono l’origine e il significato di questa festa e di tutte queste tradizioni? Perché ricopriamo un abete di decorazioni, ci scambiamo regali e raccontiamo ai bambini che Babbo Natale farà il giro del mondo per portare loro dei doni?
Non vi affrettate a rispondere che è per festeggiare la nascita di Gesù, perché il Cristianesimo è venuto molto tempo dopo. La verità è che le origini di queste tradizioni scavano di secoli o millenni nel passato “avanti Cristo”, passando fra l’astronomia e le tradizioni di molti popoli. Per arrivare, però, ad un traguardo comune: la vera nascita che festeggia il Natale è in realtà una rinascita, quella del Sole e di ognuno di noi.
Perché si festeggia il Natale proprio il 25 dicembre? Tutta questione di astronomia, religione e politica
Le motivazioni astronomiche: il solstizio d’inverno
La Terra, nell’arco di un anno, compie
un giro intorno al Sole seguendo un’orbita a
forma di ellissi. Per noi che siamo sul pianeta, sembra piuttosto che
sia il Sole a ruotare intorno alla Terra, e ad
un’attenta osservazione si può notare che ogni giorno, ad
una stessa ora, la sua altezza rispetto all’orizzonte
cambia: aumenta da dicembre a giugno e diminuisce da
giugno a dicembre (per l’emisfero nord). Il cosiddetto “solstizio”
corrisponde allora al momento in cui la sua altezza è massima (intorno
al 21 giugno, solstizio d’estate) oppure minima (intorno
al 21 dicembre, solstizio d’inverno).Le motivazioni religiose: Yule, Saturnalia e Sol Invictus, il Natale prima del Natale
Yule era la festa
del solstizio d’inverno fra le popolazioni germaniche pre-cristiane,
festeggiata ancora oggi fra le comunità neopagane intorno al 21 dicembre. Insieme ad Ostara (20 marzo), Litha (21 giugno) e Mabon (22 settembre), era appunto una delle quattro festività associate ai solstizi e agli equinozi, e dunque al ciclo delle stagioni. Non sappiamo di preciso in che cosa consistesse la celebrazione, ma fonti successive come la saga "Heimskringla" (1225) ne parlano di grandi festeggiamenti, sontuosi banchetti, falò e sacrifici di animali. Quello che è certo è che molte delle tradizioni
che la caratterizzavano, come vedremo fra poco, erano praticamente identiche
a quelle del Natale attuale; fra l'altro, un po' come oggi consideriamo quello
del Natale come il periodo "più magico" dell’anno, così il periodo di Yule, fatto di notti fra le più lunghe e le più fredde, era
considerato quello in cui l’attività soprannaturale toccava il suo
apice.![]() |
| Carro Solare del Sol Invictus |
Le motivazioni politiche: l'affermazione del Cristianesimo
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Gesù rappresentato come Sol Invictus, III secolo,
mosaico nella Necropoli Vaticana (da "Wikipedia")
|
E che cosa succede,
fin dalla notte dei tempi, quando due culture si scontrano? O
cercano di convivere, o una si impone sull’altra. E se una si impone, come fa ad evitare che la sua autorità venga minacciata dall’altra? Una prima opzione è
sopprimere l’altra cultura, e infatti ci sono state le persecuzioni contro i
pagani. Ma un metodo ancora più efficace è quello
di assimilarla: il Sole, il solstizio d'inverno e il 25 dicembre erano già festeggiati da secoli da parte di molte culture e credenze pagane; l’associazione simbolica fra il Messia e il Sole era diffusa e accettata da un tempo altrettanto lungo; già allora nessuno riusciva a concordare su quale fosse la vera data di nascita di Gesù; e adesso il Cristianesimo stava cominciando a prendere piede sull'antica religione. Ed ecco allora che, in modo del tutto arbitrario, ma anche attentamente calcolato, si decise di fissare la sua nascita proprio al 25 dicembre.
C’è chi dice che fu per opera di papa Giulio I (? – 352), chi di Leone Magno
(390 – 461), ma ciò che conta è l’intento con cui è stato fatto: presentare Gesù ai
pagani come l’unico “vero Sole” da venerare, quello che, inconsapevolmente, avevano venerato sotto "falsi nomi" fino a quel momento; e, allo stesso tempo, lasciare
inalterata la loro vecchia tradizione di festeggiarlo intorno al solstizio
d’inverno. Insomma, i due piccioni con una fava più azzeccati di tutta la
storia, che in breve tempo avrebbero garantito una diffusa conversione dei pagani e quindi un potere sempre maggiore per le autorità ecclesiastiche. Dall’albero a Babbo Natale: le vere origini delle maggiori tradizioni
L’abete è un eterno Albero della Vita
L’usanza di decorare alberi è diffusa
fra varie culture del mondo sin da tempi antichi, e nasce dal culto nei
confronti di questi alberi in quanto simbolo dell'Albero della Vita: vedi Yggdrasill fra i Norreni, l'Albero della Conoscenza fra gli Ebrei, il Fusang della Cina, il Wacah Chandi fra i Maya, o il Nookomis Giizhig fra gli Ojibway; tutti alberi mitologici che custodiscono la fonte della conoscenza, connettono il Cielo con l'Oltretomba, o che formano l'impalcatura stessa dell'universo. L’usanza di decorare in particolare degli alberi
sempreverdi come abeti o pini, invece, risale alle popolazioni
celtiche o a quelle del Nord Europa: vista la loro capacità
di mantenere i loro aghi saldi e verdi anche durante gli inverni più rigidi,
questi alberi erano considerati come simboli di immortalità,
della vita che persiste, che resiste anche di fronte alle più
dure avversità per poi rinascere quando sono passate. Il vischio e l’agrifoglio, reminiscenze di uno Yin-Yang occidentale
Insieme all’abete, il vischio e l’agrifoglio sono fra le piante protagoniste delle decorazioni di Natale. Il primo si appende spesso al soffitto o all’architrave delle porte, per via dell’usanza di baciarsi se qualcuno ci capita sotto; il secondo viene usato per creare ghirlande e festoni, composizioni e centro tavola. Ma da dove, da quando e da chi derivano questi simboli e queste tradizioni?
Il vischio è una pianta parassita sempreverde, che cresce direttamente sugli alberi senza piantare radici al suolo. Preferisce piante latifoglie e caducifoglie, soprattutto la quercia, e matura le sue bacche proprio in pieno inverno. Pare che anche studi scientifici moderni abbiano evidenziato che, in effetti, le querce siano fra le piante che attirano di più i fulmini; i Celti non avevano la scienza, ma l’osservazione aveva condotto anche loro alla stessa conclusione, e per questo la quercia era considerata pianta sacra: il fulmine era manifestazione divina, quindi la quercia, così spesso “baciata” dal “potere divino”, era vista come pianta magica, come confine fra mondo materiale e mondo spirituale. Perciò il vischio era un sempreverde, in pieno inverno dava i suoi frutti e sopravviveva su alberi che perdevano le foglie, poteva fare a meno delle radici e cresceva su una pianta come la quercia: tutto questo la rendeva allora una pianta magica, “figlia del fulmine”, simbolo di resistenza e dotata di grandi poteri curativi. Per di più, dato che il colore delle sue bacche e del loro succo ricordava lo sperma, era anche associato al Principio Maschile della natura e alla fertilità; e infatti si pensa che derivi proprio da qui, da questa associazione con la fecondità, l’usanza di baciarsi sotto un ramoscello di vischio.
Detto così, può sembrare che il suo simbolismo non abbia niente a che fare con il Cristianesimo, e infatti è vero. Ma, così come tante altre, era una tradizione talmente radicata che la Chiesa non trovò altro modo per disfarsene se non quello di assorbirla. Come? Giocando appunto sui simboli: nella mitologia dei popoli germanici, Baldur è un dio associato alla luce, che un giorno viene ucciso da una freccia in legno di vischio e che, in futuro, al termine del Ragnarök, tornerà in vita e costruirà un nuovo mondo dalle ceneri di quello appena finito; allo stesso modo, Gesù è una divinità solare, che è stata uccisa su di una croce fatta di legno e che, alla fine dei tempi, tornerà di nuovo per portare l’umanità alla salvezza. L'insinuazione è molto chiara, anche se molto sottile: i "poveri" pagani, nella loro "innocente ignoranza", nel venerare un dio della luce ucciso con il legno di una pianta e destinato a risorgere, non hanno fatto altro che venerare inconsapevolmente proprio Gesù. Ecco quindi pronta la scusa per mantenere l'usanza del vischio, assimilarla nella nuova religione, e allo stesso tempo abbindolare i pagani e farli avvicinare alla nuova fede.
E che dire dell’agrifoglio? Anche questa è una pianta sempreverde, le sue caratteristiche bacche rosse crescono solo intorno a ottobre/novembre ma, siccome in questa fase hanno un sapore piuttosto amaro, diventano mangiabili soltanto in pieno inverno. E allora il simbolismo era già pronto: l’essere sempreverde rappresentava immortalità, il rosso delle bacche che ricordava il sangue mestruale e il fatto che maturassero nel periodo più buio dell’anno erano simbolo di Principio Femminile e fertilità, e il fatto che solo nel periodo più freddo fossero mangiabili lo ha reso anche simbolo dell’inverno.
Con l’arrivo del Cristianesimo, ovviamente, tutta questa poesia ha fatto la fine di polvere al vento, e così le sue foglie spinose sono diventate simbolo della Corona di Spine di Gesù, mentre le bacche quello del sangue che ha rigato la sua fronte. Tutti e due simboli che ricordano molto di più la sua morte e la sua Resurrezione, e quindi il periodo della Pasqua piuttosto che quello del Natale e della sua nascita; ma è stato proprio questo a renderlo ideale per il periodo natalizio anche agli occhi della Chiesa, perché porta con sé il simbolo della “rinascita”, così come la luce del Sole/Gesù “rinasce” dal 25 dicembre dopo i giorni più bui.
Una corona per l'eterno ritorno
Oggi la chiamano “Corona dell’Avvento”, ma
anche questa usanza affonda le sue origini nella celebrazione di Yule,
nel ciclo delle stagioni. Veniva realizzata con rami di abete o
di pino, o con foglie di agrifoglio,
perché portavano con sé le stesse simbologie di immortalità, fertilità e inverno che
abbiamo visto prima. Erano assemblate in forma circolare perché il cerchio,
figura senza inizio né fine, è il simbolo dell’eterno ritorno,
della ciclicità della natura, della “ruota” delle stagioni.
Stava quindi a rappresentare la vita che si rinnova e
la speranza che, ancora una volta, il ciclo del tempo sarebbe finito e
ricominciato.Anche nel mondo Greco-Romano erano realizzate queste ghirlande, a volte come simbolo di onorificenza o vittoria, ma anche come simbolo dei raccolti. Addobbare la casa con queste ghirlande nel periodo dei Saturnalia, a maggior ragione se fatte di sempreverdi, era quindi un modo per propiziare il ritorno della terra fertile. Perfino la tradizione di accendere candele, spesso associate a queste corone, era già intesa come un’offerta al dio Saturno per favorire il ritorno della luce e della fertilità.
Con il Cristianesimo è stato storpiato anche tutto questo, e così la corona è stata assimilata con la scusa di rappresentare la vita eterna dell’al di là, o l’infinito amore di Dio. Quanto all’uso delle candele, pare che sia stato il pastore protestante Johan Hinrich Wichern (1808 – 1881) il primo a proporre di associarle alla corona per scandire le settimane che mancano alla Natività; proposta che, col tempo, fu assecondata da tutto il mondo cristiano, è bastato rigirare la frittata stabilendo che simboleggiano la luce di speranza portata da Cristo.
Il ceppo, un fuoco per accendere luce e speranze
Quanti di voi, di quelli che hanno un bel caminetto in casa, accendono un focolare quando si ritrovano con amici e parenti per pranzo o per cena? E quanti ancora lo attizzano il giorno della Vigilia e cercano di farlo ardere per dodici giorni fino all’Epifania? Scommetto in molti. E scommetto anche che vi sarete sempre detti che, più che altro, si fa per riscaldarsi, e per farlo con un modo “alternativo”, speciale quanto l’occasione del Natale, perché con quel suo sapore di “antico” crea un po' di atmosfera. Se è così, sul fatto che ci sia qualcosa di antico il vostro intuito ci ha azzeccato, ma forse non avete idea di quanto sia antico.
Il rito dell’accensione di un fuoco è forse fra i più antichi praticati dall’uomo, presente in tantissime culture e in occasione di molte festività. Può avere tanti significati, ma quello più ricorrente lo ricollega al culto del Sole, e quindi proprio a particolari momenti dell’anno come il solstizio d’inverno. Si accendeva con il legno di piante come quercia, frassino, olivo, pino o betulla, a cui si potevano anche aggiungere vischio, edera o agrifoglio. Nella notte del solstizio si accendevano piccoli fuochi domestici o grandi falò all’aperto, attorno ai quali ci si radunava con familiari e conoscenti. La cenere che ne rimaneva, poi, o era conservata fino all’anno dopo, oppure veniva sparsa nei campi.
In tutto questo consisteva la tradizione del
“ceppo”. Accendere un fuoco, intorno al quale radunarsi con nella notte
più lunga dell’anno, era un modo per propiziare il ritorno della
luce e del calore del Sole; il tipo di legno bruciato poteva
rappresentare la fertilità (nel caso di un
sempreverde), l’anno vecchio che passava (l'agrifoglio), o
l’anno nuovo che si preparava (la quercia); poteri magici
erano attribuiti alle ceneri, che quindi erano sparse o conservate per favorire
la fertilità di campi, animali o membri
della famiglia, come segno di buon augurio per
l’anno avvenire, o perfino come protezione contro i fulmini
e le sventure.
Dall’avvento del Cristianesimo in poi, il ceppo in sé richiama un modo simbolico di riscaldare Gesù bambino appena nato, il fuoco rappresenta la sua opera di redenzione dell’umanità, e il fatto di lasciarlo acceso fino all’Epifania è per celebrare la venuta dei Re Magi.
C’è chi festeggia in famiglia, chi fra amici e chi fra tutti e due. Chi si ritrova per il 25 e il 26 dicembre e chi ci include anche il 24. In ogni caso, festeggiare il Natale è da sempre fatto di rimpatriate, banchetti, giochi, scambi di auguri e di regali, e magari anche di canti e di balli. E da dove deriva tutto questo?
Già in occasione di Yule era usanza scambiarsi dei regali, perché era un augurio di abbondanza e fortuna per l'anno nuovo: come io ti porto questi doni, ti auguro che l'anno nuovo te ne porti altrettanti. Dei "regali" sotto forma di cibo e bevande si facevano perfino agli alberi da frutto, in un gesto che aveva lo stesso significato simbolico delle decorazioni, cioè favorire la ricomparsa dei frutti con l'inizio del nuovo ciclo. E infatti, forse, è proprio da qui che deriva la consuetudine moderna dei regali sotto l'albero, messi da noi o da Babbo Natale.
Durante i Saturnalia romani si imbastivano festeggiamenti sia privati che pubblici, in cui si mangiava, si beveva, si organizzavano balli e intonavano canti. La gente si scambiava una particolare formula di saluto in segno di augurio, “io Saturnalia”, un po' come oggi ci diciamo “Auguri!”, “Buon Natale!” o “Buone Feste!”. E, proprio come oggi, anche in questa occasione si facevano e si ricevevano regali, chiamati “strenae” (da cui la “strenna” moderna), che di solito consistevano in cibo, vasellame, candele, figurine di cera (sigillaria), o anche regali-scherzo. A volte ci si includevano anche delle piccole pergamene con su scritti dei versi poetici, proprio come facciamo ai giorni nostri con biglietti e cartoline.
Anche tutte queste erano tradizioni troppo belle, troppo naturali, spontanee ed emotive perché una semplice imposizione potesse farle sparire, e così il Cristianesimo si è trovato costretto a mantenerle, tirando fuori una nuova scusa dal suo gigantesco cilindro: anche a Natale va bene scambiarsi regali, proprio come i Re Magi hanno fatto con Gesù, e come lui ha fatto con l’umanità donandole la salvezza.
Odino, San Nicola e Father Christmas: i "babbi" di Babbo Natale
Il Nisse dei Paesi scandinavi, il Ded Moroz del folklore slavo, l’Olentzero della tradizione basca. Ogni cultura del mondo ha da sempre il suo portatore di doni, ma Babbo Natale è quello più diffuso e conosciuto. Alla base di tutto, probabilmente, c’è lo scambio augurale di regali che abbiamo appena visto, ma come si è arrivati da qui a quell’omone anziano, barbuto e corpulento che tutti conosciamo? Quali sono le sue origini? Chi è veramente Babbo Natale?
Il fatto che sia da sempre associato con renne, neve, inverno e Polo Nord non è solo il frutto dell’invenzione di qualcuno, e non è nemmeno perché è stato presto inglobato nelle tradizioni del solstizio d’inverno prima e del Natale poi. Il vero motivo, probabilmente, sta nel fatto che la principale figura a cui si ispira proviene dalle mitologie pre-cristiane delle popolazioni germaniche: è il dio Odino, il Re del pantheon della mitologia norrena. Tipicamente era rappresentato come un uomo anziano, tarchiato, con una lunga barba bianca, che portava un cappuccio, un lungo mantello e una lancia che usava come bastone. Secondo la tradizione, poi, una volta all’anno, nel periodo di Yule, Odino si poneva alla testa della Caccia Selvaggia, un’epica battuta di caccia condotta per cielo e per terra da dèi, guerrieri caduti in battaglia o figure mitologiche ai danni di vari esseri mostruosi. Il Re degli dèi cavalcava in sella a un cavallo grigio di nome Sleipnir, un cavallo ad otto zampe considerato il più veloce del mondo, capace di galoppare su terra, su acqua, su aria e perfino attraverso altri mondi. E così ecco che i bambini, in questa occasione, lasciavano davanti al focolare o fuori dalla porta i propri stivali riempiti di paglia, zucchero o carote, così che Sleipnir potesse sostare e rifocillarsi presso tutte le case; in cambio, in segno di riconoscenza, Odino lasciava nei loro stivali giocattoli, dolciumi o altri regali.
Se Odino è chiaramente la figura principale, un’altra altrettanto determinante è quella di San Nicola (220 – 343): vescovo cristiano della città di Myra (oggi Demre, in Turchia), fu particolarmente apprezzato per l’attenzione e il sostegno che dimostrò nei confronti dei più poveri e bisognosi, specie se bambini; si tramanda una storia in particolare secondo cui fornì una dote a tre ragazze, figlie di un devoto ma povero cristiano, in modo che non fossero più costrette a darsi alla prostituzione.
Le sue gesta lo resero così famoso da far nascere
un culto nei suoi confronti, culto che si diffuse ancora di
più qualche secolo dopo: nel 1054 la Chiesa Greca
Ortodossa dichiarò lo scisma dalla Chiesa Cattolica, mentre nel 1087 la
città di Myra fu invasa dai Turchi; così, in quello stesso anno, alcuni mercanti
italiani originari di Bari trafugarono
alcune reliquie del vescovo dal suo sarcofago e le portarono nella loro città,
dove oggi c’è la Basilica di San Nicola; inoltre, durante la Prima
Crociata, dei mercanti di Venezia presero con
sé il resto delle reliquie e lo conservarono nell’attuale San Nicolò al Lido.
Da allora, San Nicola diventò il patrono di mercanti,
marinai, bambini, prostitute, arcieri, farmacisti, avvocati, prestanti di pegni
e detenuti, nonché patrono di Bari e perfino di altre
città europee come Mosca e Amsterdam.
In Olanda in particolare, il suo nome fu presto tradotto in Sinterklaas, e allora come oggi veniva rappresentato tipicamente come un uomo anziano, dalla lunga barba bianca, che portava in mano un pastorale, vestiva abiti vescovili di colore rosso e si spostava in sella a un cavallo bianco. Portava anche con sé un grosso libro con su scritti i nomi dei bambini “buoni” e “cattivi”, ed era accompagnato da aiutanti che scendevano lungo i comignoli delle case per lasciare dei doni a quelli “buoni” (da notare, in tutto questo, le somiglianze con Odino). Nel XVII secolo, la tradizione venne ovviamente importata anche nelle Americhe nella colonia olandese di New Amsterdam, la futura New York, dove dopo la conquista inglese (1664) il suo nome originale cominciò a essere tradotto in Santa Claus.
La terza e ultima figura da cui discende Babbo Natale pare che sia Father Christmas. È una figura popolare inglese, che iniziò ad apparire in alcune illustrazioni del XVI secolo, e che rappresentava lo spirito natalizio, portatore di pace, gioia, buon cibo e atmosfera di festa. Già allora rappresentato come un uomo corpulento, barbuto, vestito con un lungo mantello verde ornato di pelliccia, questa iconografia venne resa celebre dall’illustrazione di John Leech dello “Spirito del Natale Presente”, tratto da “A Christmas Carol” di Charles Dickens (1843).
Il Babbo Natale che conosciamo oggi, quindi, è una figura complessa che è il frutto della mescolanza di almeno questi tre personaggi, e anche di molte aggiunte successive create dalla letteratura. La slitta e una singola renna compaiono per la prima volta nel 1821, nella poesia anonima “Old Santerclaus with Much Delight” pubblicata a New York nel libro “A New-year’s present, to the little ones from five to twelve”. L’aspetto fisico di Babbo Natale, il suo vestito rosso, il sacco pieno di regali e le otto renne con i loro nomi (guarda caso come le otto zampe di Sleipnir), compaiono nella poesia “A visit from Saint Nicholas” di Clement Clarke Moore del 1823, resi molto più celebri nel 1863 dall’illustrazione che Thomas Nast pubblica sulla rivista americana “Harper’s Weekly”. Il primo riferimento al Polo Nord come sua residenza pare che risalga di nuovo a Thomas Nast, in un’illustrazione del 1866, mentre i suoi aiutanti elfi appaiono in letteratura nel 1856, nel libro “Christmas Elves” di Louisa May Alcott. Infine, la nona renna Rudolph, che viene ideata da Robert L. May nel libro “Rudolph the Red-Nosed Reindeer” che pubblica nel 1939.
La vera "magia del Natale" sta in ognuno di noi
Epifania e Carnevale, Pasqua e San Lorenzo, Ferragosto e Ognissanti. E anche tante altre. Il Natale
è forse quella principale, ma è solo una delle tante
tradizioni con delle origini che sfidano i millenni, e che però sono
state assimilate e reinterpretate dal Cristianesimo. Intendiamoci subito:
nel corso della storia, non è stata di certo l’unica
religione che, una volta affermata, ha assorbito quelle
precedenti per sostituirle, e per vedere un esempio basta guardare
proprio ai Saturnalia: i Romani li hanno innestati sui Kronia,
una festa di origine greca ancora più antica e dedicata a Crono,
Titano del tempo che corrispondeva per l’appunto al Saturno romano. Però, resta
il fatto che, mentre molti festeggiano il Natale convinti di celebrare una
festa cristiana, in realtà si circondano di simboli e rituali
legati al ciclo del Sole, delle stagioni e della vita.
Dei simboli che, se oggi sono arrivati fino a noi come “cristiani”, è per via
del movente più vecchio del mondo: una pura questione di controllo
delle masse, che la Chiesa ha cercato di ottenere mettendo la sua firma
anche su ciò che suo non era.C’è chi potrebbe ribattere che, in fondo, la cosa veramente importante è il significato personale che uno attribuisce anche ad un’occasione come il Natale, al di là di quello originale o travisato. O che poco importa, agli occhi di un fedele, che il 25 dicembre sia la vera Natività o meno, basta che ci sia un giorno in cui festeggiarla. Il che è tutto giusto, ma credo anche che le vere origini di tradizioni come il Natale nascondano un messaggio di un’attualità straordinaria, e che riscoprirlo possa contribuire al grande cambio di prospettiva di cui oggi abbiamo tanto bisogno: in un’epoca in cui il profitto di pochi, una produzione di massa e una vita a tutta velocità ci isolano dal mondo, e allo stesso tempo ce lo fanno distruggere, queste tradizioni ci parlano di un tempo in cui l’uomo aveva già intuito ciò che oggi stiamo reimparando. Che la realtà è olistica, che tutto è collegato; che non esiste “uomo e natura”, ma “natura” e basta, perché l’uomo è parte di essa, e continuare a pensare ed agire come se fossimo straordinari non può che portare a dei danni.
E infatti, qual è il profondo significato della festa di Yule? I cambiamenti stagionali che avvengono nell’esterno della natura si riflettono nell’interno di noi stessi, anche se in modo inconsapevole, perciò queste feste legate al ciclo delle stagioni non celebravano soltanto questo ciclo, ma anche quello della nostra crescita interiore. Yule segna quindi l’inizio dell’inverno, la stagione in cui la natura si riposa, si raccoglie, e allo stesso tempo accumula le energie per far germinare i semi caduti in autunno, per prepararsi ad un nuovo risveglio. Allo stesso modo, per noi è il momento più ideale in cui rallentare, riflettere sui risultati ottenuti e meditare sui nuovi obbiettivi che vogliamo raggiungere. È il momento a metà strada fra il riposo e il risveglio in cui, attraverso un dialogo sincero con noi stessi, possiamo piantare i semi del cambiamento e prepararci ad una nuova vita.
Questo è il vero significato che racchiudono tutte quelle tradizioni.
Questo è il vero messaggio di Yule. Questa è la vera
"magia del Natale". Nessun “peccato” di cui pentirsi,
perché ciò che è natura è giusto, non un errore. Nessuna
autorità a cui rimettersi, perché anche noi siamo natura, e
la natura non ha padroni, nasce già con tutto quello che le
serve per gestirsi da sola. E nessuna preghiera passiva a sedicenti divinità,
perché di questa nuova vita gli architetti siamo
proprio noi.
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- "Storiain.net" - Storia e tradizioni del Natale
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- "St.Nicholas Center" - St. Nicholas—nearly everybody’s saint!
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- "BBC" - Did the Romans invent Christmas?
- "Encyclopedia Britannica" - Why is Christmas celebrated in December?
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- "Encyclopedia Britannica" - St. Nicholas
- "Encyclopedia Britannica" - Christmas tree
- "Encyclopedia Britannica" - Saturnalia
- "Sapere.it" - I Sigillaria
- "Sapere.it" - Perché si fa l'albero di Natale?
- "Enciclopedia Treccani" - Strenna
- "Enciclopedia Treccani" - Saturnalia
- "Enciclopedia Treccani" - Ceppo
- "The Mistletoe Pages" - Mistletoe Traditions
- "Città della scienza" - L'albero di Natale: simbologia e storia
- "Focus" - Come sono nate le tradizioni del Natale?
- "Laparola.net" - Lc 1, 79
- "Laparola.net" - Lc 2, 32
- "Laparola.net" - Gv 1, 4-9
- "Laparola.net" - Gv 8, 12
- "Laparola.net" - Mt 17, 2




















