martedì 12 novembre 2019

Noi, i veri paladini della Terra

Cinque semplici passi con cui ognuno di noi, senza fatica, può salvare il pianeta




Si sente parlare di disastri ambientali da tutte le parti e ci si sente dire di continuo che “la colpa è nostra”. Si sentono anche elencare un sacco di soluzioni, tante che non ci si capisce un accidente, e per cui raramente viene spiegato il perché sono soluzioni: e come puoi pretendere di farle applicare facendo un elenco della spesa di “doveri”, invece che facendo chiarezza su quali sono e che vantaggi hanno?

E infatti mi è capitato di imbattermi in situazioni e discorsi di tutti i tipi: c’è chi non le conosce, e nel frattempo che non le conosce si chiede se ci sono, si lamenta di problemi ambientali e climatici e non si informa; e c’è anche chi le conosce, però o ne applica due o tre perché “Alle altre ci penserà qualcun altro”, oppure non le applica proprio perché gli fa fatica o perché “Stai a vedere che se non lo faccio io finisce il mondo!”. Addirittura, ci sono quelli che, a prescindere dal fatto di conoscerle o meno, non le applicano perché non credono che funzionino davvero. E in mezzo a tutto questo bailame di atteggiamenti, il più classico di tutti è quello del commento “Speriamo che qualcuno faccia qualcosa!”, oppure “Qui se qualcuno non fa qualcosa si finisce male!”. E secondo voi chi sarebbe questo “qualcuno”? Il nuovo messia?

Beh, ve lo dico io: questo “qualcuno” siamo noi, perché se pensate che le grandi aziende di risorse fossili, agricoltura, allevamento e trasporti comincino prima di noi a cambiare le cose, allora avete visto un film alla radio. Perciò, come reagireste se vi dicessi che tutti noi, nelle nostre mani, abbiamo il potere di buttare giù dal piedistallo questi bastardi che speculano sulle nostre vite? Come reagireste se vi dicessi che, a dispetto di tutti i disastri di cui si sente parlare, noi possiamo davvero fare qualcosa per fermare estinzioni, deforestazione, scioglimento dei ghiacci, inquinamento, cambiamento del clima? E soprattutto, come reagireste se vi dicessi che tutto questo lo possiamo fare comodamente da casa nostra? Niente male, eh?

E allora eccovi “5 passi + 1” da seguire per ottenere sul serio tutto questo.

1. La raccolta differenziata esiste e funziona


Ho sentito con queste orecchie dire a qualcuno che la raccolta differenziata non la fa, o la fa quando ha voglia. I motivi sarebbero che “Tanto è inutile se non la fanno tutti!”, o che, in realtà, alla fine, tutti i rifiuti vengono rimescolati. Addirittura, c’è chi non la fa perché considera faticoso leggere le etichette dei prodotti o seguire le norme di ritiro dei rifiuti, oppure perché “Non è che tutte le volte posso star lì a separare i tappi dalle bottiglie!”.

Beh, sappiate che, in media, ognuno di noi produce 1.2kg di rifiuti al giorno e 450kg in un anno. È vero, non tutto è riciclabile, ma, per prima cosa, non lo è per ora, e seconda cosa, buona parte lo è eccome. E allora, non importa avere dati alla mano, è una pura questione di logica: più riciclaggio significa meno discariche, meno inceneritori, meno produzione “da zero”, e di conseguenza meno estrazione di risorse naturali (animali e piante compresi), meno inquinamento e meno malattie date da acque o aria inquinati.

Non tutti fanno la raccolta differenziata? Vero, purtroppo succede. Ma sapete chi c’è fra coloro che non la fanno? Quelli che non la fanno perché dicono che non tutti la fanno. Più o meno è come dire che siamo per la non-violenza, ma siccome nel mondo c’è gente che è per la violenza, allora anche noi ce ne andiamo in giro a pestare le vecchiette. Diciamoci le cose come stanno: questa scusa in molti la tirano fuori per giustificare la propria pigrizia. Di sicuro c’è chi non la fa, e saranno anche capitati episodi di smaltimento illegale, ma l’importante è fare ciò che riteniamo giusto, dare l’esempio e fare numero. Quanto alla “fatica” di praticarla, non commento nemmeno.

2. Bere e lavarsi va bene, ma con un contegno


Secondo molti, l’acqua in bottiglia è più buona e sicura di quella del rubinetto. Sul fatto del gusto, ammetto pure io che mi piace di più, ma in quanto a sicurezza anche quella del rubinetto ne ha, e se proprio si vuole stare tranquilli basta installare un filtro. Detto questo, consideriamo che si stimano 8 milioni di tonnellate di plastica che finiscono neri mari ogni anno, e che produzione, imballaggio e trasporto delle bottiglie provocano non poco inquinamento. Come dite? Ci sono di quelle in bioplastica? Vero, però, stando a “Greenpeace”, molta di quella usata deriva comunque da fonti fossili, ed è biodegradabile e compostabile solo in specifici impianti, non buttandola in giardino. Ecco perché è altamente consigliato fare più uso di acqua di rubinetto riciclando bottiglie di plastica o di vetro.

Molta dell’acqua che usiamo per altri scopi, o perfino quella naturale, può essere riutilizzata. Per esempio, l’acqua di deumidificatore e condizionatore si può riutilizzare benissimo per il ferro da stiro, visto che è priva di calcare. Per chi ha un giardino o un orto, ci si può attrezzare per recuperare acqua piovana; se poi si possiede pure un acquario, l’acqua tolta da lì si può riutilizzare allo stesso modo, visto che è ricca di sostanze fertilizzanti.

Quando siamo in bagno, non teniamo aperti rubinetti inutilmente, altrimenti se ne vanno via circa 6 litri di acqua ogni minuto. Per chi ce l’ha, meglio usare più spesso la doccia rispetto alla vasca, così si possono diminuire i consumi di circa il 75%; farci una bella doccia rilassante, poi, è più che giusto, ma senza esagerare, perché anche qui si usano dai 6 ai 10 litri di acqua al minuto.

Se bisogna scongelare alimenti, non sprechiamo acqua calda, basta lasciarli fuori dal freezer in anticipo sul pasto, anche per tutta la mattina o il pomeriggio, fidatevi di uno che lo fa da sempre. Quanto a lavatrici e lavastoviglie, meglio farle a pieno carico invece che fare più lavaggi, si possono risparmiare 8200 litri di acqua in un anno.

Più in generale, stiamo attenti ai rubinetti, perché se perdono si può dire “Ciao!” a circa 4 litri di acqua ogni ora. Controlliamo regolarmente il contatore, così ci facciamo un’idea dei nostri consumi e, eventualmente, ci possiamo accorgere di perdite. Quando poi stiamo via da casa per diverso tempo, meglio chiudere il rubinetto centrale, si evita di sprecare acqua in caso di guasti e anche i danni che ne derivano.

3. Consumi più intelligenti, meno inquinamento, più risparmio


Secondo una ricerca condotta nel 2005 negli USA dalla Michigan State University, l’uso diretto di energia nelle case è responsabile del 38% di tutte le emissioni di CO2 del paese. Forse c’è qualcuno che pensa che l’elettricità che usiamo in casa venga “dal nulla”, o da un esercito di ciclisti che alimenta una un’enorme dinamo, ma non è così: proviene da impianti che, purtroppo, per la maggior parte, la producono a partire da fonti fossili come gas, carbone e derivati. Quindi è chiaro: più noi consumiamo, più energia producono questi impianti, più emissioni si generano per produrla.

Ma allora sostituiamo questi impianti con quelli che usano fonti rinnovabili!”, replicherà qualcuno. Giustissimo, ma qui si entra in un argomento che esula da questo articolo; per ora dirò soltanto che chi gestisce questi impianti, e soprattutto chi li rifornisce, non è tanto interessato a rinunciare ai milioni di euro che guadagna grazie alle fonti fossili.
Per cui, nel frattempo che, tramite altre vie, facciamo cambiare idea a questa gente, noi che possiamo fare? Molto, anche questa volta.

Se non stiamo usando un apparecchio come un pc, una stampante, una tv o una “Play Station”, stacchiamo la presa della corrente: solamente un pc sempre collegato si traduce in circa 120 euro di bolletta in più all’anno; stesso discorso se l’apparecchio è in stand-by: se contiamo di riusarlo entro poco tempo ok, se no spegniamolo. Non teniamo accese luci inutilmente, e comunque, se non le abbiamo già, sostituiamo le lampadine a incandescenza con quelle a fluorescenza: durano di più e consumano circa il 75% in meno.

Se possiamo, cerchiamo di acquistare elettrodomestici di classe energetica elevata: è vero che costano di più, ma nel lungo termine fanno anche risparmiare di più, sia in consumi che in bolletta. Usiamoli anche in modo intelligente: lavaggi a pieno carico, cicli brevi, temperature non esagerate, fascia oraria di risparmio dalle 19:00 alle 08:00. Quando è possibile, facciamo asciugare i panni all’aperto invece di usare sempre e comunque l’asciugatrice.

Capisco che la temperatura ideale è soggettiva, ma con un riscaldamento a 20°C e una tuta addosso in casa si sta bene; tra l’altro, considerate che ogni grado in più significa un aumento di spesa del 6-7%. E poi, è proprio necessario riscaldare sempre ogni angolo della casa? Dipende da come è organizzata, ma di solito cucina e salotto, fra forno, fornelli, vapore e persone, si mantengono già così abbastanza calde, forse si può fare a meno di riscaldare anche queste ogni giorno.

Non dimentichiamo, infine, che esistono i bonus fiscali statali per installare caldaie a basso consumo, infissi termoisolanti e “cappotti” termici.

4. Mezzi di trasporto: quando e come usarli al meglio


La miglior soluzione in assoluto sarebbe il teletrasporto. La seconda, l’uso di auto elettriche, che però riporta alla questione di prima: da dove deriva l’energia elettrica delle colonnine? Non sempre da impianti rinnovabili, per ora. E quindi?

Quando possiamo, di qualsiasi cosa si tratti di fare, usiamo mezzi pubblici, biciclette o i nostri piedi: se ne guadagnerebbe anche in salute, e potremmo anche godere del più del posto in cui viviamo (sperando che non sia male). E se una bicicletta non ce l’abbiamo, ricordiamoci che in molte città esiste il bike-sharing, da alcune parti esiste perfino quello condominiale oltre che comunale.

Se dell’auto non si può fare a meno, per lo meno acquistiamola in modo intelligente, quindi proporzionata ai nostri bisogni (non alle mode) e il meno inquinante possibile. Quando siamo alla guida, moderiamo la velocità, evitiamo carichi eccessivi e teniamo i finestrini chiusi più spesso: più velocità significa più consumo di carburante, freni e pneumatici, più carico significa più consumo, e finestrini aperti significa maggior resistenza dell’aria, quindi più sforzo del motore, quindi più consumi (nonché più emissioni respirate da noi).

Come nel caso delle biciclette, inoltre, anche qui esiste il car-sharing (automobile su prenotazione) e perfino il car-pooling (automobile condivisa fra più persone): se solo il 10% dei 5 milioni di dipendenti delle 160.000 PMI (Piccole e medie imprese) in Italia lo facesse regolarmente, si risparmierebbero 440.000 tonnellate di CO2.

5. Un carrello per domarli, un carrello per trovarli, un carrello per ghermirli e nel buio incatenarli!


Da spot Coop
Tramite le cose che acquistiamo, forse, si può fare una differenza ancora maggiore.

Dobbiamo ricordarci che, chi produce le cose che troviamo sugli scaffali, pende letteralmente dalle nostre labbra: se noi compriamo sempre e comunque, difficile che venga loro la voglia di passare al sostenibile; ma se ciò che vendono non è sostenibile e noi non lo compriamo, i produttori sono costretti a cambiare il tiro.

E allora, per prima cosa, ricicliamo. Usiamo e riusiamo borse di tela invece di comprare quelle di plastica, sono pure più resistenti; e se proprio ce ne serve una, che sia biodegradabile. Gli spazzolini sono fra i prodotti più difficilmente riciclabili, ma esistono di quelli di legno, per i quali c’è da cambiare solo la testina. Di tovaglioli e fazzoletti ci sono anche quelli di tela, o anche biodegradabili. I rasoi da barba con lamette riutilizzabili e cambiabili esistono già da diverso tempo. Contenitori di plastica o di vetro si possono riutilizzare per altri scopi. Perfino i pannolini, altro prodotto difficile da smaltire, esistono in versione lavabile o riciclabile.

Cose come risme di carta, carta igienica, matite, blocchetti note, esistono anche riciclati; in alternativa, accertiamoci almeno che riportino il marchio FSC, che indica che provengono da foreste gestite nel rispetto dell’ambiente.

Si possono ridurre contenitori e imballaggi: solo in Italia, ogni anno, si producono 31 milioni di tonnellate di rifiuti e di queste 12 milioni sono di imballaggi. Come ridurle? Per esempio, prodotti come shampoo, sapone o deodorante esistono anche in forma solida, o per lo meno in versione ecologica. Prodotti come i detersivi si possono acquistare alla spina. Tè, caffè, frutta e tanti altri si possono acquistare sfusi invece che confezionati; in alternativa, assicuriamoci che quei contenitori/imballaggi siano compostabili.

Le plastiche monouso sarebbero del tutto da dimenticare: il petrolio usato per produrre un bicchiere di plastica che usiamo per dieci minuti, ha impiegato 50 milioni di anni a formarsi, mentre quello stesso bicchiere ne impiegherà 100-1000 per degradarsi in natura. Le alternative ci sono: cose come le cannucce, per esempio, esistono anche in bambù; le pellicole ci sono anche in cera d’api.

Se abbiamo un gatto in casa, è bene sapere che molte lettiere sono fatte in bentonite, la cui estrazione, come tante altre georisorse, è causa di inquinamento di aria e acqua, distruzione di habitat e deforestazioni. Ma esistono anche lettiere vegetali e compostabili.

Attenzione ai prodotti per la cura del corpo: alcuni contengono parabeni e microplastiche, specie fra cosmetici e dentifrici. In questo caso, non solo esistono quelli naturali, per perfino quelli “fai da te”.

Per quel che riguarda il cibo, secondo uno studio della FAO, quello prodotto e non consumato utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno (30% della superficie agricola mondiale) e provoca 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. E allora, quando compriamo, vediamo di non strafare, prendiamo quel che sappiamo di mangiare e stiamo attenti alle date di scadenza. Cerchiamo anche di preferire prodotti locali: secondo una ricerca di Coldiretti, 1kg di ciliegie importato dal Cile comporta 12.000km di viaggio, 6,8kg di petrolio e 21,6kg di CO2; perciò, acquistando locale, si riducono i trasporti e l’inquinamento, in più si favorisce l’economia della zona e si mangiano anche prodotti più freschi e saporiti; se poi acquistiamo qualcosa direttamente dal produttore, allora più genuinità e meno imballaggi.

E questi sono solo alcuni esempi


Si può fare anche altro? Eccome se si può. Le cose più svariate, e anche qui sempre da casa nostra, nel quotidiano.

Se abbiamo un certo pollice verde, possiamo piantare un albero: secondo la UNFCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), uno solo, in media, può assorbire 10-20kg di CO2 in un anno; in 20 anni, 200kg. Oppure, in un orto o in un giardino, possiamo provare a coltivare una parte di ciò che mangiamo, e usare qui i residui organici invece che smaltirli con la differenziata.

Se, mentre siamo in giro, ci imbattiamo in qualsiasi tipo di sudiciume e ne abbiamo la possibilità, nessuno ci multa se portiamo via qualcosa e lo smaltiamo per bene da noi.

Capitalismo, consumismo e pubblicità non aiutano per nulla, ma ricordiamoci che, se una cosa si rompe, non è detto che sia da buttare subito, forse si può riparare. Se un oggetto non lo usiamo più, prima di buttarlo chiediamoci se non possa servire a qualcun altro. E non dimentichiamo che qualsiasi oggetto, specie se usato poco, lo possiamo prestare a qualcuno, o quel qualcuno a sua volta ce ne può prestare uno.

Insieme ce la possiamo fare!


Insomma, avete visto che avevo ragione? Di piccoli gesti possibili ce ne sono una caterva, e io ne ho descritti solo alcuni. Tutti quotidiani, a volte anche banali, ma guardate che cosa può dipendere da loro nel momento in cui diventano migliaia, centinaia di migliaia o milioni.

Qualcuno potrebbe ribattere che praticarli tutti è impossibile, che bisogna vedere caso per caso, che certe alternative in alcuni posti non ci sono. E avete ragione, io stesso non li applico tutti: per esempio, per le attività che svolgiamo in famiglia, sarebbe impossibile senza mezzi di trasporto propri, senza che ce ne sia uno per membro. Ma infatti nessuno pretende che li facciamo tutti quanti, l’importante è che ne facciamo un buon numero.

E di obiezioni se ne potrebbero fare tante altre, con altrettante risposte. L’importante è che non siano dettate da quelli che io ho battezzato “i grandi limiti e i grandi poteri dell’uomo”: l’egoismo che spinge a fregarsene solo di sé stessi, senza comprendere i vantaggi che derivano dall’altruismo; l’essere attratti dai piaceri facili e immediati che porta a sottovalutare quelli a lungo termine più grandi, che si otterrebbero a partire da piccoli gesti di oggi; il percepire come inutili i piccoli gesti di ogni singola persona, che invece cambiano le cose dal giorno alla notte se messi tutti insieme; complice anche censura e disinformazione, il non capire quanto nel nostro mondo sia tutto incredibilmente connesso, tanto che anche piccole scelte come queste possono cambiare un pianeta intero.

Come avete visto, non c’è bisogno di prendere il primo volo per l’Amazzonia e andare a riforestare il bosco per cambiare le cose. Non c’è bisogno di soluzioni ridicole tipo non fare mai il bagno, non lavare i piatti tutti i giorni, tenere una sola auto per famiglia o farsi un viaggio solo in zone vicino a casa. E non c’è nemmeno bisogno di soluzioni drastiche come smettere di mangiare carne o usare aria condizionata: vero che tutte e due comportano emissioni, una per gli allevamenti intensivi, l’altra per la produzione di energia elettrica, ma le soluzioni che pesano di più sono altre, lo avete visto.

Molte cose, per molti secoli, abbiamo continuato a farle, un po' perché le risposte dell’ambiente non sono immediate, un po' perché non lo conoscevamo abbastanza. Oggi, però, lo conosciamo, e sappiamo anche che bastano piccole azioni, piccoli impegni, ma da parte di tutti, e il mondo può davvero essere un posto migliore.


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sabato 2 novembre 2019

L'Artico, un lontano vicino di casa

Le conseguenze delle nostre azioni sul Polo Nord e l'effetto "boomerang" che ricade su di noi



Non so voi, ma io ho perso il conto delle volte in cui ho sentito dire che, a causa del cambiamento del clima, il Polo Nord si riscalda più velocemente del resto del Pianeta. Oppure, che lo scioglimento dei ghiacci comporterebbe danni incalcolabili in ogni angolo del mondo. O ancora, che i cambiamenti che avvengono nell’Artico sono fra le cause degli eventi meteo estremi che si osservano ormai un po' dappertutto.

Nel frattempo, ho anche perso il conto di quei commenti secondo cui, visti gli inverni freddissimi degli ultimi anni, “Altro che riscaldamento climatico! Qui si va nell’Era Glaciale!”, oppure ancora “Cambiamento del clima? Tutte stronzate diffuse dalle green lobby!”. Fra questi commenti, non ultimi quelli di Donald Trump che, nel dicembre 2017, si lamentava del freddo intenso e si augurava un po' di “caro vecchio riscaldamento globale” per risparmiare sulle bollette; o che, un anno dopo, dichiarava al “Washington Post” di “non credere” all’impatto umano sul clima e all’opinione diffusa dagli scienziati; come se fosse una questione di “fede” piuttosto che di “dati”.

Ma come stanno sul serio le cose? Davvero ciò che succedere oltre il 65° parallelo ha degli effetti così globali? Insomma, perché a qualcuno che vive in Florida, in Italia o in India gliene dovrebbe fregare qualcosa delle calotte polari?

L’Artico cambia sul serio più alla svelta


Ricerche come quelle condotte dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) parlano chiaro: i dati raccolti dalla Amundsen-Nobile Climate Change Tower e da un ancoraggio posto nel fiordo Kongsfjorden, entrambi nelle Isole Svalbard, hanno rilevato aumenti di temperatura di 4,3°C ogni dieci anni per l’acqua intermedia e di 1,6°C per l’acqua di fondo all’interno dei fiordi; si parla di 3°C ogni dieci anni, invece, per la temperatura dell’aria in tutto l’Artico, valore ben al di sopra della media mondiale.

Il fenomeno viene chiamato “amplificazione artica”, ed è dato da tanti fattori, alcuni locali e altri globali, alcuni più certi e altri ancora discussi; alcuni, perfino, sono causa e conseguenza allo stesso tempo. Secondo una ricerca della UAF (University of Alaska Fairbanks), che ha combinato dati climatici e biologici raccolti fra il 1971 e il 2017, i fattori chiave sarebbero 9: temperatura dell’aria, permafrost, idroclimatologia, copertura nevosa, ghiaccio marino, ghiaccio terrestre, incendi boschivi, tundra e ecosistemi terrestri e ciclo del carbonio.

Ancora discussa è l’influenza della copertura nuvolosa ma, stando anche ad altre ricerche, i fattori più incidenti fra tutti sarebbero questi:

1) Più vapore acqueo in atmosfera
Più gas serra in atmosfera significa aumento della temperatura, da cui una maggior evaporazione e evapotraspirazione, da cui più vapore acqueo in atmosfera. L’intrusione di aria calda verso le alte latitudini (di cui parlerò dopo) porta con sé questo vapore acqueo, il quale contribuisce ad aumentare la temperatura, perché anche questo agisce da gas serra, seppur meno efficace di CO2 o metano.

2) Diminuzione del ghiaccio marino
Temperature più alte significano sempre più ghiaccio che si scioglie. Che questo si sciolga stagionalmente è normale, ma quel che conta è che ci sia equilibrio fra quello che si scioglie e quello che si ricrea, equilibrio che però non c’è più da un pezzo: fra il 1980 e il 2018 il tasso di fusione è sestuplicato, si è passati da 7,05 milioni di km2 di ghiacci nel settembre 1979 a 4,71 milioni nel settembre 2018; solo il 1° agosto 2019 si sono sciolti 11 milioni di tonnellate di ghiaccio.
E il motivo è semplice: ghiaccio e acqua hanno un diverso albedo, cioè capacità di riflettere e assorbire luce; il ghiaccio ne riflette l’80%, l’acqua il 7%. Se si scioglie più ghiaccio di quanto se ne riforma, ci sono più acque libere, quindi più calore assorbito e più calore trasferito all’atmosfera; nonché più ghiaccio ancora che si scioglie.

3) Trasporto di calore alle alte latitudini
L’indebolimento delle correnti a getto fa sì che l’aria calda delle latitudini equatoriali penetri fino alle alte latitudini, portando con sé anche il vapore acqueo di cui ho detto prima. Questo è uno dei fattori che fa da causa e conseguenza allo stesso tempo, ne parlerò meglio tra qualche riga.

E tutto questo a quali conseguenze porta?


E qui la cosa si fa interessante. Perché di conseguenze ce ne sono parecchie, e praticamente non ce n’è nemmeno una che non abbia degli effetti sul resto del mondo. Anche in Italia. Anche a casa vostra.

1. Popolazioni indigene e altre specie


Fino a qui mi pare che sia ovvio: se cambia il clima e l’habitat, le specie che ci vivono ne risentono. Si fa un gran parlare dell’orso polare, ma quello è solo la vetta della catena alimentare: alla base c’è il fitoplancton, alghe microscopiche che vivono nell’oceano assorbendo luce e CO2 e emettendo O2; di loro si nutre lo zooplancton, e di questo pesci e uccelli, per poi passare a foche, balene e orsi. Una specie di questi fitoplancton vive sul ghiaccio marino piuttosto che nell’acqua, e per questo, quando non c’è abbastanza luce perché possa crescere il fitoplancton, questa specie rappresenta l’unica fonte di cibo per il resto della catena alimentare; senza contare che, grazie a questi “esserini”, il Mar Glaciale Artico contribuisce per il 14% all’assorbimento del carbonio dell’oceano globale. Si capisce, allora, che se il ghiaccio marino subisce variazioni, ne subiscono anche questi organismi, quindi anche il clima, e quindi il resto della catena alimentare, da cui danni per l’attività di pesca.

Messo insieme tutto questo con il ritiro dei ghiacci, il cambio del clima, le mutazioni dell’habitat e l’intrusione delle multinazionali dell’Oil&Gas, ecco poi che ne vengono danneggiate anche le popolazioni locali. Mi rendo conto che per il viziato, patriottico e insofferente italiano medio è già inconcepibile che qualcuno possa vivere in un posto come l’Alto Adige, ma vi garantisco che al Circolo Polare vivono un sacco di fantastiche etnie e culture, come Inuit, Yupik, Aleuti, Jakuti, Kami, Nency, Tungusi e Sami. Un totale di circa 1 milione di persone, che vivono da sempre di caccia, pesca, raccolta e allevamento di specie del posto. 

A volte mi è capitato di sentir dire: “Ma chi glielo fa fare di vivere in un posto del genere? Non è meglio se vengono via?”. Ma certo! E che ci vuole? Basta solo abbandonare la propria casa e la propria terra, salutare forse per sempre tutta la gente che si conosce, integrarsi in una nuova lingua e società che non si è mai visto nemmeno col binocolo, e adottare uno stile di vita fatto di traffico e cemento piuttosto che di aurora boreale e animali selvatici; e tutto questo senza nemmeno che sia colpa nostra. Appunto, che ci vuole? Facile, facile. Proprio come dire questa stronzata.

2. Fusione del permafrost


Il permafrost è il suolo congelato che si trova tipicamente alle latitudini polari, dove può raggiungere spessori anche di 1500m. Ovviamente non è del tutto congelato, in parte è fatto delle stesse componenti che si trovano anche nei nostri suoli, come la materia organica. E il punto sta proprio qui: come nel caso dei ghiacciai, anche il ghiaccio del permafrost non è lì dall’altro ieri, ma dall’ultima Epoca Glaciale conclusa circa 10.000 anni fa; questo ghiaccio, in tutti questi millenni, ha fatto un po' da “frigorifero” per tutta quella materia organica, impedendo che si decomponesse.

Per via del riscaldamento globale e dell’amplificazione artica, però, questo ghiaccio si sta sciogliendo, il che significa che la materia organica viene esposta all’aria e si decompone, rilasciando in atmosfera CO2, metano (gas serra 25 volte più efficace di CO2) e N2O (200 volte più efficace di CO2). Tutti gas che incrementano sia l’effetto serra che l’amplificazione artica.

Prima o poi si sarebbe sciolto comunque, no?”, chiederà qualcuno. Forse sì, o forse no, ma il punto è un altro: primo, se anche si stima che il contenuto di carbonio nel permafrost sia più del doppio di quello che c’era in atmosfera prima della rivoluzione industriale, preso da solo non sarebbe un problema eccessivo, ma sommato agli altri gas che abbiamo già emesso noi farebbe un po' da “pioggia sul bagnato”; secondo, se fino a qualche anno fa fondeva di pochi centimetri all’anno, oggi, grazie a noi, fa registrare anche dei balzi di 3m in pochi giorni.

3. Aumenta il livello del mare


Se le temperature dovessero salire fino al punto di far sciogliere del tutto i ghiacci artici, di certo accadrebbe lo stesso, anche se in tempi diversi, per quelli antartici, e allora solo questi farebbero aumentare il livello del mare da 8 a 41cm da qui al 2100. Se poi ci si aggiunge il contributo di ghiacciai montani (15cm), dell’espansione delle acque oceaniche data dal riscaldamento (25cm) e di acque di laghi e fiumi “ingrossate” (4cm), si può arrivare a 60-90cm.

Con quali effetti? Beh, fate conto che il 60% della popolazione si trova concentrato sulle zone costiere, o comunque entro 100km dalla costa. Grandi centri abitati sarebbero del tutto o parzialmente sommersi, come Miami, New York, Shanghai, Bangkok, Mumbai, Londra, Amsterdam, Alessandria d’Egitto, così come tante comunità insulari (vedi simulazione video realizzata da "Business Insider").

Per quanto riguarda l’Italia in particolare, buone notizie per gli abitanti di Milano: potrebbero avere il mare letteralmente a due passi da casa, visto che la Pianura Padana sarebbe sommersa.

4. Rallenta la Corrente del Golfo


La Corrente del Golfo fa parte della Circolazione Termoalina, il grande sistema di correnti oceaniche che si snoda lungo tutto il pianeta. La Corrente del Golfo in particolare porta acqua calda e salata dal Golfo del Messico verso il Nord Atlantico, dove rilascia calore all’atmosfera e mitiga il clima dell’Europa occidentale; l’acqua più fredda del Polo, invece, più fredda e dolce, affonda e viene portata fino in Antartide.

Il suo effetto sul clima è incredibile, e per questo basti pensare alla differenza che c’è fra la città di Londra e la penisola del Labrador in Canada: d’inverno, pur essendo alla stessa latitudine, nella prima le nevicate sono occasionali, nella seconda si arriva anche a temperature di -40°C.

Ora, il fatto è che correnti oceaniche come quella del Golfo esistono grazie alla differenza di temperatura e salinità delle acque. Ma che cosa abbiamo detto? Uno, che un’atmosfera più calda significa acque più calde; due, che sempre più ghiacci si sciolgono e che più umidità in atmosfera significa più precipitazioni, quindi più acqua dolce negli oceani, da cui acque meno salate. Tutto ciò fa rallentare la Corrente, il che porta a inverni più rigidi nell’Europa occidentale e a cambiamenti anche nel resto della Termoalina.

5. Eventi meteo estremi


Avete presente le estati insopportabili che si sono viste negli ultimi anni e le famose “ondate di calore anomalo” in autunno o inverno? E avete presente quegli inverni freddissimi portati dal famigerato “Burian” o le “ondate di freddo anomalo” come quelle del maggio 2019? Ma soprattutto: avete presente i danni che hanno fatto? Secondo le stime di "Coldiretti", gli sbalzi termici anomali degli ultimi dieci anni sono costati circa € 14 miliardi all'agricoltura europea. Ecco, l’amplificazione artica è una delle maggiori cause di tutto questo. 

A cose normali, al Polo Nord, esiste un vortice di venti detto “vortice polare”, correnti di aria fredda a 20-50km di quota che viaggiano da ovest a est anche con picchi di 300km/h. Sempre a cose normali, poco al di sopra delle medie latitudini, a 10km di quota, ci sono delle correnti dette “correnti a getto”, cioè correnti di aria che soffiano da ovest a est (nell’emisfero nord) con record di velocità di 500km/h; queste correnti sono alimentate dalla differenza di temperatura fra l’Artico e i tropici, controllano i principali sistemi meteorologici e fanno sì che cose come il vortice polare o l’anticiclone africano se ne stiano dove devono stare, alle loro latitudini di origine.

Il problema, però, è che a causa del riscaldamento generale e a causa dell’amplificazione artica, queste correnti si indeboliscono, assumendo contorni sempre più tortuosi. Il risultato di questo sono intrusioni di aria gelida o calda a latitudini più basse o più alte del normale, e anche il fatto che queste intrusioni stazionano per lunghi periodi (ecco perché, come ho detto qualche riga più in su, questo fenomeno è causa e conseguenza dell’amplificazione artica al tempo stesso).

E chi più ne ha, più ne metta…anche di soluzioni


Ovviamente questo articolo non pretende di essere esauriente al 100%. L’amplificazione artica non è certo l’unica e sola causa di questi effetti, e anche questa, a sua volta, ha delle cause che stanno più a monte, come il cambiamento del clima e la mano dell’uomo. Quanto alle conseguenze, poi, ce ne sono così tante altre che se ne potrebbe scrivere altrettanto. Ma di tutto questo, magari, parlerò nei prossimi “episodi”.

Quel che spero di aver fatto capire è che la nostra Terra è un sistema grande, complesso e interconnesso, in cui anche qualcosa che succede qui si ripercuote a 5.000km di distanza e poi ritorna in qua. Lo scopo di questo post non è quello di fare il solito allarmismo gratuito, di quello utilizzato anche dai principali media solo per fare audience e visualizzazioni. Lo scopo è far capire come e perché ciò che facciamo tutti quanti, oggi e domani, nel quotidiano, si riflette anche in un luogo distante come l’Artico; far capire che poi, il cambiamento che si generà laggiù, rimbalza di nuovo su di noi; far capire che delle conseguenze le stiamo già subendo e che altre ne potremmo subire se non campiamo perché ci riguarda, come ci riguarda e che cosa possiamo fare per impedire gli effetti presenti e futuri.

E infatti, che cosa possiamo fare? Vi sembrano eventi troppo grandi, distanti e imprevedibili perché noi si possa fare qualcosa per impedirli? Niente di più falso. Bastano tre passi: con il primo, si sa che esistono, come funzionano a grandi linee e da cosa dipendono; col secondo, facciamo sapere queste cose anche ad altre persone; e con il terzo, facciamo incetta di tutto ciò che passa sotto il nome di “soluzioni green” e applichiamolo, senza tanto impegno, perché non ne richiede quasi nessuno.

Pensateci la prossima volta che spegnete un interruttore superfluo in casa: un semplice “click”, e le correnti a getto sono nelle vostre mani

Fonti: