venerdì 10 aprile 2020

Che aria tira nel mondo?

Fonti e protagonisti dell'inquinamento, i suoi responsabili e gli effetti sull'ambiente

Quando si dice “inquinamento atmosferico” probabilmente a molti vengono in mente tre immagini: un pennacchio di fumo nero che si alza da una ciminiera, cinesi con una maschera sulla faccia che “nuotano” nello smog di Pechinostrade intasate dal traffico di una metropoli americana. Non è che siano immagini sbagliate, ma siccome a molte persone vengono in mente soltanto queste, è segno che la cultura ambientale scarseggia: uno si affaccia alla finestra di casa sua, non vede né fumo, né smog, né traffico, e allora crede di vivere nell’ultimo paradiso terrestre.

La realtà dei fatti è che l’aria inquinata è ormai quasi ovunque e che la maggior parte degli inquinanti non si vede, non si odora e ha dei nomi che richiedono qualche secondo per essere pronunciati. Circa 1/3 dell’energia elettrica mondiale è ancora oggi prodotto grazie alla combustione del carbone, e $ 300 miliardi ogni anno vengono regalati come sussidi a quelle stesse fonti energetiche che minacciano la sopravvivenza di tutto il pianeta. E mentre in tutta Europa si sbraita di bandire auto a benzina e diesel entro il 2040, veicoli non più “a norma” vengono svenduti a Paesi in via di sviluppo.

Vi sembra un quadro perfino più nero del fumo che ho menzionato prima? In effetti un po' lo è, ma come sempre il potere di cambiare le cose è nelle mani di tutti noi. Vi diranno che c’è da smettere di mangiare carne o di usare aria condizionata, o che la riduzione del traffico dovuta alla COVID-19 sarà un toccasana a lungo termine, ma in realtà questa “partita” si gioca su ben altri “campi”. Volete sapere quali? Beh, per capire le soluzioni, prima di tutto c’è da capire il problema

Cosa si intende per "inquinamento atmosferico"?

Ormai siamo talmente abituati all’espressione che molti la usano senza nemmeno sapere cosa si intende. Ma da quando esiste questo inquinamento? Quali sono gli inquinanti e come vengono emessi? Che effetti hanno? Ma soprattutto: cosa distingue l’aria “buona” da quella “inquinata”?

Tanto per cominciare, quella che comunemente chiamiamo “aria” non è un’unica sostanza, ma una miscela, quindi un insieme di varie sostanze. Quella che respiriamo oggi esiste da circa 1 miliardo di anni e la sua composizione originale è fatta al 78% di azoto (N2) e al 21% di ossigeno (O2); il restante 1% è rappresentato da argon (Ar), vapore acqueo (H2O), biossido di carbonio (CO2), neon (Ne), elio (He), metano (CH4), idrogeno (H2), kripton (Kr), xenon (Xe) e ozono (O3). Ha uno spessore di circa 500km, ma il 99% di tutta la sua massa è contenuto nei primi 30km, quindi la sua composizione non è omogenea: il vapore acqueo, per esempio, si trova quasi del tutto nei primi 12km, mentre l’ozono è per lo più fra 10km e 50km, a formare il famoso “strato di ozono” che ci scherma dai raggi UV (ultravioletti).

Chiarito questo, facciamo attenzione a non confondere il termine “contaminante” con quello di “inquinante”. Il primo è una sostanza estranea alla composizione originale, può anche essere di origine naturale, e non causa necessariamente dei danni. Il secondo, invece, può anche essere una sostanza già presente ma la cui concentrazione raggiunge livelli anomali; può essere dato sia da sostanze che da luce, suoni o radiazioni; deriva da attività umane e causa sempre dei danni. Come vedremo meglio fra poco, un inquinante può essere solido, liquido, gassoso o un mix, e può essere primario o secondario, cioè emesso nell’ambiente tale e quale, oppure prodotto a sua volta da altri inquinanti.

La "lista della spesa" degli inquinanti

È una lista un po' lunga e, a volte, fatta di nomi veramente strani, ma purtroppo gli inquinanti emessi sono davvero tanti, rifatevela con i colpevoli della loro emissione. Se non altro, alla fine li avrete chiari una volta per tutte.

GAS SERRA. Di sicuro i più famosi fra gli inquinanti, quelli che causano il famigerato “effetto serra” di cui parlerò più avanti. Dal più abbondante al meno abbondante, parliamo di diossido di carbonio (CO2, 81%), metano (CH4, 11%), protossido di azoto (N2O, 5%), idrofluorocarburi (HFC, 2%) e perfluorocarburi (PFC, <0.2%); secondariamente, anche di vapore acqueo e ozono (O3). Il CO2 è prodotto soprattutto dalla combustione di idrocarburi, tant’è che le attività umane lo hanno fatto quasi raddoppiare in appena 150 anni (280mg/kg in epoca pre-industriale, 412mg/kg nel 2020); quello prodotto in surplus riesce a rimanere in atmosfera per centinaia di anni. Il metano rimane in atmosfera per circa un decennio, ma è 25 volte più efficace del CO2 nel trattenere calore; ha sorgenti naturali come la decomposizione di materia organica, ma più della metà è prodotto da combustibili fossili, agricoltura e allevamento. Anche N2O proviene da decomposizione, ma il grosso proviene da fertilizzanti agricoliescrementi di animali da allevamento, combustione di biomasse e vari processi industriali; cosa più importante, rimane in atmosfera per almeno un secolo ed è 200 volte più efficace del CO2Migliaia di volte più potenti sono gli HFC, composti di idrogeno, fluoro e carbonio usati come refrigeranti negli impianti di condizionamento; ugualmente potenti i PFC, composti di fluoro e carbonio usati nella produzione primaria di alluminio e nel fissaggio dei tessuti, negli impianti di raffreddamento, nelle industrie cosmetiche e farmaceutiche, e che riescono a rimanere in atmosfera per migliaia di anni.

OSSIDI DI ZOLFO (SOX). Il principale è il diossido di zolfo (SO2), che può derivare da attività vulcanica, ma per lo più dalla combustione di gasolio, olio combustibile e carbone. Rimane in atmosfera da poche ore a qualche giorno perché è facilmente dilavato dalla pioggia, ma è irritante per occhi e gola e, in caso di esposizioni prolungata, può aggravare o creare patologie respiratorie come asma e bronchite cronica. Insieme ad acqua e NO2, inoltre, può formare acido solforico (H2SO4), da cui il fenomeno delle piogge acide.

OSSIDI DI AZOTO (NOX). Parliamo soprattutto di NO, NO2, N2O, N2O3, N2O5. Il più abbondante è l’N2O di cui ho già parlato, gli altri sono generati per lo più da processi di combustione ad alta temperatura (impianti di riscaldamento, veicoli, combustioni industriali…). Fra loro, il biossido di azoto (NO2può produrre inquinanti secondari come l’ozono, l’acido nitrico (HNO3) e l’acido nitroso (HNO2), e provoca disfunzioni respiratorie, irritazione delle mucose e aumento del rischio tumori.

MONOSSIDO DI CARBONIO (CO). Prodotto per lo più da gas di scarico di veicoli, o da combustione di gas naturale, carbone e legna. Riesce a rimanere in atmosfera per circa un mese, ad alte concentrazioni è letale, a basse concentrazioni spalmate su lunghi periodi porta a problemi respiratori.

CLOROFLUOROCARBURI (CFC). Composti gassosi di cloro, fluoro e carbonio, usati come refrigeranti, propellenti di bombolette spray, o solventi. Il loro utilizzo è bandito dal 1987, ma rimangono in atmosfera per centinaia di anni e sono i principali responsabili della distruzione dello strato di ozono.

IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA). Composti di carbonio e idrogeno, prodotti soprattutto da combustione di carbone, legno, prodotti petroliferi e rifiuti. Fra i più importanti il benzene o il benzo(a)pirene, considerati cancerogeni.

INQUINANTI ORGANICI PERSISTENTI (POP). Composti organici chiamati così perché molto resistenti alla decomposizione, quindi rimangono a lungo nell’ambiente. Si uniscono facilmente a tessuti organici, sono tossici, cancerogeni, interferenti ormonali e si accumulano nella catena alimentare. Fra essi il DDT, famoso pesticida, o le diossine, derivate da inceneritori, industrie chimiche e siderurgiche, o abbruciamenti di plastiche.

COMPOSTI ORGANICI VOLATILI (VOC). Composti organici che portano questo nome perché, a temperatura ambiente (20°C), passano rapidamente allo stato gassoso. Hanno anche sorgenti naturali, ma provengono soprattutto da combustibili di veicoli, pesticidivernici solventi. Alcuni, tipo l'isoprene, rimangono in atmosfera per appena 2 ore perché molto reattivi, ma contribuiscono a creare metano e ozono "troposferico" (vedi sotto). Tra essi, fra l'altro, ci sono potenti cancerogeni come benzene formaldeide.

OZONO (O3). Oltre a quello naturale ce n’è anche uno non naturale, detto “antropico” o “troposferico”: è un inquinante secondario, che si produce per reazione fra raggi UV, ossidi di azoto (NOX), monossido di carbonio (CO) e VOC. Se in atmosfera non sono presenti idrocarburi, altre reazioni che coinvolgono gli NOX contribuiscono ad eliminarlo, ma se sono presenti idrocarburi, questi reagiscono a loro volta con gli NOX; così, non essendoci più NOsufficienti ad eliminarlo, l'ozono si accumula nei primi 12km di quota. Causa danni alla vegetazione, provoca patologie respiratorie e agisce come gas serra.

NITRATI DI PEROSSIACETILE (PAN). Composti di azoto, ossigeno, carbonio e idrogeno, anche questi inquinanti secondari, prodotti per reazione fra NO2, luce solare, residui di idrocarburi e aldeidi e chetoni (a loro volta secondari). Sono irritanti per gli occhi e causano danni alla vegetazione.

AMMONIACA (NH3). Molto utilizzata come componente di fitofarmaci o fertilizzanti chimici usati in agricoltura intensiva e largamente prodotta dalle deiezioni di animali da allevamentoÈ irritante per gli occhi e le vie respiratorie, e in atmosfera reagisce con gli ossidi di azoto e zolfo per formare altri inquinanti secondari, tipo il particolato (vedi più sotto).

METALLI PESANTI. Sono chiamati così quelli che hanno una densità maggiore di 4.5g/cm3, come arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, tallio o vanadio. Hanno sorgenti naturali tipo erosione dei suoli o eruzioni, ma per lo più provengono da attività minerarie, fonderie, raffinerie, inceneritori e carburanti di veicoli. Come minimo sono tossici, se no anche cancerogeni e, come le diossine, vanno incontro a bioaccumulo, cioè non sono smaltiti dall’organismo, perciò risalgono tutta la catena alimentare.

PARTICOLATO (PM). Detto anche “polveri fini" o "polveri sottili”, la sigla “PM” deriva dall’inglese “particulate matter”, e rappresenta particelle solide o liquide di composizione varia, estremamente piccole, che rimangono sospese in atmosfera legandosi fra loro o con particelle di gas (formando gli aerosol). Può essere emesso tale e quale, oppure è un secondario che deriva da SOX, NOX o VOC, e se anche esistono sorgenti naturali come incendi o vulcani, il grosso deriva da veicoli, usura di frenipneumatici e manto stradaleemissioni industriali, inceneritori, o biomasse per il riscaldamento. Viene chiamato PM10PM2.5PM1PM0.1 o nanopolveri a seconda che abbia un diametro inferiore a 10/2.5/1/0.1/0.001 µm, ed è dannoso perché, così piccolo, può penetrare il sistema respiratorio fino agli alveoli polmonari.

SMOG. Questo termine viene usato spesso in modo generico, come sinonimo di “inquinamento”, ma in realtà è qualcosa di più specifico. Si tratta di un accumulo di inquinanti sia primari che secondari che si può osservare in centri urbani o industriali, e si verifica con condizioni meteo particolari che impediscono il mescolamento dell’aria, tipo alta pressione sommata ad alta temperatura, oppure inversione termica

Settori, Paesi e responsabili: a chi si deve l’emissione di questi inquinanti?

I trasporti, l'industria, l'agroalimentare e l'energia sono i 4 maggiori settori

Gli accenni che ho fatto nella “lista della spesa” dovrebbero avervi già fatto intuire che le maggiori fonti di inquinanti non sono affatto quelle naturali, ma piuttosto quelle umane. Secondo il rapporto della IPCC del 2014, infatti, il surriscaldamento del pianeta è dovuto alle attività umane degli ultimi 50 anni appena. Perciò, cerchiamo di capire un po' meglio: quali sono i settori che contribuiscono di più e con quali inquinanti? 

TRASPORTI. Comunemente si pensa che siano i maggiori emettitori di gas serra, ma in realtà, secondo i dati del 2016 del "Climate Watch", contribuiscono per appena il 16.2% (e il 73% di questo è fatto di veicoli). La parte più importante dell’inquinamento che provocano consiste in ossidi di azoto (NOX) e particolato, e infatti, secondo l’OMS, il traffico dei veicoli contribuisce per il 25% all’inquinamento urbano da polveri fini (generate da combustione, oppure usura di freni e pneumatici). Di sicuro influiscono fattori come l’età del veicolo, le sue dimensioni e la manutenzione, ma una buona differenza la fa il combustibilemettendo a confronto due auto con standard “Euro 6”, la benzina produce 135g/km di CO2 e il 1363% in più di monossido di carbonio (CO), ma il diesel genera 137g/km di CO2, il 40% in più di polveri fini e il 367% in più di ossidi di azoto (NOx).

PROCESSI INDUSTRIALI. Con questa espressione si intende veramente di tutto, visto che oggi quasi qualsiasi cosa è prodotta con metodi industriali piuttosto che artigianali. Comunque, la “lista della spesa” che ho fatto prima, se ben guardata, suggerisce che i settori principali siano quello minerario, chimico, siderurgico, farmaceutico, tessile, metallurgico, petrolchimico e delle costruzioni. Il panorama degli inquinanti che producono è davvero largo, ma di sicuro ci sono i gas serra, che sempre il “Climate Watch” attribuisce all’industria per il 5.2% (per lo più chimica e edilizia). Un caso interessante, ma poco chiacchierato, è quello dei farmaci: secondo una ricerca del 2015 dell’università canadese “MacMaster”, 15 fra le 200 maggiori case farmaceutiche del mondo hanno prodotto 52 milioni di tonnellate di CO2-eq (fra processi produttivi e consumo di energia elettrica). Tanto per capirci, considerate che il settore automobilistico, nello stesso anno, ne ha prodotte 46.4 milioni-eq (vedi CO2 equivalente).

AGRICOLTURA e ALLEVAMENTO. Le pratiche intensive contribuiscono molto ai gas serra e al particolato. Le polveri fini sono per lo più secondarie, originate da ammoniaca (NH3), che a sua volta deriva da fertilizzanti azotati e dalle deiezioni di animali. E così, secondo la EEA (European Environment Agency), agricoltura e allevamento si aggiudicano il 94% delle emissioni di NH3 e il 15% del particolatoMa anche con i gas serra non scherzano, visto che lo studio del “Climate Watch” gli assegna il 18.4% delle emissioni globali. Di questo, l’88% è emesso in modo diretto dai suoli agricoli, dagli abbruciamenti, dalla digestione degli animali e dalla decomposizione delle loro feci; il 12% è emesso in modo indiretto dalla distruzione di foreste “necessaria” a far spazio a pascoli e coltivazioni (perché meno foreste significa meno CO2 assorbita).

ENERGIA. Sempre a ben guardare la “lista della spesa”, si può vedere che un’altra grande causa di emissione di inquinanti è l’estrazione e l’utilizzo di biomasse e combustibili fossili (petrolio, gas, carbone e derivati). La produzione di energia, sia elettrica che termica, è appunto il principale motivo per cui queste risorse vengono estratte e utilizzate. E questa produzione quanto contribuisce a ciascun inquinante? Di sicuro contribuisce moltissimo ai gas serra: escludendo i trasporti che abbiamo già detto, è ancora il “Climate Watch” a stimare un 57% delle emissioni globali, dovuto per lo più all’uso nell’industria e nelle abitazioni (commerciali e residenziali), secondariamente ad agricoltura e pesca e ad emissioni che sfuggono nella fase di produzione.

I Paesi si contano sulle mani, per i responsabili serve un promemoria

Arrivati fino a qui, potrebbe sorgere spontanea una domanda: ma tutto questo è valido in tutto il mondo? In ogni città, in ogni Regione, in ogni Paese? Ovviamente no, non bisogna generalizzare. Almeno per quanto riguarda i gas serra, la classifica dei 10 Paesi più inquinanti al mondo nel 2015 (in ordine decrescente) è fatta da Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India, Russia, Giappone, Brasile, Indonesia, Iran e Canada; per l’Unione in particolare, la classifica del 2017 vede Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Polonia, Spagna, Olanda, Repubblica Ceca, Belgio e Romania. Guardando all’inquinamento da PM2.5, i 10 peggiori Paesi nel mondo nel 2019 risultano Bangladesh, Pakistan, Mongolia, Afghanistan, India, Indonesia, Bahrain, Nepal, Uzbekistan e Iraq.

Se invece andiamo a guardare le singole città, allora scopriamo che, per l’inquinamento da PM2.5, le 10 più sottoposte al mondo nel 2019 sono in India (6), Pakistan (3) e Cina (1). In Europa, 4 si concentrano in Bosnia-Erzegovina, 3 in Serbia, più una in Macedonia, una in Polonia e una in Italia (Ceglie Messapica). Per le PM10, invece, le 10 più inquinate in Italia nel 2020 sono Torino, Venezia, Padova, Rovigo, Treviso, Milano, Avellino, Cremona, Frosinone e Modena.

E che cosa dire dei responsabili (almeno per i gas serra)? Se volessimo fare qualche nome specifico, invece dei soliti termini-ombrello tipo “industria agroalimentare”, “farmaceutica”, “automobilistica” ed “energetica”? Nel caso della prima, l’organizzazione “Grain”, nel 2017, ha analizzato le 35 maggiori aziende mondiali, di cui, però, solo 4 forniscono stime complete sulle emissioni; le 4 “buone samaritane” sono allora “NH Foods”, “Nestlé”, “FrieslandCampina” e “Danone”. Le maggiori a livello mondiale, però, nel 2017, sono “Fonterra”, “DFA”, “Cargill”, “Tyson Foods” e "JBS", che messe insieme hanno generato più emissioni di un’industria petrolifera come “ExxonMobil”. Per l’industria del farmaco, cito di nuovo lo studio della “MacMaster University” del 2015: su 200 compagnie che controllano il mercato, 25 pubblicano regolarmente i dati sulle proprie emissioni e di queste solo 15 realizzano report accurati dal 2012; nella classifica, comunque, compaiono “Eli Lilly”, “Roche”, “Procter&Gamble”, “Johnson&Johnson” e “Bayer”. Il settore auto, nel 2018, si è reso responsabile del 9% delle emissioni mondiali di gas serra (più di tutta l’Unione Europea nello stesso anno), e questo tramite 12 aziende in particolare, cioè “Volkswagen”, “FCA”, “Reanault-Nissan”, “Toyota”, “General Motors”, “Hyundai-Kia”, “Honda”, “PSA”, “Suzuki”, “Daimler” e “BMW”. Infine, il settore energetico: il 71% dei gas serra emesso fra il 1988 e il 2017 è da attribuire ad appena 100 compagnie, fra cui “Saudi Aramco”, “Gazprom”, “ExxonMobil”, “Royal Dutch Shell”, “Chevron”, “Total”, “Glencore”, “Coal India”, “Petrochina”, “Rosneft”, "BP" e “ENI”. 

Gli effetti sull'ambiente...e quindi su di noi

EFFETTO SERRA. In teoria è un fenomeno del tutto naturale. La radiazione che arriva dal Sole in parte viene riflessa subito dalle nubi, in parte viene assorbita da acque, suolo e vegetazione; quella assorbita, a sua volta, in parte viene riemessa come radiazione infrarossa, che un po' si disperde nello spazio, e un po' viene trattenuta da quei gas serra naturalmente presenti in atmosfera. Senza questo meccanismo, quasi tutta la radiazione assorbita dalla Terra sarebbe riemessa nello spazio, e allora la sua temperatura media non sarebbe più di 20°C, ma di circa -18°C. Il problema è che, noi umani, a partire dalla Rivoluzione Industriale, abbiamo immesso così tanti gas serra in più da creare un incremento dell’effetto serra; da qui il surriscaldamento, che a sua volta porta allo scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, riscaldamento delle acque, alterazione delle stagioni, intensificazione di eventi meteo estremi. Alle medie latitudini, causa anche la persistenza di anticicloni, quindi un ristagno di aria che, come abbiamo visto, favorisce lo smog.

RESE AGRICOLE RIDOTTE. Diversi accenni dovreste averli già intravisti nella “lista della spesa”, ma qui lo sottolineo e lo ribadisco: l’inquinamento atmosferico ricade sulla produzione di cibo, anche in modo diretto. Uno studio condotto in India nel 2014 dal PIK (Potsdam Institute for Climate Impact Research), ha scoperto che, rispetto al 1980, l’azione dell’ozono e del nero di carbone sulle coltivazioni di grano e riso ha ridotto la loro resa del 36 e 20%. Da notare l’ironia del fenomeno: per coltivare (in maniera industrializzata e di massa) si produce inquinamento, e questo inquinamento riduce la resa delle coltivazioni.

BUCO DELL’OZONO. Non consiste in vero e proprio buco, come qualcuno forse si immagina, ma piuttosto nella riduzione dello spessore dello strato di ozono al di sopra dei Poli. È causata da composti organici alogenati, cioè degli inquinanti che contengono elementi come cloro, bromo, fluoro e iodio, che sono largamente usati come solventisgrassantiplastificanti o pesticidi (ne sono un esempio i già citati CFC). L’assottigliamento più pronunciato si forma ai Poli perché è qui che, in inverno, si rigettano correnti dalla stratosfera (che portano con sé gli inquinanti), ed è sempre qui che, in primavera, grazie alla luce solare, si innescano quelle reazioni che portano a consumare l’ozono. In altri parti del pianeta un “buco” come quello dei Poli non c’è, ma un assottigliamento sì, e questo fa sì che i raggi UV del Sole possano raggiungere la superficie: per la pelle umana sono dannosi, se non cancerogeni, mentre nelle piante compromettono la fotosintesi (da cui anche danni alle coltivazioni).

PIOGGE ACIDE. L’acqua di precipitazione, di solito, ha un pH che oscilla fra 5.6 e 6.2, cioè è leggermente più acida di quella che beviamo, che di solito ha un pH fra 6.5 e 8.5. Se in atmosfera, però, c’è un’elevata concentrazione di ossidi di zolfo (SOX) o di ossidi di azoto (NOX), questi reagiscono con i gas atmosferici formando acido solforico (H2SO4) e acido nitrico (HNO₃); se poi c’è elevata umidità, e quindi goccioline di acqua sospese, questi acidi si sciolgono al loro interno, portando quell’acqua a valori di pH più acidi del normale, cioè inferiori a 5. Il risultato sono nebbie, piogge o nevicate con pH molto bassi, e quindi “acide”, che sull’uomo non hanno effetti negativi in modo diretto, ma in modo indiretto lo hanno eccome.

Fiumi, laghi, mari o terreni su cui ricadono vengono appunto acidificati. Come conseguenza, alcuni minerali e nutrienti del suolo vengono rimossi, alcuni batteri muoiono, perciò ne risentono vegetazione selvatica e raccolti. Barriere coralline e alcune specie di plancton fanno la stessa fine, così come accade a lumache, vongole, gamberi, effimere, trote, salamandre, pertiche e rane. Senza contare che i metalli pesanti vengono disciolti più facilmente in acque acide piuttosto che neutre o basiche, perciò si crea anche un problema di potabilità. E in quali parti del mondo tutto questo? Principalmente nel NE degli Stati Uniti, nel SE del Canada, in Taiwan, nel SE della Cina, o in Paesi europei come Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Danimarca, Svezia e Finlandia.

EFFETTI SULLA SALUTE. L’inquinamento atmosferico è stato dichiarato dall’OMS come il più grande rischio ambientale per la salute umana, con ozono (O3), diossido di azoto (NO2) e particolato considerati i tre inquinanti più incidenti. Uno studio pubblicato nel gennaio 2019 sulla rivista “European Heart Journal” ha fatto il punto della situazione: solo nel 2015, l’inquinamento dell’aria ha causato 8.8 milioni di vittime nel mondo, di cui 659.000 nell’Unione Europea e 81.000 in Italia. In che modo? Nel 40-80% dei casi tramite malattie cardiovascolari e polmonari come infarto, ictus e polmonite. Come evidenziato da uno studio tedesco pubblicato su “Science Focus” nel marzo 2020, si tratta di un record che, sempre nel 2015, non sono riusciti a toccare nemmeno il fumo (7.2 milioni di vittime), l’HIV (1 milione), parassitosi come la malaria (600.000) o le guerre (530.000).

COVID-19 e inquinamento atmosferico: un legame tanto sottile quanto ampio

Alcuni studi e molte ipotesi ne parlavano già nei primi mesi del 2020, ma ad oggi (marzo 2021) è ormai un dato certo: esiste un legame fra qualità dell’aria e COVID-19, nel senso che l’inquinamento atmosferico, tramite le patologie cardiache e polmonari che provoca, agisce come fattore peggiorativo, come terreno fertile che ne favorisce la diffusione.

Uno studio americano pubblicato nel novembre 2020 ha provato che un aumento di pochi µg/m3 nella concentrazione media di PM2.5, relativa anche soltanto all’ultimo anno, si è tradotto in aumento dell’11-15% del rischio di mortalità da COVID-19. Un risultato simile è stato osservato anche in Italia: CMCC (Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), Università del Salento e ISS (Istituto Superiore di Sanità), hanno dimostrato una correlazione da moderata a forte, nel breve termine, fra tassi di mortalità e letalità di COVID-19 e inquinamento da diossido di azoto (NO2) e particolato (PM10, PM2.5), con una correlazione più forte per il secondo. E tutto questo ha portato anche a stimare quando l’inquinamento ha inciso sui numeri: il 15% delle vittime che SARS-CoV-2 ha causato nel mondo è da attribuire all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico; in Europa si parla del 19%, con un 29% nella Repubblica Ceca, 26% in Germania, 15% in Italia e 14% nel Regno Unito.

Quello che si è osservato, infatti, è anche che esistono delle differenze fra i vari continenti, fra i vari Paesi, e perfino fra Regioni e città dello stesso Paese. In certi casi, anche fenomeni contraddittori come pochi casi di infezione in zone molto inquinate. Come si spiega? Col fatto che, come si è detto, sono alcuni inquinanti in particolare (NOe PM) a causare patologie che rendono più sensibili all’infezione e, se ricordate la “lista della spesa”, dire che una zona è “inquinata” non significa che lo sia per forza da NO2 e particolato. E, soprattutto, perché sono tanti i fattori che giocano allo stesso tempo.

Il benessere di ognuno di noi dipende dalla nostra armonia psicofisica, dall’alimentazione, dallo stile di vita, e dalla qualità dell’ambiente che ci circonda. Solo considerando il tutto, solo con un approccio olistico, si può capire come funziona e come risolvere un fenomeno come COVID-19. Un approccio che nella società occidentale manca quasi del tutto, e infatti l’emergenza da Coronavirus è proprio uno degli effetti: questa pandemia è la conseguenza a lungo termine di un modello sociale industrializzato, massificato, standardizzato, intensivo e globalizzato; uno che di olistico non ha proprio un bel niente, perché punta al profitto immediato e sproporzionato di poche persone, senza badare alle conseguenze sugli altri e sul resto del mondo.

Se li conosci li eviti

Molte persone sono convinte che solo oggi, per la prima volta dai tempi della peste nera, l’umanità si ritrovi a fronteggiare una pandemia, una chiamata COVID-19. Ma se siete arrivati a leggere fino a qui, dovreste aver capito che con una vera pandemia noi abbiamo a che fare ogni giorno da più di un secolo. Le vittime che il SARS-CoV-2 ha fatto in un anno (2.6 milioni, marzo 2021) l’inquinamento dell’aria (in media) le fa in appena 3-4 mesi (e ormai da un secolo), eppure non ci sono Decreti Ministeriali, né stati d’emergenza, né maschere protettive distribuite porta a porta, né slogan di incoraggiamento in televisione. Come mai? Per dei motivi vecchi quanto il tempo: perché i responsabili sono inebriati dai miliardi che fatturano e tengono per le redini centri di ricerca, mass media e interi Governi; e perché l’inquinamento non ha un nome preciso, non ha una sorgente specifica, e i suoi effetti, spesso, sono variabili e a lungo termine. Insomma, sia a livello collettivo che personale, è la solita vecchia storia del “Titanic” che si ripete: finché l’iceberg non si vede si fa festa, quando poi si vede è già il momento di gettare le scialuppe.

Se li conosci li eviti”, così ho deciso di intitolare questo paragrafo, come il famoso libro di Peter Gomez e Marco Travaglio. Forse perché gli inquinanti si possono evitare? Una volta che sono stati emessi è difficile, ma prima tutto è possibile. I sussidi alle fonti fossili devono finire e deve iniziare l’età delle energie rinnovabili, così che queste possano essere applicate nelle industrie, nei trasporti, per produrre elettricità e per gli impianti termici. Deve sorgere un’economia circolare, così che si possa ridurre la produzione "da 0" e sostituire quasi del tutto il riciclo allo smaltimento dei rifiuti. Va ripensato il modo in cui produciamo e consumiamo il nostro cibo, passando ad un sistema agroalimentare sostenibile e biologico.

E chi è che deve fare tutte queste cose? Le Istituzioni nazionali e sovranazionali? Certo, ma se aspettate che i primi passi li facciano loro vi verranno i capelli bianchi. Tutto parte da noi, quando ci informiamo bene e diventiamo consapevoli di problemi e soluzioni; quando condividiamo queste cose con altre persone facendo crescere la consapevolezza collettiva; e quando facciamo le nostre scelte quotidiane in tema di stile di vita e di consumi: consumare energia in maniera intelligente; abbonarsi ad un gestore che utilizza già fonti rinnovabili; installare pannelli solari; viaggiare con mezzi pubblici o elettrici; impegnarci nella raccolta differenziata; acquistare prodotti biologici ed ecologici; evitare imballaggi in plastica, preferire prodotti sfusi, e cercare il più possibile di riutilizzare invece che di cestinare e ricomprare.

Le possibilità a portata di mano di ognuno di noi, ogni giorno, sono tantissime, e quello che può fare veramente la differenza è che tutti quanti, ogni giorno, le scelgano davvero. Perché “L’unione fa la forzanon è soltanto uno slogan per romanzi, film o pubblicità. È un dato di fatto, ed è anche il potere più grande che abbiamo: un minimo sforzo del singolo, ma fatto da un’intera comunità coesa e consapevole, e il mondo può cambiare sul serio. 


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