giovedì 10 novembre 2022

Le estinzioni sono reali, ma le soluzioni sono "banali"

Numeri, esempi, cause ed effetti della perdita di biodiversità: la nostra consapevolezza può invertire la rotta

Specie minacciata. Specie in pericolo. Specie a rischio di estinzione. Sono espressioni che si sentono talmente tanto spesso, ormai, che pare quasi che sulla Terra non rimarrà un’anima vivente da qui ai prossimi 10 anni al massimo. Ma poi passano quei 10 anni e si sente dire che quella specie in pericolo è ancora in pericolo, si scopre che una di quelle a rischio prolifera in qualche parco, ci si guarda intorno e pare che non sia cambiato proprio nulla nel mondo. E allora si comincia a domandarsi: ma non è che sono tutte balle?

Se siete arrivati a questo punto, forse è giunto il momento di prendervi un attimo e cercare di vederci un po' più chiaro sulla faccenda. Che significa “specie a rischio di estinzione”, e quali sono queste specie? Il fenomeno di oggi è simile a tanti altri del passato o ha qualcosa di particolare? E se ce l’ha, quali sono le cause e le conseguenze? Ma soprattutto: se è reale, ce ne dovrebbe fregare qualcosa? E se sì, siamo condannati o esistono soluzioni?

La verità è duplice. La vita è un sistema interconnesso, dove nessuno, uomo o altro essere vivente, può fare a meno dell’altro senza perdere qualcosa. E le soluzioni non solo esistono, ma basta un piccolo impegno quotidiano da parte di tutti per metterle in pratica.

Siete sicuri di sapere cosa significa “estinto”?

Potrebbe sembrare un concetto scontato: se si dice che una specie è estinta, significa che ogni suo esemplare è scomparso totalmente dalla faccia della Terra. Poi, però, si sente dire che qualche individuo esiste ancora, che alcuni sono negli zoo, o che uno ancora in vita è stato filmato in qualche posto sperduto, e allora si comincia a sbraitare che quello delle estinzioni è tutto allarmismo e catastrofismo.

Ma, se questo succede, gran parte della colpa sta nelle persone che fanno informazione e che la fanno male. Perché, quando si parla di “rischio di estinzione”, in realtà c’è da distinguere fra almeno 4 scenari diversi.

1. Estinto. L’unico vero caso in cui si intende che, di una certa specie, non rimane più in vita neanche un esemplare. Per esempio il bilby minore, il pipistrello dell’Isola di Natale, la volpe volante di Guam, il leone marino giapponese, la tigre di Giava, lo stambecco dei Pirenei, o il rinoceronte nero occidentale.

2.Localmente estinto. La specie è completamente estinta in un certo habitat, ma in altri sopravvive ancora. Vedi il caso di orso Grizzly, coccodrillo marino, Acestrorhynchus lacustris, o pika americano.

3.Estinto nel selvatico. Una certa specie è del tutto estinta in natura, gli unici esemplari che sopravvivono sono in cattività, all’interno di parchi, zoo o riserve. Per esempio l’orice dalle corna a sciabola, il rallo di Guam, la sequoia di Sant'Elena, la Brugmansia vulcanicola, il Encephalartos woodii, o il Bromus interruptus.

4.Funzionalmente estinto. Di quella specie rimangono talmente pochi esemplari che non svolge più un ruolo significativo nell’ecosistema, non ci sono esemplari capaci di riprodursi, oppure si potrebbe riprodurre ma non sarebbe capace di autosostenersi. È il caso di lipote, tigre della Cina meridionale, o rinoceronte bianco settentrionale.

Ovviamente, il mondo è grande e in gran parte ancora inesplorato, perciò è difficile dire col 100% di sicurezza se e quando una specie è totalmente scomparsa. Ecco perché, a volte, ci si imbatte nei “Lazarus Taxa”, cioè degli esemplari di specie fino a quel momento ritenute estinte, come nel caso del calice di Nettuno, il colobo rosso di Bouvier, il beccolargo verde, o il boa dell’albero di Cropani.

D’altra parte, questo non significa che i dati sulle estinzioni siano dei numeri pescati al Lotto. Se gli avvistamenti di una specie si riducono fino ad azzerarsi, e/o se si notano dei cambiamenti nell’ecosistema spiegabili soltanto col venir meno delle azioni di quella specifica specie, si può essere piuttosto sicuri che, come minimo, è estinta localmente o funzionalmente.

Fra conservazione ed estinzione: qual è la situazione delle specie nel mondo?

Quante sono le specie a rischio e che cosa significa

La IUCN (International Union for Conservation of Nature) è la principale organizzazione che si occupa di valutare lo stato di conservazione delle specie. Anche qui, l’informazione in proposito spesso fa acqua da tutte le parti, e questo genera molta confusione nel pubblico: quando si dice che una specie è “a rischio”, cosa si intende? E quanto è a rischio? Perciò, vediamo di spendere qualche parola in più, ma di spiegarlo una volta per tutte.

La IUCN suddivide tutte le specie che analizza in 9 classi, che descrivono in quale stato di conservazione si trovano. Abbiamo quindi EX = estinto, EW = estinto nel selvatico, CR = in pericolo critico, EN = in pericolo, VU = vulnerabile, NT = quasi minacciata, LC = minor preoccupazione, DD = carente di dati e NE = non valutata. Una specie, allora, viene considerata “minacciata”, “a rischio di estinzione”, “in pericolo”, o qualsiasi altro sinonimo vogliate, se ricade nelle classi CR, EN o VU. E queste classi cosa significano? Per esempio, dire che una specie è “in pericolo critico” significa che ha una probabilità di oltre il 50% di estinguersi nell’arco di 10 anni/3 generazioni; dire “in pericolo” significa di più del 20% in 20 anni/5 generazioni; “vulnerabile” vuol dire più del 10% nell’arco di 100 anni.

Inoltre, ricordiamoci che tutte le specie viventi si possono suddividere secondo 6 Regni (7 se si considerano i Virus), cioè Animali, Piante, Funghi, Protisti, Eubatteri e Archeobatteri. E anche che, secondo le stime della IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), noi umani conosciamo circa 2 milioni di specie, ma in natura è possibile che ne esistano più o meno 8 milioni.

Detto questo, ad oggi (novembre 2022) la IUCN ha analizzato nel dettaglio lo stato di 147.517 specie. Secondo gli studi, 36.264 hanno popolazioni stabili, 1274 popolazioni in aumento, e 33.777 in diminuzione; fra tutte, oltre 41.000 sarebbero quelle da considerare minacciate (cioè rientrano nelle categorie CR, EN o VU). Fra gli Animali, il 41% degli anfibi, 27% dei mammiferi, 13% degli uccelli, 37% degli squali e delle razze, 33% dei coralli di barriera, 28% dei crostacei, e il 21% dei rettili. Fra le Piante, il 69% delle cicadi e il 34% delle conifere.

Basandosi su questi dati, comunque, la IPBES stima che sarebbero circa 1 milione quelle da considerare a rischio. E il motivo è semplice: poiché 8 milioni sono quelle esistenti, il 75% di queste sono insetti e, in media, è considerato a rischio il 10% degli insetti (550.000) e il 25% di tutte le altre (625.000), si arriva a stimare una cifra di appunto 1 milione di specie. Si dirà che in questi 8 milioni sono considerate anche quelle sconosciute, ma infatti è giusto includerle nella stima: quelle ancora sconosciute, se lo sono, probabilmente è perché hanno popolazioni poco numerose e/o habitat ristretti; perciò, anche se ancora non si conoscono, è molto probabile che proprio per questi motivi siano vulnerabili anche loro.

Esempi di Animali, Piante, Funghi

Capite bene che i numeri sono troppo grandi per mettersi a fare un elenco completo in un semplice articolo. Però qualche esempio lo possiamo fare.

Fra gli Animali che rientrano nelle tre categorie IUCN considerate “minacciate”, ci sono avvoltoi, balenottera comune, squali, delfini, elefanti, foca monaca, ghepardo, gorilla, giraffa, koala, leone, leopardo delle nevi, lontra, orango, orso bruno, orso polare, panda, impollinatori, tartaruga marina comune, tigre e tonno rosso.

Dato che noi per primi siamo animali, tendiamo a essere spesso animalocentrici, ma è bene sapere che anche le Piante si trovano nella stessa situazione. Su 58.497 censite fra 2015 e 2020, 2/5 risultano a rischio, più del doppio di quelle di mammiferi, uccelli e rettili messi insieme. Querce, aceri, magnolie, ebani e palissandri sono nella lista, e 571 specie si sono estinte nel selvatico dal 1755 fino a oggi.

Per quel che riguarda i Funghi, su 597 specie analizzate dalla IUCN, nessuna risulta estinta o estinta nel selvatico, ma 284 rientrano nelle categorie a rischio (CR, EN, VU).

La situazione in Italia

Il Mediterraneo è uno degli hotspot mondiali di biodiversità, e l’Italia ha elevati numeri di specie esclusive. Si parla di oltre 60.000 specie di animali e più di 12.000 specie di piante.

Però, fra le Piante risultano già estinte 11 specie, e a rischio il 43% delle 202 specie tutelate dalla Convenzione di Berna. Fra gli animali vertebrati, sono minacciati il 13% dei mammiferi, il 36% degli anfibi, il 19% dei rettili, il 27% degli uccelli nidificanti, il 2% dei pesci ossei marini, il 21% dei pesci cartilaginei e il 48% dei pesci ossei di acqua dolce. In totale, si parla di circa 240 specie a rischio.

Specie già estinte in tempi recenti e specie migliorate

In totale, la IUCN stima che si siano già estinte circa 902 specie dal 1500 fino ai tempi moderni, di cui 124 del Regno delle Piante e 778 di quello degli Animali. Per fare qualche esempio delle prime, diciamo l’olivo di Sant’Elena, l’alga marina di Bennett, Oeceoclades seychellarum, o Cyanea dolichopoda; fra i secondi, dodo, tilacino, ritina di Steller, lupo giapponese, tigre del Caspio, leone berbero, cervo di Schomburgk, bisonte del Caucaso, orso dell’Atlante, o Quagga. In tempi molto recenti (2016), il Melomys rubicola, un piccolo roditore della Nuova Guinea, e 23 specie degli Stati Uniti (2021), fra cui il picchio dal becco d’avorio, la parula di Bachman, 8 cozze d’acqua dolce, 11 specie delle Hawaii e i 2 pesci gambusia di San Marcos e Scioto madtom.

Allo stesso tempo, ci sono anche delle specie per cui la situazione è migliorata, grazie agli sforzi di conservazione. Dal 1993 a oggi, fra 28 e 48 specie di uccelli e mammiferi hanno migliorato il loro stato; solo fra 2010 e 2020, 9-18 specie di uccelli e 2-7 di mammiferi. Fra 2018 e 2019, la balenottera comune, la colomba rosata e il geco diurno di Round Island sono passati dalla classe EN a quella VU, mentre l’ibis eremita e l’albatro di Amsterdam dalla CE alla EN. Stesso discorso per il bisonte europeo, passato da VU a NT nel 2020. Nel 2021, miglioramenti del genere ci sono stati anche per il tonno pinna blu, il tonno rosso australe, il tonno alalunga o il panda gigante.

Le estinzioni sono sempre esistite, ma quelle di oggi hanno qualcosa di particolare

Si sente dire spesso che oggi siamo in una nuova Età geologica, l’Antropocene, così chiamata perché segna il momento in cui l’uomo inizia ad avere un enorme impatto sul pianeta. E si dice anche che ci troviamo nel bel mezzo della 6^ estinzione di massa. Secondo alcuni, sia l’Età che l’estinzione sono iniziate molti millenni fa, secondo altri devono ancora iniziare tutte e due ma ci manca poco. In ogni caso, si parla di un grande fenomeno di estinzione innescato dalle attività umane.

Ma perché viene chiamata “6^ estinzione”? Che significa “estinzione di massa”? È vero che siamo di fronte ad un fenomeno del genere e che il principale responsabile è l’uomo? E se una cosa simile è già accaduta in passato, cos’ha di particolare quella di oggi?

Gli eventi del passato e il tasso di estinzione di fondo

Da quand’è che esiste la vita sulla Terra, le estinzioni sono sempre esistite. Tant’è vero che, secondo le stime, di tutte le specie viventi mai comparse sul pianeta da 3.5 miliardi di anni fa ad oggi, almeno il 90%, prima o poi, è andato estinto. Detto in altre parole, di tutte le specie mai esistite, solo un 10%, una volta che è apparso, è sopravvissuto tanto a lungo che lo vediamo ancora oggi. Tutte le altre, chi prima e chi dopo, a un certo punto sono apparse e in un altro sono scomparse.

Ma c’è di più. Non solo le estinzioni ci sono sempre state, ma sono fenomeni talmente naturali che esiste perfino un tasso di estinzione di fondo: cioè, anche senza che accadano eventi apocalittici, nell’arco di un certo periodo di tempo alcune specie scompaiono lo stesso. Per via di una sorta di “maledizione” o “volere divino”? No. Semplicemente perché ci sono tante cause che possono scatenare un’estinzione, e non per forza sono catastrofiche come l’asteroide dei dinosauri. Il tasso di fondo, quindi, è una media di quante specie scompaiono in un certo arco di tempo, e lo si può ricavare andando a studiare i fossili negli strati rocciosi più antichi del pianeta.

Sulla base dei fossili dei mammiferi marini, che sono i meglio conservati, quello che si è scoperto è un tasso di estinzione di fondo per cui ogni anno avviene 1 estinzione su 1 milione di specie. Di sicuro i fossili non ce la raccontano tutta, perché non tutti gli organismi si lasciano dei resti fossili alle spalle. Ma i mammiferi marini sono quelli con l'archivio fossile più completo e, siccome loro e i mammiferi in generale esistono ancora oggi, permettono di fare un confronto realistico con il presente.

Oltre a tutto questo, sappiamo che in passato si sono verificati anche grandi e piccoli eventi particolari di estinzioni. Quelli più piccoli sono circa una trentina, quelli più grandi sono 5, e vengono detti “estinzioni di massa”: sono degli eventi in cui almeno il 75% delle specie viventi scompare in un arco di tempo molto breve – dove “molto breve” è da intendere con “geologicamente breve”, e quindi si parla di 1-2 milioni di anni.

Le cause di questi grandi eventi sono le più disparate, non sono mai le stesse per ogni evento, e spesso si parla di un insieme di cause e concause, più che di una causa unica. Comunque, le più frequenti riguardano un’intensa attività vulcanica, un cambiamento nella chimica o nel livello del mare, oppure un riscaldamento o un raffreddamento climatico. Tutti fattori che, per lo meno in passato, a loro volta sono stati scatenati dalla tettonica delle placche, dai cicli astronomici della Terra o del Sistema Solare, da impatti di asteroidi, o, secondo alcune teorie, perfino da Supernove o da Lampi Gamma.

E oggi? Tempi molto più brevi e numeri molto più alti

Ricapitolando. Le estinzioni sono un fenomeno più comune di quello che si pensa. Per di più, è la stessa IPBES ad affermare che, ogni anno, vengono scoperte 10.000-15.000 specie nuove di zecca. Ma allora è vero o no che oggi siamo nel mezzo di un’estinzione di massa? E se sì, che cos’ha di particolare rispetto a quelle passate?

La risposta è presto detta. Tenendo conto che, come si è detto, secondo la IUCN si sono estinte circa 900 specie dal 1500 fino a oggi (cioè in circa 500 anni), il tasso di estinzione attuale si aggira su 20-200 estinzioni all’anno per ogni milione di specie. Decisamente niente a che vedere con il tasso di fondo.

Ma, come se non bastasse, il tasso non è mai stato costante, e infatti quello dal 1500 al 1980 è più basso rispetto a quello dal 1980 in poi. Tra l’altro, teniamo presente che molte specie sono ancora poco studiate, che queste 900 scomparse sono per lo più vertebrati (il 3.5% delle specie conosciute), che alcune potrebbero essere già scomparse prima che le scoprissimo, e che altre sono già ora molto vicine all’estinzione. Tenendo conto di tutto questo, sono stati considerati diversi scenari, e si è provato a calcolare quanto tempo ci vorrebbe, con tassi di estinzione del genere, a raggiungere un valore del 75% come quello delle grandi estinzioni di massa. Le stime, dallo scenario peggiore a quello migliore, danno allora dei valori fra 250 e 54.000 anni. Di nuovo, nulla a che fare con i 1-2 milioni di anni di fondo. Ecco perché si può dire che ci si trova di fronte ad un nuovo fenomeno di massa.

Si potrebbe ribattere che gli archivi fossili sono incompleti, che quindi il tasso di fondo è una stima, e che perciò, se fossero più completi, si arriverebbe a scoprire un tasso più alto di quello stimato, o addirittura uguale a quello attuale. E si potrebbe anche dire che, così come esiste un tasso di estinzione di fondo, esiste anche un tasso di speciazione di fondo, cioè una misura di quante nuove specie nascono in un certo tempo: e se il tasso di speciazione fosse più alto di quello di estinzione?

Ma anche qui, il conto è presto fatto. È assolutamente vero che il tasso di fondo è una stima per difetto, perché, come si è già spiegato, non tutti gli esseri viventi lasciano resti fossili dietro di sé. Ma ricordiamoci anche che oggi ci sono 2 milioni di specie conosciute e 8 milioni stimate fra quelle realmente esistenti: come si può vedere dal grafico qui accanto, che mostra come è cambiata la curva della biodiversità negli ultimi 542 milioni di anni, stiamo parlando di un valore mai esistito prima nella storia della vita. In altre parole: la quantità di specie che esiste oggi è superiore a quella di qualsiasi altro momento nel passato. Perciò, se ci fosse stato un tasso di estinzione di fondo uguale a quello di oggi, e si fosse mantenuto per un periodo abbastanza lungo, noi ora non saremmo nemmeno qui ad avere questa conversazione, perché tutte le specie sulla Terra sarebbero scomparse già da molti milioni di anni. 

 Per quanto riguarda il tasso di speciazione di fondo, non ho trovato informazioni attendibili ma, di sicuro, è stato più alto di quello di estinzione di fondo negli ultimi 65 milioni di anni, altrimenti l’impennata di biodiversità che si vede nel grafico non ci sarebbe mai stata. Che però sia più alto anche del tasso attuale ne dubito, per lo meno fra le specie più studiate. 

Per cui sì, oggi stiamo vivendo un nuovo grande fenomeno di estinzione. Secondo il rapporto “Living Planet 2022” del WWF, su 32.000 popolazioni di 5230 specie si è osservata una riduzione media della popolazione del 69% fra il 1970 e il 2018. Perciò si parla anche di un fenomeno che avviene in tempi molto brevi rispetto a quelli naturali, oltre che di numeri molto più alti di quelli di fondo. È questo che ci fa dire che ci troviamo davanti ad un grande fenomeno di estinzione, e che è di portata diversa rispetto a quelli del passato. E c’è anche un altro fattore: le cause, che per lo più sono dovute alle attività umane.

Ma quindi quali sono le cause di questa riduzione di biodiversità?

Come nel caso dei grandi eventi di estinzione del passato, anche in questo caso, spesso, c’è più di una causa dietro alla scomparsa di una specie, e non è raro che ci siano anche delle concause. A gradi linee, comunque, le maggiori cause sono queste: perdita di habitat, sovrasfruttamento delle risorse, inquinamento, cambiamento del clima e specie invasive.

PERDITA DI HABITAT. Si intende l’alterazione o la scomparsa del tipico ambiente in cui una specie vive. Oggi il 75% delle terre emerse non coperte da ghiacci risulta molto alterato, e questo per far spazio a coltivazioni o allevamenti intensivi, per sfruttare giacimenti di georisorse, o per espandere città. E infatti, secondo la IPBES, il 13% delle terre libere dai ghiacci è occupato da terreni agricoli, il 26% da allevamenti e il 4% da zone urbane o industriali. Alcuni esempi di specie che ne risentono sono i delfini di fiume di Asia e Sud America, gli oranghi dell’Indonesia, il cebo barbuto del Brasile, l’ibis eremita del Marocco, o la colomba rosata dell’Isola di Mauritius.

SOVRASFRUTTAMENTO DI RISORSE. La Terra genera costantemente risorse, organiche e non organiche, e noi, come tutti i viventi, le utilizziamo. Il problema è che ne consumiamo di più di quelle che il pianeta riesce a ricreare. Il famoso “Overshot Day” segna il giorno dell’anno in cui i nostri consumi di risorse naturali superano la produzione annuale della Terra. In un mondo perfetto questo giorno non si raggiungerebbe mai, perché avremmo dei comportamenti tanto equilibrati da chiudere ogni anno con un eccesso di risorse inutilizzate; e invece, già nel 2021, questo giorno lo abbiamo raggiunto il 29 luglio. Detto questo, tanto per fare qualche esempio di “risorsa vivente”, l’alca impenne e il parrocchetto della Carolina sono stati cacciati fino all’estinzione. La popolazione di chinchilla, sempre a causa della caccia eccessiva, si è ridotta del 90% in appena 15 anni, mentre la vigogna delle Ande è stata ridotta a soli 6000 esemplari dalla conquista spagnola fino agli anni ’60. Il Blue walleye, un pesce dei Grandi Laghi dell’America del Nord, dopo aver rappresentato un pesce di valore da fine 1800 agli anni ’50, è stato pescato fino all’estinzione negli anni ’80. Caso più esemplare, quello del bisonte americano: partito da una popolazione stimata di 60 milioni di individui prima del 1800, è passato a meno di 1000 agli inizi del '900.

INQUINAMENTO. Ci si riferisce soprattutto all’inquinamento di aria, acqua, suolo e cibo. Quello dell’acqua degli oceani causato dalla plastica, per esempio, interessa praticamente tutta la catena alimentare del mare. Ma per fare degli esempi si potrebbero citare la foca monaca delle Hawaii, la tartaruga marina comune, la tartaruga verde, lo zifio, lo steno, o la berta piedicarnicini. L’inquinamento di aria, piante e suolo da fitofarmaci, invece, colpisce in modo particolare gli insetti impollinatori, primi fra tutti le api, ma anche bombi, farfalle, falene e sirfidi.

CAMBIAMENTO DEL CLIMA. Le barriere coralline, che rappresentano la base della catena alimentare del mare, vengono danneggiate da fenomeni meteo estremi, oppure da valori più alti di temperatura, acidità e livello dell’acqua. Meno ghiaccio e temperatura più alta di aria e acqua sono un problema per orsi polari, pinguini di Adelia, leopardi delle nevi dell’Asia Centrale, o stambecchi alpini. Temperature più elevate sono un grosso disagio per le volpi volanti, che non sono fisiologicamente capaci di tollerare valori oltre i 42°C senza subire danni; nel 2014, in Australia, un singolo giorno di caldo estremo ne ha uccise circa 45.000. E anche alcune specie di tartarughe marine, perché diminuisce il rapporto maschi/femmine nelle nascite. E l’incremento del livello del mare, come già accennato, ha già causato la prima estinzione accertata di un mammifero a causa del clima, cioè quella del roditore Melomys rubicola.

SPECIE ESOTICHE INVASIVE. Si intende quelle specie che non sono native di un certo habitat, che sono arrivate fin lì spontaneamente (per esempio a causa del cambiamento del clima) o con l’aiuto dell’uomo (volontario o accidentale), e che causa grossi danni all’ecosistema locale. Vedi allora la bettongia del deserto, in Australia, dichiarata estinta nel 2016 a causa dell’introduzione di topi e volpi. Alcune specie di pino del Portogallo attaccate dal nematode del legno originario del Nord America. La coccinella arlecchino dell’Asia che è un’agguerrita competitrice di quella europea. O lo scoiattolo grigio americano che rovina la piazza a quello rosso del Vecchio Continente.

AGRICOLTURA INTENSIVA. Aspetto gradevole, grossa taglia, maturazione veloce e alte rese. E poi facili da raccogliere, più conservabili, più lavorabili, e disponibili tutto l’anno. Per questi e altri motivi, anche se di varietà, ecotipi e cultivar ne esistono così tanti che non si conoscono i numeri esatti, l’agricoltura industriale oggi realizza i 2/3 della produzione mondiale con appena 9 specie di piante terrestri. Per motivi simili, si stimano 8800 razze di animali da allevamento, ma solamente 8 rappresentano il 95% della produzione di cibo. Tutto questo significa che le varietà o le razze meno redditizie, anche se migliori dal punto di vista nutrizionale, vengono piano piano abbandonate, fino al punto di scomparire.

Le conseguenze: perché ci dovrebbe importare dell'estinzione di una specie?

Effetti sotto gli occhi di tutti

Arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe pensare che si stia parlando soltanto di numeri e nomi su una banca dati virtuale, che si riflettono poco o per niente nella realtà. E da un lato sarebbe comprensibile: in fondo, se molti si guardano intorno nella propria quotidianità, non direbbero mai che sia in corso un’estinzione. Si vedono specie sparire a vista d’occhio? Si percepiscono effetti sulla nostra vita? Molti potrebbero rispondere “No”.

Ma tutto questo non ci deve ingannare. Come spesso accade quando si parla di fenomeni naturali, anche questo si verifica su scala globale, ha cause ed effetti con andamenti esponenziali e a lungo termine. E soprattutto, poiché tutto è connesso (e non è solo un aforisma da post di Facebook), si tratta di fenomeni che tirano in ballo teorie come la Teoria della Complessità, o la Teoria del Caos. Perciò, non si può pretendere di comprenderli guardando soltanto a quello che succede oggi, intorno a casa propria, e ragionando secondo rapporti di causa-effetto lineari.

Comunque, se proprio state cercando delle evidenze sotto i vostri occhi, basta guardare nelle campagne e sulle vostre tavole. Perché animali come le lucciole e fiori selvatici come speronella, fiordaliso, gittaione, garofanino selvatico o nigella sembrano sopravvissuti soltanto nei ricordi dei nostri nonni? Nel primo caso, colpa dell’abuso di pesticidi in agricoltura, dell’urbanizzazione e dell’inquinamento luminoso. Nel secondo, chiedetene il conto alla riduzione degli impollinatori per i motivi che ho spiegato in precedenza. E perché i nostri anziani si lamentano di una dieta che oggi non ha più la varietà e i sapori dei loro tempi? Come ho detto prima, colpa dei metodi agroalimentari industriali che scartano varietà e razze meno redditizie (e quindi le fanno estinguere) a vantaggio di quelle più produttive.

Effetti "invisibili"

Senza entrare nello specifico, vorrei far riflettere su alcune potenziali conseguenze generali. Conseguenze che, di nuovo, si ripercuotono a livello globale e a lungo termine, non nell’immediato e sotto casa nostra, e di cui è quindi difficile rendersi conto.

Per esempio, una carenza di risorse primarie. Le foreste fanno da sostentamento a circa 1 miliardo di persone, e rappresentano una vera e propria casa per circa 300 milioni, cioè circa 2000 popolazioni indigene. La barriera corallina rende possibile la pesca, la coltura di perle, il turismo, e altre attività su cui fanno affidamento circa 500 milioni di persone. Quasi il 50% del mercato dei farmaci si basa su sostanze derivate da piante, funghi o animali. E 1/3 degli alimenti umani dipende dall’azione degli insetti impollinatori.

Oppure, guardiamo agli effetti diretti sulla salute. Ogni essere vivente, compreso l’uomo, senza rendersene conto vive in equilibrio con migliaia di specie di microrganismi che “popolano” il suo corpo: si stima che siano 1200 solamente le specie di batteri che colonizzano noi umani, che sono essenziali per il nostro sistema immunitario. I molti tipi di inquinamento a cui può essere sottoposto il nostro corpo o l’ambiente che ci circonda, quindi, possono ridurre o estinguere le popolazioni di questi microrganismi, e quindi abbassare l’efficacia del sistema immunitario.

Esempi di effetti specifici

Per rispondere alla fatidica domanda “Cosa succede se una specie si estingue?”, il modo migliore è quello di andare a guardare alle “specie chiave”, dette anche “chiave di volta” o “focali”. Sono delle specie che, per l’appunto, hanno la stessa funzione della chiave di volta di un arco: è una sola, ed è sottoposta ad una minima pressione da parte di tutte le altre pietre, ma se togli quella viene giù tutto l’arco. Fuori di metafora, sono delle specie anche poco numerose in un ecosistema, e che subiscono un impatto medio/basso se altre si riducono; ma se scompaiono loro, siccome svolgono delle attività eccezionali, il resto dell’ecosistema ne viene danneggiato molto e in breve tempo.

In ambiente marino, un esempio importante è quello della lontra di mare della Columbia Britannica, in Canada. Rimescolando il fondale alla ricerca di molluschi, favorisce la nascita di praterie di Zostera marina più resistenti e con maggior varietà genetica, che a loro volta sono rifugio per pesci e crostacei, forniscono cibo ad animali come balene grigie e tartarughe, assorbono gas serra e filtrano inquinanti e batteri dall’acqua.

In ambiente fluviale, si può fare l’esempio del castoro. Abbattendo gli alberi più vecchi per costruire le sue dighe, consente a quelli più giovani di farsi spazio, e le dighe stesse rappresentano molti tipi di benefici per anfibi, salmoni e uccelli canori.

In un ambiente desertico tipo l’Avon Wheatbelt dell’Australia, durante un certo periodo dell’anno, la ghianda della Banksia prionotes è l’unica fonte di nettare per i fringuelli nittivori, che sono importanti impollinatori dell’ecosistema del posto. Nel deserto di Sonora del Messico, invece, l’Olneya tesota è un albero sempreverde, capace di vivere fino a 800 anni che, grazie alla sua larga chioma, crea ampie zone di rifugio e un microclima che può concentrare fino a 100 specie vegetali per ogni ettaro.

Nell’ambiente di montagna, il caso del lupo grigio del Parco di Yellowstone è quello più esemplare. In generale, la sua presenza controlla il numero degli erbivori, e questo significa più vegetazione e meno danni alle coltivazioni. La sua scomparsa dal Parco negli anni ’20 portò ad un aumento dei cervidi, quindi diminuzione dell’alberatura e dei castori, di conseguenza riduzione delle loro dighe e aumento dell’erosione; in più, aumento dei coyote, e quindi calo di piccoli erbivori e dei loro piccoli predatori. Una volta reintrodotto negli anni ’90, invece, l’altezza degli alberi quintuplicò in meno di 6 anni. Tornarono i castori e le loro dighe, e con loro altri animali che beneficiano delle loro costruzioni. I coyote calarono, quindi tornarono a crescere piccoli erbivori e i loro predatori. Cervi, aquile calve e orsi crebbero grazie al più alto numero di carcasse lasciate dai lupi, e si ridusse l’erosione dei fiumi grazie al controllo sugli erbivori e quindi all’aumento della vegetazione.

Le soluzioni esistono, ma concentriamoci su quelle vere

Come per tutti i problemi del mondo, anche per quello della perdita di biodiversità le soluzioni esistono. L’importante, però, è saper distinguere fra quelle false, quelle palliative e quelle vere.

Soluzioni false

C’è qualcuno, tipo la IPBES, che propone soluzioni tipo tassare la produzione e il consumo di carne, visto che l’allevamento intensivo, come si è detto, è una delle cause principali. Ma la storia dovrebbe avercelo insegnato più di una volta: se si cerca di ottenere un cambiamento attraverso obblighi e punizioni, si otterrà esattamente l’effetto contrario.

Qualcun altro propone la de-estinzione che, più o meno, consiste nella trama di “Jurassic Park”: creare dei cloni di specie estinte, allevarle in cattività come già si fa con qualsiasi specie a rischio, e poi rilasciarle di nuovo nel loro ambiente. Il problema principale, però, non è tanto quello etico, dei bassi tassi di successo, dei costi, della macchinosità, del tempo, del livello tecnologico, o di non poter comunque ricreare delle copie esatte: il problema vero è che agisce sul sintomo, ma non sulla causa.

Se poi ci spingiamo verso gli estremismi, si trovano anche proposte come il controllo demografico o l’estinzione umana volontaria. In sostanza, nel primo caso si tratterebbe di limitare con la legge il numero di nascite di esseri umani; nel secondo caso, si propone addirittura di non procreare più in modo da arrivare piano piano ad una auto-estinzione. Insomma, stiamo parlando di tipici casi in cui, pur di non uscire dalla propria zona di comfort, si scovano le soluzioni anche sotto terra. Cioè, di fronte ad un problema, piuttosto che credere nelle proprie potenzialità, tirare fuori coraggio, perseveranza e determinazione, prendersi le proprie responsabilità, e unire le forze con gli altri, si preferisce dirottare gli sforzi su una falsa causa, ma più accomodante, oppure non fare proprio niente e anzi uscire di scena.

Soluzioni palliative

Intendo quelle soluzioni che sono senza dubbio efficaci e da portare avanti, ma che non devono prendere la priorità su quelle definitive. Per un motivo molto semplice: per usare una metafora, sono soluzioni che fermano l’emorragia della ferita, però non la richiudono. Mi riferisco a soluzioni come contrastare il bracconaggio con la legge, creare aree protette, allevare o coltivare specie a rischio in cattività, o conservarle dentro banche del seme. Sono delle soluzioni necessarie, perché quelle che agiscono alla radice del problema richiedono tempo. Però non bisogna illuderci che bastino queste a risolvere tutto.

Soluzioni vere

Per capire quali sono le vere soluzioni, basta ripensare al paragrafo dove ho parlato delle cause e ragionare esattamente al contrario. Passare ad un sistema agroalimentare sostenibile. Prevenire il bracconaggio. Arrestare il cambiamento del clima. Azzerare l’inquinamento. Tutte cose che, a loro volta, si possono raggiungere agendo su tanti fronti contemporaneamente, per i quali vi rimando ad articoli che ho già scritto in precedenza (li trovate in basso in "Articoli correlati"). In più, un fattore che è forse quello alla base di tutti quanti: creare consapevolezza nelle persone sul problema e sulle sue soluzioni, attraverso una buona divulgazione e una buona educazione.

Tutto è connesso: essere consapevoli di questo e del nostro vero potenziale salverà il mondo

Se oggi molte persone non conoscono, negano, o se ne fregano del fenomeno della perdita di biodiversità, i motivi possono essere vari.  Poca consapevolezza sull’argomento. Molte informazioni, ma sbagliate. Interesse di chi fattura miliardi, potere e controllo tramite le attività che fanno proprio parte delle cause. Oppure, per la paura di non poter fare niente per risolverlo, per quella di dover mettere in discussione proprie credenze e abitudini, o per la fatica di fare la propria parte.

Ma forse il principale di tutti i motivi è il nostro egocentrismo. Noi umani abbiamo da sempre il brutto vizio di sentirci eccezionali, per il semplice fatto che non abbiamo mai conosciuto nessun essere vivente capace di essere come noi e fare ciò che facciamo noi. E infatti questo nostro protagonismo si vede riflesso benissimo in credenze spirituali che mettono l’uomo al centro di tutto, o in modelli socio-economici che credono di poter sfruttare il resto del mondo senza alcun equilibrio e senza alcun rischio di ritorsione. Per tirare l’acqua al nostro mulino facciamo sparire alcune forme di vita? E chi se ne frega! Tanto non abbiamo bisogno di loro, ce la caviamo benissimo anche da soli.

Ma la verità è molto più complessa (e affascinante) di così. Ed è fatta di almeno due punti. Il primo è che, come ho già accennato, quello delle estinzioni è un fenomeno che ci sfugge facilmente perché, come tanti altri fenomeni naturali, agisce su scala globale, ha cause ed effetti con andamenti esponenziali e a lungo termine, e ha dei meccanismi governati dal Caos e dalla Complessità. Il secondo, è che è vero che noi umani siamo particolari, ma in un altro senso. Siamo l’unico esempio su questo pianeta di materia evoluta fino all’autocoscienza, e questo ci regala un potere enorme che, però, è come quello di “Spider Man”: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.

In termini di biomassa, noi rappresentiamo appena lo 0.01% degli esseri viventi sulla Terra. Se 4.5 miliardi di anni del pianeta corrispondessero ai 365 giorni di un anno, sarebbe come dire che Homo sapiens è apparso alle 23:25 del 31 dicembre, e che abbiamo creato le prime società stanziali alle 23:58m:30s dello stesso giorno. Eppure, basta guardarsi intorno per vedere l’impatto che abbiamo. La nostra autocoscienza fa quindi la differenza come dal giorno alla notte. Ma attenzione: la buona notizia è che la fa anche nel bene! Per risolvere il problema delle estinzioni (così come tanti altri), c’è bisogno di creare un nuovo mondo che sia una sintesi fra quello di ieri, dove l’uomo era “schiavo” della natura, e quello di oggi, dove la natura è “schiava” dell’uomo. Un mondo dove l’uomo è pienamente consapevole del suo potenziale e del fatto che la realtà è olistica, e che quindi usa tutto quel potere per mantenere un sano equilibrio. Insomma, non c’è alcun bisogno di limitare il nostro potere con controlli demografici. C’è soltanto bisogno di usarlo per bene.


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Fonti:

lunedì 27 settembre 2021

La storia di Gesù è la storia del ciclo del Sole e del viaggio dell’Eroe

La madre vergine e il 25 dicembre, i Tre Re e i 12 compagni, la fine sulla croce e la rinascita: metafore del moto del Sole e del viaggio esistenziale di ognuno di noi

La storia di Gesù di Nazareth è forse la più famosa di tutte le storie. Detta in soldoni, è figlio di Dio e di una donna vergine, e viene al mondo con un concepimento miracoloso. Nasce il 25 dicembre e la sua manifestazione come dio incarnato viene ufficialmente riconosciuta da Tre Re Magi che vanno a trovarlo guidati da una stella. Nel corso della sua vita e della sua missione viene affiancato da 12 fedelissimi compagni, ma alla fine viene tradito proprio da uno di loro. Viene ucciso per crocifissione, ma passati 3 giorni ritorna in vita, e infine sale al cielo per ricongiungersi con Dio.

Da molti viene considerata una storia unica, eccezionale e irripetibile. Eppure, se si va a scavare fra le credenze spirituali di tante culture, si scopre che questa storia non è affatto originale. Tutti questi elementi e molti altri si ritrovano nelle storie di tanti altri personaggi mitologici, più antichi di centinaia o migliaia di anni, e tramandati fra popoli lontani tra loro nello spazio e nel tempo. Come si spiega?

Si spiega col fatto che queste storie sono allo stesso tempo tutte false e tutte vere. Si spiega col fatto che sono una metafora di qualcosa di universale, valido in ogni tempo e in ogni luogo: emozioni umane e fenomeni naturali. Questi eventi e questi personaggi sono dei simboli che riflettono il racconto di ognuno di noi: il racconto delle tappe della nostra vita e dei moti astronomici del Sole.

Lo sfondo astronomico

I moti millenari della Terra: il cielo che vediamo oggi non è il cielo che si vedeva ieri

Siamo abituati a pensare che la Terra compia soltanto 2 moti astronomici, cioè quello di Rotazione sul suo asse e quello di Rivoluzione intorno al Sole. In realtà ne compie almeno 8, solo che non ce ne rendiamo conto perché sono molto lenti, hanno dei cicli di completamento che vanno da 21.000 a 117.000 anni. Fra tutti, quelli che ci interessano di più in questo momento sono la Precessione Luni-Solare, la Precessione degli Equinozi e l’Inclinazione dell’asse.

Il primo consiste nel fatto che l’asse della Terra compie a sua volta un moto di rotazione in senso orario: si completa in 25.800 anni, ed è causato dall’attrazione gravitazionale di Luna e Sole. Con il secondo, invece, la linea degli equinozi si sposta in senso orario lungo l’orbita della Terra: un giro completo viene compiuto in 21.000 anni, ed è causato dalla Precessione Luni-Solare e dall’attrazione degli altri pianeti. Per ultimo, l’Inclinazione dell’asse: varia da un minimo di 22°,1 a un massimo di 24°,5 (oggi è 23°,5), e il ciclo del moto si completa in 41.000 anni.

Tutto questo ha due importanti conseguenze osservabili: a parità di ora, giorno, mese e latitudine, col passare dei secoli cambia la stella che indica il Polo Nord/Sud celeste e cambiano le costellazioni che si possono vedere. Oggi, per esempio, la stella che indica il Nord è Polaris, ma 2000 anni fa era Kochab, nel 3000 a.C. era Thuban, e fra 12.000 anni sarà Vega. Nel 3000 a.C., quando si arrivava all’equinozio di primavera, il Sole sorgeva nella costellazione del Toro, nel 1000 a.C. in quella dell’Ariete, mentre oggi sorge in quella dei Pesci, e nell’anno 3000 sarà in quella dell’Aquario.

Le costellazioni: come “funzionano”? Quando sono nate?

Secondo la tradizione occidentale, le costellazioni ufficialmente riconosciute sono 88, di cui 36 nell’emisfero nord e 52 nell’emisfero sud. Alcune ruotano sopra la nostra testa per 365 giorni all’anno senza mai tramontare, tipo l’Orsa Minore, l’Orsa Maggiore o il Drago. Altre si vedono sempre, però sorgono e tramontano ogni 24h, tipo le 12 costellazioni dello Zodiaco. Altre ancora si vedono soltanto in certi periodi dell’anno, tipo la Colomba, che alle latitudini dell’Italia si può osservare fra febbraio e maggio. Alcune, invece, non si vedono mai, perché rimangono sempre nell’emisfero sud, tipo l’Ottante o il Camaleonte.

Attenzione a non fare confusione fra le costellazioni e gli asterismi. Gli asterismi sono sempre dei gruppi di stelle, però le stelle che li compongono o fanno parte di una costellazione, oppure appartengono a costellazioni diverse. Esempi del primo caso sono il Grande Carro, la Cintura di Orione e l’Urna, che fanno parte di Orsa Maggiore, Orione e Aquario. Il Quadrato di Pegaso e il Triangolo d’Inverno, invece, sono fatti da stelle di più costellazioni, come Pegaso, Andromeda, Cane Maggiore, Cane Minore e Orione.

Ma da quand’è che le costellazioni sono le costellazioni? La testimonianza scritta più antica che è stata trovata fino ad ora risale ai Babilonesi del 14° secolo a.C., a cui si devono anche molti nomi tipo quello di Ariete, Scorpione e Gemelli. Teniamo presente, però, che già i Sumeri del 4° millennio a.C. erano esperti osservatori del cielo, e che antiche strutture del 3°-4° millennio a.C. come Stonehenge, Newgrange, Callanish o Maeshowe hanno ormai una provata connessione con fenomeni astronomici. Tra l’altro, secondo alcune teorie, antiche pitture rupestri come quelle delle Grotte di Lascaux, in Francia (~17.000 a.C.), potrebbero già rappresentare dei gruppi di stelle come il Toro, le Pleiadi o il Triangolo d’Estate. Perciò, anche se non c’erano vere e proprie conoscenze astronomiche, e anche se non ci sono pervenute testimonianze scritte, è plausibile che l’uomo riconosca forme e fenomeni nel cielo da molte migliaia di anni.

La Terra è la madre vergine e il Cielo è il dio padre: la loro unione mistica è la nascita miracolosa

Secondo la tradizione cristiana, un giorno di circa 2000 anni fa, Dio decide di incarnarsi in un uomo mortale che sarà allo stesso tempo suo figlio e Dio stesso, in modo da diffondere fra gli uomini il messaggio della salvezza. Sceglie una donna di nome Maria, che è una donna di buon cuore, devota e vergine, e invia l’angelo Gabriele a darle la notizia: lo Spirito di Dio scenderà in lei, e così concepirà un figlio che sarà il figlio di Dio stesso, il Messia, un Salvatore. Un altro angelo, invece, viene inviato in sogno a Giuseppe, promesso sposo di Maria, per assicurargli che il concepimento sarà divino, virginale, e che quindi non ci sarà adulterio. Anzi, proprio grazie a questo, Maria rimane preservata dal Peccato Originale, e così, quando arriva alla fine della sua vita, viene subito accolta in Paradiso con l’anima e col corpo.

Una storia come questa, però, ha tantissimi predecessori, più antichi di migliaia di anni, e raccontati fra tante culture diverse. Tipicamente c’è una madre che è una dea o una donna, che è vergine e che è associata con la Terra. C’è un padre che è un dio associato con il Cielo, è un Re degli dèi, o è un dio supremo. E c’è un concepimento virginale, senza atto sessuale, dove il dio si incarna nella dea/donna tramite un evento soprannaturale (che spesso ha a che fare con la luce).

E il frutto della loro unione è sempre qualcuno di eccezionale. A volte è un grande regnante come l’imperatore romano Augusto (Azia + Apollo), l’imperatore giallo cinese (Fubao + fulmine), o la regina egizia Hatshepsut (Ahmose + Amon). Altre volte è un eroe culturale come Perseo (Danae + Zeus), Eracle (Alcmena + Zeus), o Romolo (Rea Silvia + Marte) – e anche Gilgamesh e Orione hanno origini semidivine o sono nati dalla terra. Oppure è un profeta o un Salvatore, come Buddha (Maha Maya + Dharma?), Zoroastro (Dughdova + Pourusaspa), o Saoshyant (vergine + seme di Zoroastro). Certe volte è addirittura un dio, tipo Dioniso (Semele + Zeus), Rama (Kausalya + Vishnu), o Quetzalcōātl (Chimalman + Ometeotl). Ma, soprattutto, si tratta di una divinità solare, come Horus (Iside + Osiride), Helios (Theia + Iperione), Mithra (dalla terra), o Huitzilopochtli (Coatlicue + piume).

E le somiglianze non finiscono qui. Come Maria, dopo la morte anche Semele ascende all’Olimpo, Alcmena viene accolta sull’Isola dei Beati, e Maha Maya sale nel Trāyastriṃśa. Come Giuseppe, c’è spesso qualcuno che viene avvertito in sogno della nascita imminente, come Chimalman, Maha Maya e Gaio Ottavio (per Augusto). E poi Iside e Maria sembrano due gocce d’acqua anche nell’iconografia, perché tutte e due vengono spesso rappresentate come una donna con un bambino in collo, e vengono chiamate con molti titoli identici: Madre di Dio, Regina dei Cieli, Grande Vergine o Stella Maris.

Come si spiega tutto questo? Si spiega col fatto che tutte queste figure sono metafore: la madre è la Terra, il padre è il Cielo e il figlio è il Sole. Il Cielo è alto, tanto grande che non se ne vedono i confini. Con i tuoni, i fulmini e le tempeste “fa la voce grossa” come quella di un padre, e con la pioggia insemina la Terra come il maschio fa con la femmina. Come una donna, anche la Terra partorisce ogni anno nuova acqua, nuovi fiori e nuovi frutti con cui nutre tutte le creature. E ogni anno, dopo che l’autunno e l’inverno l’hanno “spogliata” dal “vecchio”, la Terra torna come vergine, pronta per accogliere il “nuovo” che verrà con la primavera e l’estate. E il Sole è il loro figlio prediletto, il frutto di un accoppiamento “mistico”, che ogni giorno “nasce dalla Terra” e “assiste il Cielo” nel preservare la vita. E siccome la sua luce porta la vita vincendo l’oscurità tutti i giorni e tutti gli anni, il Sole è anche l’eroe e il Salvatore di tutti gli esseri viventi.

Nasce il 25 dicembre perché il Sole torna a salire sull’orizzonte

Nell’articolo sull’origine del Natale (vedi link) ho trattato questo argomento con più dettaglio, perciò qui mi limiterò a fare un riassunto e delle aggiunte.

Nel Nuovo Testamento non esiste alcun riferimento esplicito o indiretto al fatto che il 25 dicembre sia la data di nascita di Gesù. Fra i primi cristiani stessi, infatti, esistono tante tradizioni, tipo 1° gennaio, 5 gennaio, 6 gennaio, 28 marzo, 20 maggio o 18 novembre. Solamente nel 3° secolo, in uno scritto del teologo Sant’Ippolito, compare un primo riferimento all’usanza del 25 dicembre. Perciò, da dove deriva la tradizione? Anche qui, si deve tutto al culto del Sole.

Se si osserva il percorso che il Sole descrive nel cielo nel corso dell’anno, si può notare che la sua altezza rispetto all’orizzonte cambia ogni giorno. Nell’emisfero nord, raggiunge l’altezza massima al 21 giugno e la minima al 21 dicembre. Questi due sono i momenti del solstizio d’estate e del solstizio d’inverno e, da quei momenti in poi, per circa 3 giorni, l’altezza del Sole sull’orizzonte sembra rimanere invariata. Nel caso del solstizio d’inverno, il 25 dicembre è il giorno in cui si ricomincia a vedere un aumento apprezzabile dell’altezza del Sole.

Di feste che celebrano questo momento dell’anno ne sono piene le culture di tutto il mondo fin da tempi antichi. Dōngzhì in Cina, Toji in Giappone, Inti Raymi in Perù, Yaldā nell’Antica Persia (in onore del Mithra persiano), o Soyal fra gli Hopi dell’Arizona. Ma, soprattutto, fra le popolazioni germaniche pre-cristiane c’era Yule, e fra i Romani c’erano i Saturnalia (17-23 dicembre), il Sol Invictus (25 dicembre) e la nascita del Mithra greco-romano (25 dicembre).

Quando arriviamo alla fine del 1° secolo, la figura di Gesù viene accostata a quella del Sole o della luce in molti passi del Nuovo Testamento (Efesini 5, Lc 1:79, Lc 2:32, Gv 1:49, Gv 8:12, Mt 17:2). In tempi successivi, i primi cristiani usano molte simbologie derivate dal culto di Mithra o del Sol Invictus per rappresentare il Messia. E nel 4° secolo, infine, il Cristianesimo diventa la religione ufficiale dell’Impero Romano. Grazie a questo, sfruttando le associazioni simboliche fra Gesù e Sole che erano già radicate, e volendo sostituire il cristianesimo alle vecchie tradizioni, si decise di stabilire la data di nascita di Gesù proprio al 25 dicembre.

È stata una scelta politica, quindi, quella di assegnare questa data alla nascita del Messia, perché rispecchiava la volontà delle autorità cristiane di sopprimere tutte le altre fedi e ottenere il monopolio spirituale del Cristianesimo. Ma è una scelta che è stata resa possibile giocando sulle straordinarie e radicate somiglianze fra la figura di Gesù e quella di molti predecessori. Due le abbiamo già viste, altre le vedremo fra poco, ma tutte quante conducono alla stessa conclusione: Gesù è l’ultimo sulla lista di tante figure mitologiche che sono una metafora del Sole.

Sirio e la Cintura di Orione sono la Stella Cometa e i Tre Re Magi

Anche qui vi invito a dare un’occhiata all’articolo sulle origini dell’Epifania (vedi link) per avere maggiori dettagli. Intanto, però, possiamo ricordare che l’episodio dei Re Magi viene raccontato solamente nel Vangelo di Matteo (2:1-12). Da questo si ricava che i Magi giunsero a Gerusalemme da Oriente, guidati da una stella che indicava loro il luogo di nascita del Re dei Giudei. Portarono in dono a Gesù oro, incenso e mirra, e poi tornarono in patria. Tutti gli altri dettagli della tradizione, come la data del 6 gennaio, i Magi che sono in 3 e sono dei Re, i loro nomi, o i Paesi di provenienza, sono tutte invenzioni successive. Tra l’altro, tutto l’episodio è pieno di simboli che ricalcano pari pari la religione ebraica e quella dello Zoroastrismo. Perciò, alla fine dei giochi, si ritiene che l’episodio dei Magi sia stato costruito ad arte, fin dai tempi della sua stesura nel 1° secolo, per far combaciare la figura di Gesù con quella del Messia ebraico e del Saoshyant persiano.

Ma c’è molto di più. Perché, se da un lato è vero tutto questo, dall’altro bisogna aggiungere che c’è un motivo ricorrente in molte mitologie: c’è un personaggio identificato con Orione o la costellazione stessa, c’è la stella Sirio o il Cane Maggiore che gli fanno da guida, e c’è un evento importante annunciato o realizzato dalla loro collaborazione. Si tratta di precedenti numerosi, antichi, che di sicuro hanno influenzato gli autori dei Vangeli nella costruzione dell’episodio dei Magi. E tutti questi precedenti portano nella stessa direzione: Orione è il messaggero, Sirio è la guida del messaggero e il ciclo del Sole e delle stagioni è l’evento rivoluzionario.

La costellazione di Orione viene associata con tanti personaggi, e ogni volta di tratta di qualcuno di straordinario. A volte è il più grande cacciatore mai esistito, come nella mitologia ittita (Aqhat) o nella tradizione biblica (Nimrod). Altre volte è un eroe, un patriarca, un fondatore o un regnante, come nella mitologia finlandese (Väinämöinen) o in quella armena (Hayk). Oppure è una guida, come nella mitologia babilonese, dove viene chiamato “Pastore Celeste” o “Vero Pastore di Anu” (Anu = dio del Cielo). In altri casi, invece, la sua apparizione in alcuni periodi dell’anno annuncia che sta per verificarsi un evento importante. Gli Ojibwe la chiamano Biboonkeonini, cioè “Portatore d’inverno”, per via del fatto che appare a Est, poco dopo il tramonto, quando si avvicina il solstizio d’inverno. Per il fatto che tramonta poco dopo il Sole verso maggio, invece, per i Navajo segna il momento della semina.

E anche per la stella Sirio possiamo fare delle considerazioni molto simili. Vuoi perché fa parte di una costellazione associata con un canide da tanti popoli (ex: Cane Maggiore), o vuoi per altri motivi, fatto sta che fra molte culture viene chiamata con nomi tipo Stella Canicula (Romani), Cane/Sciacallo Celestiale (Cina), Faccia di Cane (Blackfeet), Cane della Luna (Inuit), o Stella del Lupo/del Coyote (Pawnee). E anche lei, come Orione, è stata spesso associata a fenomeni importanti. Ai tempi dei Greci e dei Romani, siccome sorgeva poco prima dell’alba nel mese di luglio, annunciava l’arrivo di un periodo torrido e secco – tant’è che i Greci la chiamavano Séirios = ardente/bruciante, un epiteto che usavano anche per il Sole. Nell’Antica Persia, invece, rappresentava Trishtrya, dio della pioggia e della fertilità: anche per i Persiani, il sorgere di Sirio prima dell’alba avveniva fra giugno e luglio, periodo di siccità causato dal demone Apausha, perciò si teneva una festa per celebrare la battaglia fra il dio e il demone che, alla fine, avrebbe riportato le piogge.

Ma i miti più significativi sono quelli di Gilgamesh, Orione e Osiride, tratti dalla mitologia babilonese, greca ed egizia.

Gilgamesh è un eroe che compie molte imprese, come vedremo in altri paragrafi, e in queste imprese viene spesso affiancato dal fedelissimo amico Enkidu. Nessuno dei due viene mai accostato in maniera esplicita a Orione e Sirio, ma la descrizione che si fa di entrambi nelle tavolette dell’Epopea di Gilgamesh la dice lunga: Gilgamesh si equipaggia con delle armi che ricordano molto quelle con cui viene tipicamente rappresentata la costellazione di Orione, ed Enkidu, oltre a essere descritto molte volte come un fedelissimo aiutante e guida dell’eroe, viene paragonato spesso ad una “meteora di Anu”.

L’Orione greco è un abilissimo cacciatore, un eroe, ed è anche un gigante, che usa il Cane Maggiore e il Cane Minore come le sue fedelissime guide. Un giorno si innamora di Merope, figlia del Re dell’isola di Chio ma, siccome il Re disapprova la coppia e Orione non demorde, alla fine il padre della donna lo fa accecare. Il gigante si rifugia sull’isola di Lemno, dove il fabbro divino Efesto lo affida alla guida del suo servitore Cedalione. E così Orione si dirige a Est, dove riesce a recuperare la vista grazie a Eos, la dea dell’alba.

Fra gli Egizi, invece, così come il Sole era identificato con Horus, Sirio era identificata con Iside e Orione con Osiride, dio dell’agricoltura che era anche associato col Nilo. Fin dalle origini della loro civiltà, gli Egizi si resero conto che il Nilo aveva un comportamento regolare: verso metà luglio iniziava a esondare, raggiungeva il picco verso settembre, e poi le acque si ritiravano, perciò potevano cominciare con la semina. Ma in tempi molto antichi, forse fin dal 5° e 4° millennio a.C., si accorsero anche di una felice coincidenza: quando iniziavano le piene del Nilo, Orione e Sirio comparivano a Est poco prima dell’alba. In tutto questo ci videro allora un segno divino: le piene del Nilo, e quindi la fertilità della terra, erano volute, annunciate e causate da Osiride (Orione), con l’appoggio di Iside (Sirio) e Horus (Sole).

Detto questo, cerchiamo di unire i puntini. Fin dagli albori della civiltà, il Sole, Sirio e Orione sono legati fra loro nell’intreccio di un’antichissima storia. La storia dell’annuncio e della realizzazione di un lieto evento, della vittoria di un eroe contro le forze del male, o della salvezza di un popolo. E tutto deriva da un evento astronomico che, migliaia di anni fa, allineava fra loro questi corpi celesti.

Da sottolineare solo un ultimo ma fondamentale dettaglio: quando si verificava questo allineamento? In estate. E, secondo i Vangeli, quando sarebbe nato Gesù? Nessuno lo specifica, però il Vangelo di Luca (2:1-20) dice che un angelo annuncia l’evento a dei pastori durante la notte, mentre questi stanno badando al loro gregge. Ma una cosa del genere, nella Betlemme di 2000 anni fa, poteva succedere soltanto fra marzo e settembre, fra la festa della Pesach e quella del Sukkot, vale a dire fra primavera e estate. Insomma, a conti fatti, si può dire che anche la venuta del Salvatore cristiano è la “variante sul tema” di una storia che è stata scritta sotto le solite stelle.

I 12 Segni Zodiacali sono i 12 compagni e le 12 tappe del viaggio

La simbologia del numero 12

Il numero 12 è un numero dotato di una forte simbologia fra tante culture. E i motivi sono diversi. Sono 12 le costellazioni attraversate dal Sole nell’arco di un anno, le lunazioni della Luna in un anno solare, e gli anni del periodo siderale di Giove (dopo Venere, la più brillante delle antiche “stelle erranti”). Sono 12 le falangi che si possono contare col pollice sulle dita di una mano, ed è un numero che rende molto facili i calcoli matematici perché ha molti divisori. È per via di tutto questo che, migliaia di anni fa, fu concepita la divisione dell’anno in 12 mesi e quella del giorno in 24 ore. Ed è sempre per questo che il 12 ed è stato riflesso nelle mitologie di tantissimi popoli.

Sono 12 le tavolette su cui viene scritta l’Epopea di Gilgamesh, i Titani e i principali dèi dell’Olimpo, le Fatiche di Eracle, i Nidāna del Buddhismo, o i principali Abhasvaras dell'Induismo. Nell’Antico Testamento, sono 12 i figli di Ismaele e Giacobbe, oppure le Tribù di Israele. Nel Nuovo, sono gli anni che ha Gesù quando parla con i sapienti del tempio di Gerusalemme, sono gli Apostoli di Cristo, o anche le porte della Gerusalemme Celeste. E in tempi successivi, nella letteratura medievale, sono 12 i paladini di Carlo Magno, o i Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù.

E dietro a tutto questo c’è un motivo che deriva proprio da fenomeni naturali come quello del Sole: il 12 è il simbolo del completamento di un ciclo, di un’opera o di un’impresa.

Tori, leoni e scorpioni: le tipiche sfide degli antichi eroi

Esiste un tema che ricorre in molti miti: c’è un toro primordiale, sacro o minaccioso, c’è un eroe che lo uccide o un suo sacrificio, e c’è un popolo o tutta la natura che beneficia della sua scomparsa. È un motivo che si vede già con Gilgamesh: con l’aiuto di Enkidu, uccide Gugalanna, il Toro Celeste, aizzato contro di lui dalla dea Inanna/Ishtar per aver rifiutato il suo amore; una volta ucciso, il toro viene offerto al dio del Sole Shamash. Un “toro celeste” è anche quello che viene ucciso dal Mithra greco-romano, e il suo sangue è quello che rinnova la fertilità della terra. L’Orione greco non affronta un toro ma, secondo una versione del mito, è proprio grazie al sacrificio di un toro che l’eroe viene al mondo. Gavaevodta è invece il toro primordiale dello Zoroastrismo, che viene creato da Ahura Mazdā e ucciso da Angra Mainyu: il suo sangue è quello che permetterà la nascita di tutti gli esseri viventi. Un eco di questi miti si ritrova perfino nell’Antico Testamento (Esodo 32): mentre Mosè si dirige sul Monte Sinai per riceve le Tavole dei Dieci Comandamenti, gli Israeliti chiedono ad Aronne di fabbricare per loro l’idolo di un nuovo dio; la forma scelta è quella di un vitello ma, quando Mosè torna dal Monte, lo distrugge gettandolo nel fuoco.

Altri due temi ricorrenti sono quelli della lotta contro un leone e dello scontro o della morte per mano di uno scorpione. Mentre va in cerca del segreto dell’immortalità, Gilgamesh affronta un branco di leoni e, dopo averli uccisi, indossa le loro pelli come vesti. Incontra anche due bestie con il corpo di uomo e scorpione, che stanno a guardia di un tunnel oscuro: l’eroe ottiene il permesso di attraversarlo e, dopo 12 giorni passati nel buio, arriva in un giardino paradisiaco. Di miti che vedono Orione contro un leone non se ne conoscono, però l’eroe è da sempre rappresentato con uno scudo fatto in pelle di leone. In compenso, si ritrova faccia a faccia con uno scorpione: siccome si vanta di poter uccidere qualsiasi animale esistente, Gaia, la dea della Terra, fa emergere uno scorpione da una frattura nel terreno, e la sua puntura per Orione sarà fatale. Contro un leone combatte anche Eracle, come vedremo fra poco; non lotta contro uno scorpione, ma anche lui muore a causa di un veleno. E anche in questo caso, l’eco dello scorpione visto come “nemico” arriva fino all’Antico Testamento (Ezechiele 2): i nemici del profeta Ezechiele e della parola divina vengono paragonati proprio a degli scorpioni.

Il mito delle 12 Fatiche di Eracle, comunque, è quello che la dice più lunga. Si tratta di 12 imprese che gli vengono commissionate da Euristeo, Re di Tirinto, e che sono state tramandate in tante versioni diverse sia per quanto riguarda gli eventi che per il loro ordine. Per motivi che spiegherò dopo, l’ordine con cui le riporto è diverso da quello tradizionale. 

1) Leone di Nemea. Lo sconfigge e indossa la sua pelle come mantello. Nell’arco di 30 giorni riesce a scovarlo, ucciderlo e sacrificarlo. 2) Idra di Lerna. Prova ad ucciderla con una falce, ma alla fine lo fa con una spada. Insieme a lei sconfigge anche il gigantesco granchio Carcino. 3) Cinghiale di Erimanto. Cattura il cinghiale e uccide dei centauri ostili. 4) Cerva di Cerinea. Una cerva sacra con le corna d’oro, la insegue per un anno fino alle terre degli Iperborei, la cattura e infine la libera. 5) Uccelli del lago Stinfalo. Uccelli con il becco, le penne e gli artigli di bronzo. Li uccide con arco e frecce. 6) Stalle di Augia. Deviando il corso di due fiumi, ripulisce le stalle del Re Augia, che ospitano migliaia di animali e che non vengono pulite da 30 anni. 7) Toro di Creta. Eracle lo cattura e poi lo lascia libero. 8) Cavalle di Diomede. Vengono rubate a Diomede, condotte fino a mare e poi lasciate libere. 9) Cintura di Ippolita. Eracle salpa per l’isola Themiscyra e ruba la cintura di Ippolita, Regina delle Amazzoni. Lungo il viaggio di ritorno affronta un mostro marino. 10) Buoi di Gerione. L’eroe si dirige all’estremo Ovest del mondo conosciuto e sconfigge il cane a due teste Orto, il mandriano Euritione e il gigante Gerione, dotato di 3 tronchi, 3 teste e 3 paia di braccia. A quel punto scappa via con la sua mandria di buoi. 11) Cerbero. Eracle scende nell’Ade, sconfigge il cane a 3 teste Cerbero e lo porta a Re Euristeo come prova, poi lo riporta negli Inferi. 12) Mele d’oro delle Esperidi. L’eroe raggiunge il Giardino delle Esperidi, sbaraglia il drago guardiano Ladone e ottiene le mele.

Le 12 tappe della vita di Gesù

Se osserviamo attentamente il Vangelo di Matteo, possiamo scoprire che tutta la storia di Gesù si può scandire secondo 12 tappe che, come vedremo, ricalcano esattamente il ciclo del Sole, il moto delle stelle e l’alternarsi delle stagioni. 

1) Mt 1:18-2:23. Gesù nasce, cresce e a 12 anni intrattiene già discorsi impegnati con i sapienti del Tempio di Gerusalemme. 2) Mt 3:1-4:11. A 30 anni, Gesù viene battezzato da Giovanni, viene tentato da Lucifero e poi inizia il suo ministero. 3) Mt 4:12-4:22. Gesù inizia a cercare seguaci e i primi che sceglie sono dei pescatori. 4) Mt 4:23-9:38. Comincia a predicare con il sermone sul monte e compie i primi miracoli. Raccoglie quanti più fedeli possibile, ma sostiene che ne servono molti di più per portare a termine la sua missione. 5) Mt 10:1-11:30. Invia i discepoli a diffondere la sua parola, dando loro istruzioni su cosa fare, e pensa lui in prima persona a rimproverare le città non convertite. Poi concede a sé stesso e ai suoi Apostoli un po' di riposo. 6) Mt 12:1-24. Gesù dimostra di avere doti straordinarie, curando un uomo con una mano necrotizzata, e un uomo cieco, muto e indemoniato. Intanto, i Farisei iniziano a dire che i suoi poteri sono frutto di una complicità col Diavolo, e complottano per cucirgli la bocca. 

7) Mt 12:25-50. I discorsi di Gesù iniziano a parlare di valutazioni e giudizi, di salvezza e dannazione. Sostiene che la sua famiglia, adesso, non è più solo quella di origine, ma quella fatta da tutti i suoi fedeli. 8) Mt 13:1-53. Gesù usa la parabola del seminatore per parlare del Giudizio Universale. 9) Mt 13:54-16:4. Giovanni viene decapitato. Gesù compie la moltiplicazione del pane e dei pesci sfamando 5000 persone con 5 pani e 2 pesci. Compie il miracolo di camminare sull’acqua. La gente di Nazareth si fa sospettosa di fronte alle abilità di Gesù. 10) Mt 16:5-24:46. Si fanno molti discorsi sui temi del saldare i debiti e su quali azioni possano garantire la salvezza eterna. Le parole di Gesù si fanno più violente, e anticipa conflitti futuri. Preannuncia la sua morte, si avvia verso Gerusalemme e caccia i mercanti dal tempio. 11) Mt 26:1-26:56. Si tiene l’ultima cena. Gesù viene arrestato per colpa del tradimento di Giuda, e l’Apostolo lo saluta con un bacio. 12) Mt 26:57-28:20. Giuda viene trovato morto. Gesù viene processato sia dal tribunale ebraico che da quello romano, viene condannato alla crocifissione e infine risorge.

I moti del Sole e delle stelle sono le tappe e le missioni dell’eroe primordiale

I bovini sono stati fra i primi animali ad essere addomesticati dall’uomo, già intorno all’8500 a.C.. Creature possenti e robuste, ottimi animali da tiro, e fonte di latte, di pelle e di carne, hanno fatto presto a diventare per l’uomo delle bestie importanti, insostituibili o perfino sacre. Perciò, il passo che ha portato a riconoscere un bovino in un gruppo di stelle nel cielo è stato molto breve, e il fatto che sia stato riconosciuto in delle stelle attraversate dal Sole non è casuale: a causa di quei moti astronomici millenari che abbiamo visto, fra il 4500 e il 2000 a.C. l’equinozio di primavera non cadeva come oggi nella costellazione dei Pesci, ma in quella del Toro. Il valore simbolico, allora, è diventato molto potente: nel momento dell’anno in cui la luce trionfa sul buio, il bene sul male, la vita sulla morte, il Sole abbaglia con la sua luce una figura nel cielo che sembra quella di un toro. Gli ingredienti c’erano tutti, allora, per far nascere un culto nei confronti dell’animale, dei rituali come quello del sacrificio, e dei miti che raccontano di eroi che sconfiggono un toro.

Il mito di Eracle è stato messo per iscritto nel 600 a.C., ma probabilmente ha alle spalle una lunga tradizione sia scritta che orale. Perciò, per capirlo, immaginiamo di essere in Grecia, ad Atene, nel periodo 1000-600 a.C., e osserviamo i moti del Sole e delle stelle. 

1) Leone. Verso metà luglio, il Sole entra nel Leone e lo abbaglia con la sua luce per circa 30 giorni. 2) Vergine. È agosto, tempo di mietitura – e la falce è lo strumento antico tipico per farla. All’alba, il Sole abbaglia le costellazioni di Idra e Cancro sorte da poco. 3) Bilancia. La luce dell’alba fa sparire il Centauro e il Lupo – che prima del Rinascimento è identificato con una bestia selvatica qualunque, tipo un cinghiale. 4) Scorpione. Quando il Sole sorge Cassiopea tramonta. Fra le popolazioni del Nord Europa (le terre degli Iperborei) Cassiopea è identificata con una renna, l’unica fra i cervidi dove anche la femmina ha le corna. 5) Sagittario. Il Sole sorge nel Sagittario (armato con arco e frecce) e, quando lo fa, spariscono Cigno, Aquila e Lira (che in antichità era associata ad un avvoltoio). 6) Capricorno. Da sempre associato con una capra, tipico animale da stalla. Quando il Sole tramonta, diventano visibili Aquario e fiume Eridano. 7) Aquario. Quando il Sole sparisce, il Toro raggiunge la massima altezza nel cielo per il periodo. 8) Pesci. Quando il Sole sorge in questa costellazione “acquatica”, salgono insieme a lui il Cavallino e Pegaso (cavallo leggendario associato con l'acqua). 9) Ariete. Quando il Sole tramonta sorge la nave Argo, per tutto il periodo viene oscurata la Balena, mentre all’alba viene abbagliata Andromeda – la cui stella Mirach è chiamata “La Cintura”. 10) Toro. Quando il Sole tramonta diventano visibili Orione, Auriga e Cane Maggiore, ma subito dopo tramontano anche loro. 11) Gemelli. Il Cane Maggiore sorge e tramonta col Sole, perciò non è mai visibile. 12) Cancro. Appena il Sole tramonta, la costellazione di Eracle raggiunge la massima altezza e sotto di lei c’è quella del Drago.

Per capire il mito di Gesù bisogna ragionare negli stessi termini. L’unica differenza è che bisogna immaginare di essere in un’epoca successiva, fra il 2000 e il 100 a.C., quando l’equinozio di primavera cadeva nell’Ariete. 

1) Capricorno. Dopo aver toccato l’altezza più bassa sull’orizzonte, dal 25 dicembre il Sole torna a salire, perciò è come se fosse appena nato un nuovo Sole. 2) Aquario. 30 giorni dopo essere entrato nel Capricorno, il Sole passa nell’Aquario, rappresentato come un uomo che versa un’urna d’acqua (Giovanni). È un periodo buio e freddo, ma è nel silenzio e nella meditazione che si gettano le basi per la rivoluzione (la missione di Gesù). 3) Pesci. Periodo di transizione, dove le giornate sono fredde, ma le ore di luce iniziano ad aumentare, ci si avvicina al risveglio della primavera. Come il Sole entra in una costellazione fatta di pesci, i primi discepoli di Gesù sono dei pescatori. 4) Ariete. Con la primavera le ore di luce aumentano, le piante germogliano, gli animali escono dal letargo. La natura inizia a mettersi in movimento e i greggi di pecore si rimpinguano con le nascite degli agnelli. 5) Toro. La primavera è nel pieno, il nutrimento è abbondante, la crescita è esponenziale. Allo stesso tempo, tutto questo infonde sicurezza, da cui anche la calma e la pazienza nel fare le cose. 6) Gemelli. C’è il pieno della fioritura, l’imperativo è fecondare, l’atmosfera è dinamica e frizzate. Il Sole tocca l’apice del suo potere, ma con il solstizio le ore di luce raggiungono il loro limite. Si intuisce la stagione dal riferimento alle messi e alle spighe (Mt 12:1). 

7) Cancro. Tempo di maturazione dei frutti, che si spera saranno buoni e abbondanti. Ma anche tempo di distacco dalla zona di comfort, come i frutti si distaccano dalla pianta madre. Come un granchio cammina avanti e indietro, anche il Sole inverte il suo moto. 8) Leone. La disponibilità di cibo tocca il suo apice. Si raccolgono i frutti buoni e maturi, si scartano i poco buoni e si gode dell’abbondanza. Di nuovo, si intuisce la stagione dalle metafore usate nella parabola del seminatore. 9) Vergine. L’Aquario tramonta quando il Sole sorge. La terra è arrivata alla fine del suo ciclo, il raccolto è stato trasformato in cibo per tutti, e ora bisogna preoccuparsi di conservarlo per le stagioni fredde. La Vergine è da sempre associata con una dea della fertilità, rappresentata con delle spighe di grano in mano, e sono 5 le case astrologiche che la separano dai 2 Pesci. Come l’eroe Orione fa nel mito, la sua costellazione cammina sull’acqua di Eridano. Si sta per raggiungere l’equinozio di autunno, periodo in cui il buio torna a dominare. 10) Bilancia. È autunno, e l’allusione a questo periodo si capisce dal riferimento al pane e al lievito (Mt 16) e da quello ad un albero di fico che non ha più frutti (Mt 21:19). È tempo di bilanci: in natura c’è equilibrio termico, il raccolto è finito e conservato, in base ai risultati si valuta se aumentare o diminuire la prossima semina. Le ore di buio iniziano a prevalere. 11) Scorpione. Siamo a novembre, periodo di raccolta delle olive, e infatti Gesù si dirige in un oliveto chiamato “Getsemani”, cioè “frantoio” (Mt 26:36). Le giornate sono corte e fredde, la terra è spoglia. Sembra che la natura vada incontro alla morte, ma è morte apparente, perché i semi piantati adesso riposeranno e rinasceranno a primavera. Il Sole, intanto, entra fra le tenaglie dello Scorpione e va verso la sua bocca. 12) Sagittario. Il Sole raggiunge il solstizio d’inverno, giorno più corto dell’anno, perciò “muore”, “trafitto” dalle frecce del Sagittario. Lo Scorpione viene abbagliato dalla luce della sua ultima alba.

La “morte” annuale del Sole è quella mitologica degli eroi

Prima di essere arrestato e tradito da Giuda, Gesù consuma un’ultima cena insieme ai suoi discepoli. Viene condannato alla crocifissione e, nel momento della sua morte, si verificano alcuni eventi “apocalittici”: il cielo si oscura, la terra trema, e alcuni defunti escono dalle tombe. Per assicurarsi che sia davvero morto, un soldato romano gli trafigge il petto con una lancia. Per i 3 giorni successivi, tutti credono che Gesù sia morto davvero ma, in realtà, scende negli Inferi per liberare le anime dei giusti non cristiani scomparsi prima della sua venuta, e poi resuscita. Nei giorni seguenti, appare più volte ai suoi fedeli, invitandoli a diffondere il suo messaggio in tutto il mondo. Poi ascende al Cielo, dove si ricongiunge con Dio.

Parlando delle origini della Pasqua (vedi link), ho già fatto notare che il motivo della morte e della resurrezione è stato costruito su quello di molti altri predecessori, perfino per quanto riguarda il momento dell’anno (intorno all’equinozio di primavera). Ma le circostanze della morte di Gesù hanno molti altri elementi in comune con molte altre figure e, come al solito, si tratta di divinità, eroi, profeti, regnanti o personaggi celebri. E, ancora una volta, ci sono delle forti somiglianze con il ciclo del Sole.

Anche in altri miti viene consumato un ultimo pasto (Buddha). C’è un traditore che provoca la morte dell’eroe (Tammuz, Osiride, Romolo, Quetzalcōātl). Il momento o la causa della morte sono legati al legno di una pianta: in certi casi si tratta di una morte placida e naturale sotto i rami di un albero (Buddha); in altri casi è colpa di una ferita inferta da una freccia (Orione, Baldur, Krishna); in altri ancora il personaggio muore bruciato su una pira, ferito sotto una pianta o appeso a un albero (Tammuz, Attis, Odino, Eracle, Quetzalcōātl). E quando anche non si tratta di una pianta ma di una roccia (Prometeo), rimane comunque il motivo dell’essere legato a un supporto. C’è un evento catastrofico che segna la scomparsa del personaggio (Romolo, Cesare), e c’è il suo petto che viene ferito da una lancia (Odino) o da un animale (Prometeo). In alcuni casi la scomparsa dura 3 giorni (Inanna), in altri 9 giorni (Odino) e, durante questo periodo, l’eroe, o qualcun altro per lui, scende nell’Oltretomba per liberare qualcuno che ci è imprigionato (Dioniso, Eracle, Baldur). Dopo la morte avviene una rinascita (Tammuz, Inanna, Osiride, Dioniso, Attis, Odino, Baldur), e prima o dopo la morte lascia un ultimo messaggio ai suoi seguaci (Buddha, Romolo). Infine, c’è chi raggiunge uno stato esistenziale superiore (Buddha, Krishna), c’è chi viene divinizzato (Diomede, Romolo, Cesare, Imhotep, Aristea), e c’è chi ascende al cielo o viene trasformato in un astro (Eracle, Orione, Perseo, Asclepio, Cadmo, Quetzalcōātl).

Ma ci sono dei parallelismi fra la storia di Gesù e quella del Sole? Dei paralleli che ritroviamo anche nei miti di altri eroi? Sì, ce ne sono diversi. Anche il Sole, come abbiamo visto, viene tradito dallo Scorpione e trafitto dal Sagittario. Passato l’equinozio di autunno, le ore di buio prendono sempre di più il sopravvento, perciò il cielo si oscura. Dopo aver toccato la minima altezza sull’orizzonte al 21 dicembre, per 3 giorni l’altezza del Sole rimane invariata, perciò rimane come immobile, “sospeso” sull’orizzonte. Sembra “morto”, destinato a rimanere così per sempre, condannando il mondo al buio e al freddo eterni. Ma il 25 dicembre l’altezza torna a salire, il Sole “rinasce”, e per i prossimi sei mesi sale sempre più in alto nel cielo.

E non è tutto. Il simbolo della Croce Solare è un simbolo collegato al Sole fin dall’Età del Bronzo (3500 – 600 a.C.), e rappresenta il mitico carro solare che trasporta la stella nel cielo ogni giorno, oppure il ciclo delle quattro stagioni. E c’è da dire che la forma di una croce si può osservare perfino nel cielo, nella costellazione della Croce del Sud. Oggi, a causa dei moti millenari della Terra, si vede bene soltanto al di sotto dei 25°N di latitudine, ma per migliaia di anni prima di Cristo si è osservata bene anche alle latitudini dell’Italia e della Grecia, e certamente si vedeva alle latitudini tropicali fino almeno all’anno 100. E allora ecco la sorpresa: nei giorni successivi all’equinozio d’autunno, si verificava la levata eliaca della Croce del Sud, cioè la costellazione che appariva a Est poco prima dell’alba. Come a dire: nei giorni in cui il Sole si avvia verso la sua “fine”, ecco che si innalza la croce.

Ovviamente questo collegamento fra la morte sull’albero o sulla croce e i simboli di Croce Solare e Croce del Sud è solo un’ipotesi personale. Ma le somiglianze sono innegabili, e soprattutto una cosa sembra piuttosto certa: la “morte” del Sole, che è l’eroe degli eroi, il Salvatore di tutti i Salvatori, col passare dei secoli si è trasformata in una morte archetipica, in un modello di riferimento che ha influenzato il mito di molti personaggi eroici o salvifici, compreso Gesù.

Il viaggio del Sole e dell’Eroe è quello del nostro Io verso il nostro destino

Prima di tutto, voglio sottolineare che tutte le ricostruzioni che ho fatto dei moti di Sole e costellazioni possono essere facilmente verificate da chiunque. Se siete interessati, basta scaricare il programma di un planetario virtuale come “Stellarium”, che è quello che ho utilizzato io (vedi link). Detto questo, arriviamo alle conclusioni.

La prima cosa che emerge da tutta questa ricostruzione è che la storia di Gesù sembra un grande “minestrone”, un miscuglio di tradizioni provenienti da tanti popoli, tanti luoghi e tanti tempi. Ma questo non ci deve né sorprendere né rendere scettici. In termine tecnico si chiama “sincretismo religioso”, un fenomeno che riguarda tante altre credenze spirituali e che consiste in una cosa molto semplice: le religioni le creano gli uomini, ma gli uomini si influenzano a vicenda, perciò, quando nasce una nuova religione, è molto facile che i suoi elementi traggano ispirazione dalle fedi contemporanee o che l’hanno preceduta. Tutte queste tradizioni circolavano da secoli o millenni prima degli autori dei Vangeli, loro ne sono stati certamente influenzati, perciò, quando hanno gettato le basi del Cristianesimo, hanno costruito una storia e una fede che di queste tradizioni ne risentiva parecchio.

E infatti la seconda cosa che emerge è questa. Se tutti questi personaggi si somigliano fra loro così tanto (e di somiglianze ne ho elencate solo alcune), significa o che sono tutti puramente mitologici, o che soltanto alcuni sono storici. Ma, in entrambi i casi, la maggior parte delle loro storie è puro e semplice mito. Una variante sul tema di un mito originale, primordiale e archetipico che consiste nella metafora di due cose: il moto del Sole e il percorso esistenziale di ognuno di noi.

Ogni uomo, in ogni luogo e in ogni tempo, muove i primi passi con l’infanzia e l’adolescenza, la fase in cui scopre sé stesso, e saggia il terreno dei propri gusti e delle proprie capacità. Poi viene l’età adulta, sente il bisogno di dare un senso alla propria vita e di cavarsela da solo, e allora inizia a mettersi in gioco, e ad uscire dal “nido familiare” per confrontarsi col mondo. E infine viene la maturità e l’anzianità, la fase in cui compie il proprio destino, realizza le proprie potenzialità e costruisce una propria vita. Ogni uomo compie un viaggio, insomma, commette errori e si migliora, si scontra con alcuni e intreccia legami con altri, affronta i propri limiti e ottiene vittorie. Ogni uomo è l’eroe della propria vita.

Questo complesso insieme di emozioni, agli occhi dell’uomo antico, ha un parallelo perfetto nei moti del Sole. Anche lui nasce, cresce e muore. Affronta una serie di prove fatte di vittorie e sconfitte. E ha una missione, che è quella di portare la vita nel mondo. Tutto questo lo rende una perfetta metafora dell’eroe che c’è in ognuno di noi, e dell’eroe più grande di tutti gli eroi. Col passare dei secoli, il Sole diventa un dio o un campione, e le sue imprese fra le stelle si trasformano nelle gesta e nella missione di un Salvatore. E se tanti popoli allo stesso tempo concepiscono storie simili, non è soltanto per i contatti che hanno fra loro o perché il Sole si osserva dappertutto. È perché le emozioni umane sono le stesse in ogni luogo e in ogni tempo. È perché l’eroe che c’è in ognuno di noi non conosce né età e né confini.


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