Il "cibo veloce" è il killer della salute pubblica, del lavoro e dell'ambiente

Credo di aver messo piede
in dei fast food appena due volte in tutta la vita, molti
anni fa, quando ancora non avevo la minima idea di che cosa fossero davvero. E
l’ho fatto nonostante le opinioni contrastanti che ho sempre
avuto intorno: chi sconsigliava di andarci perché “vendono roba poco buona” o “perché
fa male”; chi lo consigliava assolutamente “perché il cibo è buonissimo”
e perché “è più controllato di quello che vendono nei supermercati”;
e chi si schierava un po' nel mezzo, additando
certi marchi come la schifezza più assoluta, e certi altri come garanzia di
qualità.
In tutto questo, pur non avendo
informazioni precise, il mio semplice intuito mi ha sempre suggerito di
evitarli come la peste, mi ha sempre sussurrato che in tutto quel cibo
super saporito, colante di grasso e pronto in pochi minuti ci fosse qualcosa
di davvero innaturale, e così gli ho sempre dato ascolto. Ho fatto
bene? Oggi lo posso dire: eccome se ho fatto bene!
Additivi artificiali
usati per produrre la plastica, malattie che vanno dall’obesità
all’infarto, maltrattamento di animali. Passando anche per pubblicità
ingannevoli, sfruttamento del lavoro e inquinamento.
Fino ad arrivare perfino a devastazione di habitat, estinzioni
di specie e sfollamento di popolazioni. C’è tutto questo e ben
altro dietro alle due semplici parole “fast food”. La questione è ampia
e fatta di molte sfaccettature, ma seguitela e non ve ne pentirete:
scoprirete perché mangiare o non mangiare un hamburger può fare la differenza
fra distruggere la nostra società oppure salvarla.
Storia dei fast food, i
figli (illegittimi) dell’età industriale
Quando si dice “fast
food” immediatamente si dice anche “McDonald’s” e “Stati
Uniti”, ma in realtà la storia di questo “parto” inizia in Inghilterra
nella seconda metà del XIX secolo: siamo nella Seconda
Rivoluzione Industriale, già esistono i prototipi di quella che sarà la
catena di montaggio, il che significa che appaiono le prime
grandi industrie a “produzione di massa”; inizia quindi l’urbanizzazione,
e flotte di persone dalle campagne cominciano a riversarsi nelle città a
infoltire i ranghi di quella che sarà la “classe operaia”,
costretta a turni di lavoro disumani da 12 ore o più in queste
nuovissime fabbriche.

In Inghilterra in particolare si
sviluppa la pesca a strascico, come anche le nuove ferrovie
che collegano i porti alle principali città industriali, cosa che permette il
trasporto rapido di pescato ancora fresco. È in tutto questo contesto che,
intorno al 1860, a Londra, apre il primo ristorante
di “fish and chips”, primo abbozzo di quel che sarà il fast
food propriamente detto: pesce e patatine fritti, pronti in brevissimo
tempo, economici e serviti in un cartoccio di carta di giornale; l’ideale per
operai costretti a ritmi serrati e a brevissime pause pranzo. Non per niente
già nel 1910 si contano 25.000 fish and chips in tutto il
Regno Unito, cifra che sale a 35.000 negli anni ’30.
Nel frattempo, nel resto
dei paesi industrializzati, se anche non nasce il fish and chips,
di sicuro nasce la stessa “filosofia” di creare un tipo di cucina che sia
rapida ed economica, proprio per soddisfare la frenesia della nuova vita
industriale. Così compaiono le prime tavole calde di fronte alle
fabbriche, i primi venditori ambulanti di street food, e
nel 1921, nella città americana di Wichita, in Kansas, apre “White
Castle”, considerato il primo fast food della storia: cottura
rapida, porzioni abbondanti, bassi costi e prima catena di hamburger, venduti
per soli $ 0,5 l’uno.
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| Logo "McDonald's" |
Ma la rivoluzione del settore
arriva nel 1940, quando a San Bernardino, in California, i due
fratelli Richard e Maurice aprono il primo “McDonald’s”: la loro
“geniale” intuizione sta nell’introdurre lo “Speedee Service System”,
una sorta di catena di montaggio in versione culinaria che permette di servire
in pochissimi minuti non solo hamburger, ma qualsiasi piatto proposto dal loro
menù. “McDonald’s può diventare la nuova Chiesa Americana […]. E non è aperto
solo la domenica”, recita Ray Kroc nel film “The Founder”, e purtroppo sarà
proprio così: sull’idea di questo imprenditore, i fratelli McDonald danno il
via a una catena di ristoranti che, nel 1959, a Chicago, conta già il suo
centesimo locale negli Stati Uniti; nel 1967 approda poi in Canada,
nel 1971 in Giappone, nei primi anni ’70
in Europa e nel 1986 in Italia, a
Roma. Ristoranti del tipo “drive-through” esistono in America già dagli
anni ’30, ma è di sicuro “McDonald’s” a farli spopolare, aprendo il primo nel 1975
a Sierra Vista, Arizona, per poi passare in Europa nel 1985, dove da allora
sono conosciuti come “McDrive”.
Sulla scia di “McDonald’s”, nel
corso del tempo molte altre catene di fast food fanno la loro comparsa,
come “KFC” (1952, USA), “Burger King” (1954, USA),
“Pizza Hut” (1958, USA), “Taco Bell” (1962, USA), “Subway”
(1965, USA), “Wendy’s” (1968, USA), “Quick” (1971,
Belgio), o “Autogrill” (1976, Italia). Nascono anche “varianti
regionali”, come i take-away cinesi, le kebab
houses medio-orientali, o i già citati fish and chips
inglesi. Tutti marchi che spopolano in decine o centinaia di nazioni con
migliaia di punti vendita; solamente “McDonald’s” è diffuso in 120 paesi e
conta più di 37.000 “ristoranti”.
Quanto al successo, se vi dicono
che l’industria alimentare è fra le più influenti del mondo
potete prenderlo sulla parola, perché soltanto il settore fast food,
globalmente, ha raccolto introiti per circa $ 570 miliardi soltanto
nel 2018; “McDonald’s” da solo ha chiuso il 2015
con un fatturato di circa $ 25 miliardi. Ma per renderci conto
ancora meglio della portata e dell’influenza di queste industrie, basta pensare
che lo storico settimanale inglese “The Economist”, nel 1986,
ha coniato il “Big Mac Index”, cioè un indice economico
del potere d’acquisto delle valute che si basa…sapete su cosa? Sul prezzo di un
panino “Big Mac” nei “McDonald’s” di un certo paese.
Mangiare nei fast food fa male o no?
Due conti su nutrienti e calorie
Partiamo da questo: che
cosa si mangia tipicamente in un fast food qualsiasi? Per le portate
principali, di solito di parla di sandwich, hamburger, insalata di
pollo, patatine fritte, crocchette, cotolette, anelli di cipolla, o tacos; come
condimento, salse di ogni tipo come ketchup, maionese, sciroppo
di mais, senape, mostarda o salsa barbecue; fra i dolci, croissant,
frappè, gelato, muffin, torta, biscotti, o cioccolata calda; per le bevande,
“Coca-Cola”, “Fanta”, “Sprite”, “Monster”, caffè,
cappuccino, o latte. In pratica, il Circo di Monte Carlo dei grassi,
del sale, degli zuccheri e delle calorie,
e il funerale di vitamine, fibre e sali minerali.
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| "Box Meal Colonel's", KFC |
Fate conto che l’apporto
di nutrienti giornaliero consigliato per un adulto medio
è di circa 2000kcal, max 60-70g di zuccheri semplici, 60-70g proteine, max 5g
sale (cioè 2g/2000mg di sodio), 300g carboidrati, 30g fibre e 60-70g grassi (di
cui max 20g di grassi saturi, max 5g di grassi insaturi). Detto questo, se
andiamo in un “KFC” e prendiamo un “Box Meal Colonel’s”,
siamo già a 1336kcal, 55g proteine, 155g carboidrati, 56g grassi e 6g sale; in
un “McDonald’s” con un “Big Mac”, una
porzione di patatine e una “Sprite”, siamo a
875kcal, 47g grassi, 11,5g grassi saturi, 91g carboidrati, 2.83g sale, 30.9g
proteine, 7.10g fibre, 17.5g zuccheri; in un “Burger King” con un
“Whopper”, una porzione di patatine e una “Coca-Cola”,
siamo a 1054.2 kcal, 123.9g carboidrati, 53g zuccheri, 46.3g grassi, 13.8g
grassi saturi, 5.6g fibre, 3.2g sale e 1.3g sodio. Insomma, non importa avere
un dottorato in matematica per capire che basterebbe una porzione più
abbondante, un bis di una cosa già presa, o un altro prodotto, e si potrebbe
digiunare per il resto della giornata.
E la cosa simpatica è che, nel corso degli anni, questo trionfo di "nutrienti" non è affatto cambiato, anzi, è peggiorato: uno studio del 2019 della "Tuft University" di Boston ha analizzato i menù proposti dalle dieci maggiori catene di fast food nel 1986, nel 1991 e nel 2016; quel che è venuto fuori è che, in 30 anni, sono aumentati sia le calorie (186 kcal in più nei dolci, 90 kal nei piatti principali), sia il sodio (0.276g in più), sia le porzioni (39g in più nei piatti principali, 72g nei dolci).
Testimonianze, dichiarazioni e indagini ufficiali
Fortunatamente l'altruismo è duro a morire, e così non sono mancati dipendenti o ex dipendenti che, a un certo punto, hanno deciso di
svelare al mondo il “dietro le quinte” di alcuni di questi
“ristoranti”: sul social network “Reddit”, testimonianze parlano di “chicken
nuggets” di “McDonald’s” dimenticate per sbaglio e mai gettate che, in
pochi giorni, si sono sciolte in una poltiglia liquida
assolutamente indefinibile; salsa chili di “Wendy’s” preparata con pezzetti
di hamburger rimasti troppo a lungo sulla griglia e
quindi considerati inservibili; cibi vegetariani preparati o
cotti con gli stessi utensili o lo stesso olio di
frittura usati per la carne; sempre da “McDonald’s”, cetrioli e
senape capaci di lasciare macchie indelebili sui tavolini; una polvere
biancastra messa in frigo per una notte con un po' d’acqua, e
magicamente trasformata in anelli di cipolla il giorno dopo.
Si tratta solo di fake
news? Di dipendenti insoddisfatti che hanno deciso di
vendicarsi con un po' di diffamazione? In certi casi può essere, ma nel
complesso non credo. Credo piuttosto che si tratti di persone
che, a un certo punto, non ce l’hanno più fatta a sopportare le condizioni di
lavoro inumane (come spiegherò più in là), nonché il senso di colpa di vendere certa roba ad altre
persone, e che quindi hanno avuto il coraggio di dire la verità. Se poi non volete credere a loro,
allora credere alle indagini e alle dichiarazioni ufficiali.
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| Logo "Subway" |
Nel dicembre 2012,
si scopre che in alcuni punti vendita KFC in Cina si fa uso di carne di polli
allevati con ormoni della crescita e eccessivo uso di antibiotici. Nel dicembre
2013, “McDonald’s” pubblica sul sito “McResources” un
avvertimento per i suoi dipendenti: non consumare fast food,
perché l’eccesso di calorie, grassi insaturi, zucchero e sale può portare
all’obesità. Intenzionale o no, dopo che la notizia fra il giro del pianeta, il
sito viene chiuso nel giro di pochi giorni. Nel luglio 2014,
viene a galla che la “Shangai Husi Food”, sussidiaria giapponese dell’azienda
americana “OSI Group”, ricicla carne scaduta, mescolandola con
quella fresca, per poi rivenderla a varie catene di fast food in Cina e
Giappone. Nell’aprile 2014, “Greenpeace” rende noto che
“McDonald’s”, nonostante gli impegni presi nel 2001, fa ancora uso di mangime
OGM per l’allevamento dei polli di cui si rifornisce. Ancora nel 2014,
dopo una petizione lanciata dall’attivista americana Vani Hari sul suo blog “Food
Babe”, “Subway” annuncia l’intenzione di eliminare dal suo pane l’azodicarbonamide,
o E927, un additivo illegale in Europa ma non
ancora in USA che è usato regolarmente anche da altre catene: serve per rendere
il pane più morbido ed elastico, ma è anche usato nell’industria della
plastica per realizzare tappetini da yoga e scarpe, e infatti lo si
ritiene sostanza portatrice di asma e cancerogena. Nel
marzo 2015, “McDonald’s” annuncia che, nell’arco di due anni,
smetterà di fare uso di polli trattati con antibiotici e, dalla
fine del 2015, anche di latte di mucche allevate con l’ormone della crescita
“rbST”. Nell’agosto 2015, è di nuovo Vani Hari a lanciare
una petizione contro “Subway” per l’utilizzo di pollo trattato con antibiotici;
la catena promette allora di cessare il suo utilizzo entro la fine del 2016,
entro 2-3 anni per quanto riguarda il tacchino e entro il 2025 per manzo e
maiale. Nel 2016, “McDonald’s” annuncia di aver eliminato antibiotici
dai suoi polli e conservanti da olio di cottura, polpette di maiale,
uova e “chicken nuggets”. Nel febbraio 2017, pollo
di cinque catene di fast food viene sottoposto a test del DNA:
ne viene fuori che in un quarto di essi il DNA risulta effettivamente di pollo
per l’84-89%, nel pollo di “Subway” appena per il 43-54%; il
resto è per lo più soia…o anche altro?
Lo chiedo perché il caso più
eclatante di tutti scoppia già nel 2011, quando il noto chef
Jamie Oliver, in una puntata del suo programma, dimostra come gli hamburger
industriali siano in buona parte costituiti da quel che è stato
battezzato “pink slime”, cioè “melma rosa”: un additivo
che, insieme ad altri scarti di carne (e ad ammoniaca per evitare i batteri),
viene usato per aumentare peso e volume (e dunque guadagno) della carne
macinata, poi usata per hamburger, wurstel, cotolette, salsicce, “chicken
nuggets”, ecc. Tutta carne che, tra l’altro, proviene da vacche da latte
a fine “carriera” di 4-6 anni, che hanno partorito già diverse volte,
la cui “ciccia” è quindi legnosa e costa all’ingrosso solo 1 euro/kg, contro i
2-4 euro/kg di quella di manzo o vitello (il che significa risparmio per le
catene di fast food). E attenzione, perché questo pink slime è
solo uno dei tanti “ingredienti” con cui di solito sono trattate queste carni,
oltre a conservanti, coloranti, esaltatori di
sapidità, aromi e compagnia bella; tutta roba
che non compare in etichetta se non con diciture volutamente poco chiare come “carne
separata meccanicamente”.
Forse apparirò malfidato, ma alla
luce di tutta questa merda due domande me le faccio: quelli che hanno dichiarato
di aver apportato “miglioramenti” lo hanno fatto sul serio, in tutti i punti
vendita di tutti i paesi? Se non ci fossero state queste indagini o petizioni,
li avrebbero mai apportati? E anche ammesso tutto questo, che dire di quelli
che i miglioramenti li promettono? È come dire che da qui a quando lo faranno
continueranno ad avvelenare tutta la gente che mangia da loro.
I metodi di preparazione del
cibo non sono migliori degli ingredienti
Il solo fatto che grandi quantità
di cibo possano essere pronte in pochi minuti dall’ordinazione dovrebbe farci
riflettere. Certo, siamo pur sempre in un ristorante, dove le cucine e il
personale non sono di sicuro quelli che abbiamo in casa, ma resta il fatto che
i tempi di attesa sono davvero un battito di ciglia rispetto a quelli di un vero
ristorante. E non c’è proprio un accidente di cui andar fieri.

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| Deep frying |
Gran parte del cibo viene preparata,
precotta e prelavata in un’industria centrale, che poi provvede a
distribuirla ogni giorno a tutti i punti vendita. Cose come gli hamburger
vengono cotte in gran numero contemporaneamente su una grande piastra,
dopodiché si passa al “dressing”, che consiste dell’assemblare
pane, insalata, hamburger, salse e quant’altro per creare il vero e proprio
panino. Cibi fritti come patatine vengono cotti in “deep
frying” (frittura profonda), cioè vengono ricoperti di pastella,
farina o pangrattato e poi cotti in vasche di olio bollente a 177-191°C. Se
non sono già confezionate, le bibite sgorgano da un rubinetto
sempre disponibile.
Tutto ciò implica che la
carne viene surgelata e, come detto prima, le vengono aggiunti anche
degli aromi (il che spiega come mai ha lo stesso identico sapore
in ogni punto vendita del mondo). Cotture rapide ad altra temperatura
come quella alla griglia, alla piastra, o in frittura, portano spesso alla carbonizzazione
di grassi, proteine, carboidrati, glicerolo presente nei grassi, il che produce
sostanze come gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), acroleina,
formaldeide e acrilammide, tutte cancerogene
e che non finiscono solo nel cibo, ma anche nell’aria, mettendo quindi a
rischio sia consumatori che operatori. Con la “frittura profonda”,
la degradazione dei grassi porta a una perdita nei valori
nutrizionali dei cibi, senza contare che questi, o come minimo la
pastella che li ricopre, assorbono gran quantità di grassi
saturi e grassi trans dall’olio in cui vengono cotti.
Gli effetti sulla salute
Dopo aver visto gli effetti che
hanno anche soltanto i metodi di cottura, il vostro intuito dovrebbe avervi già
fatto capire che anche gli ingredienti, naturali o artificiali che siano, tanto
salutari non sono.

Già nel 2008, uno studio
condotto dall’Università Svedese Linköping su 18 persone ha
rivelato questo: appena un mese di dieta basata su fast
food, e viene rilevato un aumento dell’enzima ALT, indice di un deterioramento
del fegato che, di solito, si riscontra in chi fa elevato uso di
alcool. In alcune persone, si riscontra anche un’elevata percentuale di
grasso nelle cellule del fegato, cosa che è conseguenza di una
resistenza all’insulina e causa di diabete e malattie
cardiovascolari. E non solo: queste persone, in media, sono ingrassate
di 6.5kg, una perfino di 12kg nell’arco di due settimane.
Sulla rivista specializzata
“Rhinology”, nel giugno 2013, appare uno studio del
Dipartimento di otorinolaringoiatria della Fundacìon Santa Fe di Bogotà,
Colombia: 3256 bambini fra 6 e 7 anni e 3830 adolescenti
fra 13 e 14 anni, sottoposti a test, fanno rilevare sintomi di asma e
dermatite atopica; la causa, secondo i ricercatori, un elevato consumo di fast food o altro cibo spazzatura (e quindi di grassi e
zuccheri semplici) unito a un basso consumo di frutta e verdura
(e quindi vitamine e sali minerali). Cosa si intende per “elevato consumo”? Già
3 volte a settimana.
I vostri figli stanno
raccogliendo un po' di brutti voti a scuola? Voi stessi avere un calo
di rendimento? Le cause possono essere tante, ma se c’è anche una certa
abitudine a mangiare fast food, le due cose potrebbero essere collegate.
Sulla rivista “Clinical Pediatrics”, l’Ohio State University pubblica una ricerca
nel 2014 condotta su 8544 scolari di 5^ elementare
e 3^ media: bambini abituati a frequentare fast food tre volte a
settimana o più, ottengono risultati fino al 20% inferiori in
matematica, scienze e lettura; e la causa è di nuovo l’eccesso di grassi
e zucchero e la carenza di ferro.
Ben 8877 persone,
nel 2016, partecipano ad una ricerca della George Washington
University in cui forniscono campioni di loro urina per essere
analizzati. Nelle urine di coloro che hanno mangiato in un fast food
appena 24 ore prima, vengono trovate percentuali di ftalati DEHP e DINP
più alte del 23.8% e del 40% rispetto agli altri. Cosa sono gli ftalati? Sono
composti che si possono trovare in certi cibi (non biologici)
come grano, carne o cereali, secondo gli autori dello studio, oppure nelle pellicole
di plastica delle confezioni dei cibi. E non sono per nulla un
toccasana, visto che possono danneggiare il sistema riproduttivo
e provocare infertilità.
E dulcis in fundo,
mangiando fast food anche il sistema immunitario non ci
ringrazia. Un team di scienziati internazionale, nel 2018,
pubblica uno studio sulla rivista “Cell”: per un mese
sottopongono dei topi ad una dieta “occidentale”, cioè ricca di grassi e
zuccheri e povera di fibre, e questi sviluppano una forte risposta
infiammatoria; per un altro mese passano invece a una dieta a base di
cereali e così l’infiammazione sparisce, ma la riprogrammazione genetica
delle cellule immunitarie no. In pratica, dopo la forte infezione, il loro sistema
immunitario rimane in una sorta di “stato di allerta”,
con il risultato che reagisce con risposte infiammatorie molto forti anche di
fronte a piccoli stimoli futuri. Detto così può sembrare un bene, ma non lo è
per nulla, perché queste risposte violente possono accelerare lo sviluppo
di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2, e allora ictus
e infarto sono fra le possibili conseguenze.

Per ricapitolare, quindi,
mangiare frequentemente fast food significa obesità, ipercolesterolemia,
iperglicemia, aumento di trigliceridi, diabete, ipertensione, asma, dermatite
atopica, danni allo sviluppo cognitivo. E questo per rimanere nelle ipotesi
migliori. Non per nulla nel 2014 l’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) pubblica uno studio con
cui mette in chiaro le cose: le abitudini alimentari promosse da
certi fast food sono da considerarsi fra le principali
cause della crisi di obesità che interessa alcuni paesi. E i fast food
hanno fatto tesoro della lezione? Non si può dire che non ci abbiano provato,
alcuni hanno introdotto delle alternative più “salutari” nei loro
menù già in anni precedenti. Ma non si può nemmeno dire che abbiano fatto la
differenza: nel 2012, la “Australian Health Promotion Association”
conduce uno studio su ben 20 fast food australiani,
e ne viene fuori che, nonostante le alternative più salutari, appena l’1%
degli acquisiti osservati va a parare su queste alternative.
Come mai? E qui, infatti, arriviamo alla prossima questione.
Se fanno così male, perché
tanta gente continua ad andare nei fast food?
DISINFORMAZIONE. Parliamoci chiaro: se uno
è consapevole anche soltanto delle cose che ho detto fino ad ora (e a maggior
ragione di quelle che dirò), in un fast food non mette piede nemmeno
una volta in vita sua. Per cui della disinformazione c’è, e se c'è le cause
possono essere tante, per esempio delle spiacevoli tecniche
di contro-marketing: nel 2015, in un’intervista al “Corriere
della Sera”, l’amministratore delegato di “McDonald’s – Italia” Roberto
Masi dichiara che la carne dei loro hamburger è identica
a quella venduta in ristoranti e supermercati. Cosa che non è per
nulla vera, come ho detto poco sopra: ristoranti e supermercati usano il posteriore
dell’animale, mentre “McDonald’s” usa l’anteriore, meno pregiato
e quindi con scarso valore commerciale. Oppure ancora, qualche anno fa, nella app
per smartphone l’industria della “M gialla” dichiarava che “Un
Big Mac ha quasi la metà delle calorie di una pizza margherita”; in
realtà un “Big Mac” ne ha 510, e una pizza ne ha
mediamente 750 (ed è un pasto completo ed equilibrato), non
1000 come vorrebbe far credere questo messaggio.
CONFORMISMO. Se si è abituati a seguire qualsiasi moda del
momento anche in fatto di vestiti o musica preferita, non ci vuole nulla a
seguirne una in più fatta di “ristoranti” da frequentare. E se
anche non c’è una moda generale, basta che ce
ne sia una fra i propri parenti, i propri colleghi
o i propri amici, e in molti, pur di non essere da meno, si
adeguano a loro.
CUCINA VELOCE ed ECONOMICA. Un “Big Mac menù” costa €
6.50 e ti viene servito in pochi minuti, perciò è chiaro che sia l’ideale per giovani
studenti, per chi non ha un servizio mensa e per chi
“va di fretta”. C’è di mezzo anche una questione di “possibilità
economiche”? Può darsi, ma per esperienza personale direi di no: delle
persone che conoscete che frequentano fast food, quante sono quelle che
lo fanno perché non possono “permettersi” altrimenti? Scommetto quasi nessuna.
La verità è che ciò che fa più la differenza è la velocità
del servizio e l’illusione che un basso prezzo significhi anche
convenienza e alta qualità.
IL CIBO IPERCALORICO CREA DIPENDENZA. Un altro motivo è rappresentato
dal cibo stesso, incredibilmente gustoso e saporito,
tanto che ho perso il conto di quelli che chiedono “Ma come fa a fare male se è
così buono?”. Come ho già detto, i cibi serviti nei fast food sono
un tripudio di grassi, zuccheri e sale,
tutte sostanze che, quando le assumiamo, ne fanno rilasciare molte altre al nostro
cervello, come la dopamina, che regala piacere e
soddisfazione; senza contare che il sale, causando disidratazione,
dà l’impressione di essere ancora affamati, quando in realtà
abbiamo semplicemente sete.
E come mai tutto ciò? Come
illustrato in un articolo del 2015 su “The New Yorker”, il motivo risiede
addirittura nella nostra stessa evoluzione: il nostro cervello si
è evoluto nel corso di millenni, in un periodo fatto di scarsità
di cibo piuttosto che di abbondanza; in un contesto del genere, cibi
molto calorici, e quindi ricchi di zuccheri e grassi, rappresentavano
la possibilità di immagazzinare molti nutrienti in un colpo solo,
abbastanza per sopravvivere fino alla prossima disponibilità di cibo (che
chissà quando sarebbe stata). Oggi non è più così, è vero, ma l’evoluzione
richiede tempo: gli umani esistono da centinaia di migliaia di anni, ma
la disponibilità continua di cibo esiste solo da qualche secolo, ci vorrà ancora
un po' prima che il nostro organismo si adatti. Nel frattempo, sappiate che siamo
quindi biologicamente predisposti verso i cibi calorici.
Con questo, allora, cosa voglio
dire? Che siamo degli scemi naturalmente predisposti verso ciò che ci fa male?
Che le catene di fast food sono a conoscenza di tutto questo e ci
marciano sopra per “far cassa”? Il fatto che ne siamo attratti è
del tutto naturale: se siamo un po' di malumore, o un po' stressati,
cosa ci va di mangiare di più? Un piatto di bietole e una banana, o un pollo arrosto
e un gelato? Tutti voi sapete che la risposta è la seconda, e il perché sta appunto nel fatto che quegli alimenti sono ricchi di grassi, zuccheri e sale: li mandiamo giù, e fanno entrare in circolo quella dopamina che ci regala un senso di soddisfazione e appagamento come nessuna frutta e verdura sarà mai capace di fare. Che poi i fast food
lo sappiano è possibile, ma il cibo ipercalorico crea dipendenza di per sé, non
è stato certo concepito ad hoc da questi “ristoratori”, che al massimo hanno accentuato quel suo contenuto "irresistibile". Nel complesso, quindi, è più facile che la cosa sia al contrario: questo tipo di cibo “va a ruba”, e allora ecco che alcuni “furboni”
ci hanno intravisto l’opportunità di fare miliardi, anche se
questo significa avvelenare la gente.
MARKETING INGANNEVOLE. Assolutamente nulla di male nel
pubblicizzare i propri prodotti, ma diciamo che dipende da come
lo fai, con che intenzioni lo fai, e da che cosa sono questi tuoi “prodotti”.
Spesso i fast food vengono
additati di vendere un cibo che non è per nulla uguale a
quello che viene pubblicizzato; cosa che è vera, ma sinceramente mi
pare il meno: i cibi che compriamo in un supermercato o in un
ristorante vi sembrano uguali a come appaiono sulla confezione o sul menù?
Quasi mai. L’aspetto veramente riprovevole del marketing che fanno è ben altro.
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| Emily Ratajkowski e Sara J. Underwood per "Carl's Jr" |
La catena “Carl’s Jr”,
per esempio, è famosa per i contenuti a sfondo sessuale delle sue
pubblicità: Kim Kardashian, Emily Ratajkowski, Paris Hilton, Kate Upton, Sara Jean Underwood, Hannah Ferguson, Charlotte McKinney, Padma Lakshmi. Sono solo
alcuni dei nomi di fior fiore di modelle giovani, super sexy e mezze nude
che divorano hamburger, patatine o alette di pollo mentre si esibiscono in pose
provocanti e numeri da lap dance. Cliccate sui link
e giudicate voi: che dite, con questa roba ce lo convinci un
adolescente medio a mangiare fast food?
Come si sarà capito, “cibo veloce”
e vita sana non sono per nulla sinonimi, eppure non mancano campioni
dello sport che si prestano alla sua pubblicità. Nel 2013,
l’Università di Yale ha condotto una ricerca curiosa: hanno preso
gli atleti più pagati degli Stati Uniti, hanno fatto due conti,
ed è venuto fuori che ben 100 di loro hanno rappresentato 512
brand, di cui un quarto legati a fast food,
merendine e bevande zuccherate. E parliamo di persone come Peyton
Manning, LeBron James, Serena Williams, Shaquille O’Neal. Il messaggio è
chiaro: se lo promuovono loro che sono atleti, con quel fisico perfetto, tanto
male non può fare, no? E allora me lo mangio anche io, tanto più se
voglio fare l’atleta come loro!

In Italia, patria
della censura sessuale, di tette e culi al vento te ne puoi permettere fino a
un certo punto; per di più stiamo anche parlando della patria del buon
cibo, che quindi non è proprio il cliente ideale a cui propinare hamburger
e patatine. E allora che si fa? Si può fare come nel 2010, quando
il Ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia, a Roma, indossa
il grembiulino del “McDonald’s” per lanciare la nuova linea di
prodotti “McItaly”, 100% “made in Italy”. Oppure come nel 2013,
quando “McDonald’s” stipula un accordo con il Consorzio Tutela
del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale: 400 capi di razza Chianina
IGP da fornire alla “M gialla” per farne degli hamburger “di
lusso” (ma solo per 3 settimane, se no costano troppo). Oppure ancora
come nel 2015, quando il marchio dei fratelli Richard e Maurice
fa proprio i fuochi d’artificio: intervento a “Ballarò” di
Roberto Masi e intervista al “Corriere della Sera” in cui si
dichiara che “McDonald’s – Italia” fa uso di “made in Italy” per l’85%
dei suoi prodotti; Valentina Aprea, assessore al Lavoro e all’Istruzione
della Lombardia, invia una lettera ai direttori delle scuole milanesi
per invitare gli alunni ad andare a Expo (dove sì, c’era anche “McDonald’s”)
e mangiare un “Happy Meal”, perché i ragazzi riceveranno un
gelato gratis e gli adulti uno sconto del 50%; si lancia l’iniziativa con cui “McDonald’s”,
a partire da marzo, l’ultimo sabato di ogni mese regala un sacchetto di
frutta a chi compra un “Happy Meal”. In anni più di recenti, invece, ci si
affida a qualche “Lezione di etichetta” o alle raccomandazioni
di Joe Bastianich, ma la solfa di tutto ciò è sempre la stessa:
presentare quella di “McDonald’s” come una cucina approvata dal governo,
attenta alla salute e alla qualità, e che valorizza il “made in Italy”.
Ma la strategia più subdola
di tutte è quella mirata ai bambini. Guardate “McDonald’s”,
con i colori sgargianti dei suoi locali, l’area giochi,
l’”Happy Meal” che regala sempre un giocattolo, e il clown
Roland McDonald: secondo voi servono per attirare i camionisti? Per 10
anni, dal 1996 al 2006, la “Disney” è stata suo partener
esclusivo, mentre ancora oggi, dal 1985, lo è l’azienda videoludica giapponese “Nintendo”;
cartoni animati e videogiochi, insomma: questi qui per chi sono? Per
gli impiegati statali? Nel 2015, poi, fa scalpore lo spot pubblicitario con il bambino che chiede un “Happy Meal” in una pizzeria,
perché “Tuo figlio non ha dubbi” su cosa sia meglio fra quello e una
pizza. Come evidenziato da Marion Nestle, docente dell’Università
di New York e tra i massimi esperti mondiali di nutrizione, lo scopo
di tutto questo è duplice: conquistare i bambini per arrivare ai genitori,
e crearsi dei clienti a vita.
Un lavoro senza diritti sul
lavoro
Non è questo né il tempo né il
luogo in cui discutere sul perché qualcuno possa scegliere di lavorare in un
fast food ma, per dirla in poche parole, di sicuro non è una scelta di vita.
Quel che conta in questo momento è che gli impiegati ci sono, e che il loro
lavoro non ha un accidente a che vedere con diritti del lavoro. E dell’umanità.
Secondo le testimonianze, sembra
di stare dentro a una catena di montaggio, in cui ogni
singola azione di ogni singolo operaio ha dei tempi da rispettare.
“Non fermarsi mai” è il motto da seguire, per cui un
addetto alla cassa, se non ci sono clienti, deve assolutamente
occuparsi di qualcos’altro con il servizio al tavolo, il controllo rifornimenti,
o le pulizie; un addetto alle cucine, invece, deve conoscere la
preparazione di ogni singolo prodotto, preoccuparsi delle scadenze, e anche qui
di rifornimenti e pulizie. Il tempo di andare in bagno quasi non esiste,
e il contatto con le persone è inesistente: l’obbiettivo è
vendere il massimo possibile nel minor tempo possibile, per questo le casse
sono monitorate da un timer, e per questo succede spesso che un
cliente, mentre è ancora in attesa del proprio ordine, viene già scavalcato da
quello successivo. Nel 2015, nei “McDonald’s” di 19
città USA, è stato addirittura rilevato che per la carenza di
personale, la mancanza di abbigliamento protettivo, la scarsa preparazione e l’eccessiva
pressione sugli impiegati, molti di questi hanno riportato degli infortuni,
e siccome non c’era nemmeno un adeguato kit di pronto soccorso, i manager li
hanno perfino invitati a curare delle ustioni usando mostarda e maionese.

E tutto questo per che cosa?
Contratti part-time, con turni nel fine settimana, nei giorni festivi, di
notte, con straordinari, e una retribuzione di circa € 800. Non per niente, stando alle stime del 2013
fatte dall’Università di California-Berkeley, il 52% degli impiegati di fast
food in America è costretto ad usufruire di almeno un programma
di assistenza sociale, cosa che si traduce in un costo di circa $
7 miliardi all’anno per i contribuenti. Situazioni simili,
nello stesso anno, sono state evidenziate dal “The Guardian” in Inghilterra,
dove il 90% di impiegati di “McDonald’s” conta su un contratto
zero-ore. O anche in Australia, nel 2019,
dove il “Fair Work Ombudsman” rileva condizioni di sottopaga in ben 17
punti vendita “Subway”, dove più di $ 81.000 non sono mai stati
percepiti (di diritto) da circa 160 impiegati.
Giustamente, negli ultimi anni, non
sono mancate proteste e scioperi da parte degli impiegati, che hanno
chiesto migliori condizioni e un trattamento economico di almeno 15 $/ora,
contro la media di 7.25 $/ora. I risultati? Nel 2014,
negli USA, il governo Obama porta il salario minimo a 10.10
$/ora e introduce nuove indennità per 3.81 $/ora; come
conseguenza, 4 fast food (di cui 3 “McDonald’s”) nelle basi della
Marina Militare chiudono i battenti, il governo viene accusato di
danneggiare la qualità della vita dei militari, e 40 parlamentari
repubblicani chiedono che alcune attività all’interno delle basi
militari, compresi i fast food, vengano esentate da questi provvedimenti. Ma c’è di peggio: nel 2013, di fronte alle proteste crescenti, il
sito “McResources” invita i dipendenti a mangiare con
piccoli bocconi alla volta per sentirsi più sazi, ottenere
rimborsi per le vacanze prenotate ma non godute, vendere possedimenti
online per guadagnare qualcosa, e smettere di lamentarsi,
perché l’ormone dello stress sale del 15% dopo dieci minuti di lamentele.
Sapete chi è Steve
Easterbrook? È stato l’amministratore delegato di “McDonald’s”
dal marzo 2015 al novembre 2019. Ve lo dico perché, mentre gli impiegati sono
sottoposti a sfruttamento e perfino a derisione, lui si è messo in tasca più di
$ 21 milioni soltanto nel 2017.
Andare nei fast food
significa distruggere l’ambiente
Eccessiva produzione di rifiuti,
emissioni di inquinanti, abusi su animali, accaparramento illegale di terreni,
sfratto di popolazioni indigene, deforestazione. È questo che si intende,
in poche parole, quando si dice che i fast food alimentano la
distruzione dell’ambiente e il cambiamento climatico.
Miglioramenti in
proposito ci sono stati, per esempio in fatto di riduzione di imballaggi, o
minor consumo di acqua, gas e elettricità. Tanto per dirne una, nel 2014
“Casa Clima” ha assegnato la certificazione di sostenibilità “Nature”
a “McDonald’s – Italia” in riferimento al punto vendita di San
Giovanni Lupatoto (VR): fra il 2009 e il 2013 è passato da 1.08kg di CO2
emessa per scontrino a 0.51kg e ha ridotto del 53% i
consumi energetici. Messi insieme tutti i punti vendita d’Italia, c’è
stato un risparmio di 16.5 milioni di litri d’acqua e 600
tonnellate di cellulosa, cosa che equivale a 6 piscine olimpioniche e
1.8 milioni di alberi. A livello globale, fra il 2015 e il 2019 “Subway”
ha annunciato che, entro il 2025, passerà ad utilizzare soltanto polli
allevati all’aperto; la stessa promessa è stata fatta nel 2015 da
molte altre catene, come “McDonald’s”, che nel 2012 ha
promesso la stessa cosa anche per quanto riguarda i maiali.
Sono promesse che verranno mantenute? Sarà da vedere. Quanto ai miglioramenti,
tanto di cappello, ma mi sembrano una goccia nell’oceano rispetto
ai problemi esistenti.
Quasi la metà dei rifiuti
presenti nella strada della Bay Area di San Francisco derivano da
imballaggi di fast food, secondo una ricerca condotta nel
2011 dalla “Clean Water Action”. E quattro anni dopo, la NRDC (Natural
Resources Defense Council) e la EPA (Enviromental Protection Agency) non
dipingono un quadro migliore, perché rendono noto che gran parte delle
catene di fast food non adotta sufficienti
politiche di riduzione di imballaggio e di riciclabilità.

I metodi di cottura
di cui ho già parlato, fatti di piastra, griglie e friggitrici, secondo una
ricerca del 2010 della “American Chemical Society” emettono grandi
quantità di gas inquinanti; tanto per rendere l’idea, ogni 2200
hamburger preparati si producono 25kg di questi gas. Ed è
il male minore, perché quello maggiore, come ho già accennato e come chiarirò
fra poco, è che gran parte della carne usata nei fast food
deriva da allevamenti intensivi, che sono responsabili di oltre
la metà delle emissioni globali di gas serra: si parla di circa 32.6
miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, secondo uno studio
del 2009 del “World Watch Magazine”; in altre parole, per dirla come James
Lomax, esperto di sistemi alimentari dell’UNEP (United Nations Environment Programme), se le mucche fossero una nazione
sarebbero il terzo più grande produttore di gas serra al mondo (dopo
Cina e Stati Uniti).
E parlare di allevamenti intensivi non significa solo inquinamento, ma
anche abusi su animali. “KFC” è accusata da anni di
allevare polli con trattamenti crudeli e perfino sadici:
documentazioni video e testimonianze raccontano di uccelli tanto stipati
da morire soffocati, nutriti e drogati per crescere così tanto che non
sono più capaci di muoversi, ali e gambe spezzate per
evitare che scappino; in alcuni casi si arriva addirittura a spegnergli
sigarette addosso, spruzzargli spray in faccia
e buttarli in vasche di acqua bollente mentre sono ancora vivi. Le
stesse accuse, nel 2015, sono state lanciate alla compagnia “Tyson
Foods”, principale fornitore di pollame di “McDonald’s”,
e anche qui le testimonianze video mostrano uccelli a cui viene calpestato
il collo, infilati in gabbie anguste e uccisi a
colpi di mazza.
Ma la ciliegina su questa torta ce la vogliamo mettere? Per
forza, diventa troppo più buona. E allora sappiate che, nel 2006,
indagini condotte da “Greenpeace” hanno portato a scoprire che
catene come “KFC” e “McDonald’s” (Europa)
acquistavano soia da multinazionali americane come “Cargill”,
“ADM” (Archer Daniels Midland) e “Bunge”, soia che veniva usata per
lo più per nutrire gli animali da allevamento; e sapete da dove veniva questa
soia? Da coltivazioni in Brasile che, per essere create, avevano
richiesto la distruzione illegale di 60.000-80.000 ettari di foresta
pluviale. Sei anni dopo, è ancora “Greenpeace” che analizza carta
e imballaggi usati da “KFC” e i risultati sono impietosi: circa il 50%
della carta proviene da legno di foresta pluviale indonesiana,
deforestata illegalmente dalla multinazionale “APP” (Asia Pulp
& Paper). Accuse simili, che comprendono anche l’esproprio di terra a
popolazioni indigene, sono state rivolte anche a “McDonald’s”
per quel che riguarda le coltivazioni di olio di palma e gli spazi
destinati ai pascoli. La sua risposta? La solita promessa
di tagliare qualsiasi suo legame con la deforestazione entro il duemila-mai.
Loro sono giganti, ma noi siamo milioni
Se siete arrivati a leggere fino a qui, tanto per cominciare vi faccio i
miei complimenti, e poi vi assicuro che ne è valsa la pena.
Spero di avervi fatto capire che una questione “banale” come quella dei fast
food ha invece delle implicazioni davvero enormi, che dietro
c’è molto e molto di più del semplice “fa male”, e che ci sono tantissimi
buone ragioni per smettere di andarci (o non iniziare nemmeno).

Molte persone, oggi, vivono delle vite a tutta velocità, ma bisogna rendersi
conto che la cucina fast food non è una “geniale” soluzione
al problema, anzi, è una pessima alimentazione del
fenomeno (bello il gioco di parole, eh?). La famosa “vita frenetica” non è un effetto
collaterale con cui c’è da imparare a convivere, è una piaga che va risolta, ma
le sue soluzioni stanno da ben altra parte, non nell’ingozzarsi. A
proposito: vi è mai capitato, a forza di mangiare di fretta, di avere gonfiore
in pancia, cali di energia, pessima digestione, o
sensazione di avere ancora fame poco tempo dopo? Tutta colpa
proprio del mangiare alla svelta: mangiare con calma, masticando
per bene il cibo, permette di assorbire meglio i nutrienti
(quindi più energie), ingurgitare meno aria (quindi meno
gonfiore), digerire meglio (nessun riflusso gastrico), e aumentare
il senso di sazietà (non si mangia in eccesso e non si ingrassa). Senza
contare che si riduce lo stress, si gusta di più
ciò che si mangia (e allora ci si sente ancora più sazi) e si possono anche fare
due benedette chiacchiere con qualcuno.
C’è chi potrebbe ribattere che i fast food li frequenta “solo
ogni tanto” e che l’importante è “non abusarne”. Vi
risponderò in tre punti: 1) se “ogni tanto” significa anche solo 1-2
volte al mese, ma spalmate su 30 anni, non crediate che
faccia molta differenza; tra l’altro, dato che il cibo ipercalorico crea
dipendenza, è molto facile che uno abituato a mangiare nei fast food poi
si abitui a mangiarlo anche a casa, e allora altro che 1-2 volte
al mese, si arriva anche a 3-4 volte a settimana. 2) Se dentro al
cibo ci sono le schifezze artificiali di cui vi ho parlato, che
differenza dovrebbe fare andarci poco o andarci spesso? Più o meno è
come dire che bere detersivo per piatti fa male, ma se ne bevi
5ml “ogni tanto” non succede nulla. 3) Al di là dell’aspetto salutare, andare
nei fast food significa finanziare tutto il marcio che c’è dietro,
per cui no, la soluzione non è “andarci ogni tanto”, la soluzione è “non
andarci affatto”. Dite che è conveniente perché costa
poco? Fatevi questa domanda: costa poco per chi? La gente
ci va per fare il bene del proprio portafogli e non si rende conto che fa
il male della propria salute e del resto del pianeta.
Ottima strategia.
I fast food, da parte loro, si difendono sempre dicendo che sono i primi
a dichiarare le informazioni nutrizionali di quel che vendono,
che il marketing è utilizzato da chiunque per pubblicizzare i propri
prodotti, per cui se la gente ne abusa è affar suo, d’altra parte “esiste
il libero arbitrio”. Cose tutte vere, se non fosse per due piccoli
dettagli: qui non si pubblicizza un’automobile, uno smartphone o un paio
di scarpe, ma roba da mangiare, che può fare la differenza
fra buona e cattiva salute; esiste il libero arbitrio? Vero, ma solo
fino a quando la libertà non si confonde con la “scelta condizionata”,
e un marketing fatto di tette e culi, false dichiarazioni nutrizionali e
circuizione di minori mira esattamente a questo.
Ricordatevi, come ha detto Dr. Paul, “Un terzo di ciò che
mangiamo è sufficiente a farci vivere; gli altri due terzi servono a far vivere
i medici”. E se non ci volete credere, allora affidatevi all’intuito,
come suggerisce anche lo scrittore e giornalista Michael Pollan: “Non
mangiare nulla che tua nonna non riconoscerebbe come cibo”. E
quello dei fast food non lo è di certo.
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Fonti:
- "Franchise Help" - Fast Food Industry Analysis 2020 - Cost & Trends
- "National Employment Law Project" - Super-sizing public Costs How Low Wages at Top Fast-Food Chains Leave Taxpayers Footing the Bill
- "UC Berkeley Labor Center" - Fast Food, Poverty Wages The Public cost of low-wage Jobs in the fast-food industry
- "Reuters" - Study found deregulation fuelling obesity epidemic
- "Food Politics" - Marion Nestle
- "Health Promotion Journal of Australia" - Sales of healthy choices at fast food restaurants in Australia
- "Reuters" - McDonald's to remove corn syrup from buns, curbs antibiotics in chicken
- "Kotaku" - Nintendo And McDonalds: A Short History
- "My personal trainer" - Rischi dei Fast Food
- "Guidaconsumatore" - Fast food
- "Terra Nuova" - Allergia da fast food
- "Terra Nuova" - Fast Food: basta un mese per rovinare il fegato
- "Terra Nuova" - McDonald’s chiude il sito che sconsiglia il fast food
- "Greenreport" - Il fast food rende più aggressivo il sistema immunitario (e non è una buona notizia)
- "Slow Food" - Fast food & horror food: la parola a chi ci ha lavorato
- "Il Fatto Alimentare" - Trent’anni di fast food: piatti sempre più grandi, calorici e salati
- "Il Fatto Alimentare" - Ftalati nelle urine di chi mangia al fast food
- "Il Fatto Alimentare" - McDonald’s, la catena di fast food diventata simbolo del made in Italy, sdoganata dai talk show e premiata da interviste sui quotidiani
- "Il Fatto Alimentare" - Fast food: tutti i segreti del marketing alimentare per incantare i bambini
- "Il Fatto Alimentare" - Mangiare spesso al fast food può ridurre il rendimento scolastico
- "Il Fatto Alimentare" - Fast Food cinesi e giapponesi in crisi, per lo scandalo della carne scaduta riciclata
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- "Il Fatto Alimentare" - Chiudono i fast food nelle basi della Marina militare americana
- "Piattoforte" - Perché siamo attratti dal cibo spazzatura?
- "Waste and Opportunity 2015" - Environmental Progress and Challenges in Food, Beverage, and Consumer Goods Packaging
- "Ohga" - I piatti dei fast food inquinano, dalle materie prime al tipo di cottura che utilizzano
- "Associazione Progetto Gaia" - traduzione di "Livestock and Climate Change" di R. Goodland e j. Anhang
- "Reuters" - McDonald's, Tyson Foods drop farm after videotape shows animal cruelty
- "PMC" - A Decade of Progress toward Ending the Intensive Confinement of Farm Animals in the United States
- "Rinnovabili.it" - CasaClima: la sostenibilità fa rima con fast food
- "Terra Nuova" - Il fast food "mangia" le foreste protette
- "Villaggio Globale" - Hamburger e soia stanno distruggendo l’Amazzonia
- "Il Fatto Alimentare" - Il caso Mc Donald’s, tra land grabbing, deforestazione e olio di palma
- "Kentucky Fried Cruelty" - Cruelty Capital, USA
- "Kentucky Fried Cruelty" - Campaign Highlights
- "The Guardian" - Food giants to boycott illegal Amazon soya
- "Bloomberg" - KFC Using Rain-Forest Wood in Boxes, Greenpeace Says
- "Dailymail" -KFC buckets are destroying the Indonesian rainforest claims Greenpeace
- "The Wall Street Journal" - Subway Begins Move Toward Cage-Free Eggs
- "Subway" - Build stronger communities
- "Subway" - Media Response on Cage-free Eggs Plan
- "Greenpeace" - Cosa c'è di sbagliato in McDonald's?
- "Vice" - McDonald’s Is Switching to Cage-Free Eggs at a Delicate Moment for the Poultry Industry
- "Wired" - The Insanely Complicated Logistics of Cage-Free Eggs for All
- "The New York Times" - McDonald’s Set to Phase Out Suppliers’ Use of Sow Crates
- "Milano - psicologia" - Mangiare consapevole: la mindful eating
- "Naturopatia" - Scopri perché è importante masticare lentamente e più a lungo!
- "Corriere della Sera" - Mangiare lentamente riduce colesterolo, glicemia, ipertensione
- "GreenMe" - 10 motivi per mangiare più lentamente